“Le colonie israeliane non sono illegali e non violano il Diritto Internazionale”, così gli USA provano a sostituirlo con “la legge della giungla”

Intervista a Michele Giorgio.

19 / 11 / 2019

Ascolta qui l'audio dell'intervista.

Dopo il taglio del budget all’UNRWA, aver riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele ed il Golan Siriano come territorio sovrano israeliano, ecco che arriva l’ultima dichiarazione shock dell’amministrazione Trump: “Le colonie in Cisgiordania non sono necessariamente illegali.” A dirlo è stato ieri il Segretario di Stato Mike Pompeo, contraddicendo la Risoluzione ONU 2334 del 2016 (durante la cui votazione proprio gli USA si erano astenuti) con la quale, invece, il Consiglio delle Nazioni Unite reiterava la sua richiesta di cessare immediatamente le attività di insediamento di Israele nei Territori Occupati, inclusa Gerusalemme.

Non sorprende che questa dichiarazione arrivi proprio a ridosso della scadenza del mandato per la formazione di un nuovo governo in Israele, nel quale Netanyhau sta tentando di entrare con tutti i mezzi possibili. Proprio Netanyahu, in chiusura della campagna elettorale dello scorso settembre, aveva fatto la promessa di annettere la valle del Giordano ad Israele.

Non sorprende nemmeno il tempismo di questa dichiarazione in vista anche dell’ormai prossima campagna elettorale statunitense, alla luce del fatto che una buona fetta della base elettorale repubblicana è costituita da cristiani sionisti evangelici, tra i principali sostenitori e finanziatori delle politiche di destra israeliane.

Abbiamo analizzato la questione con Michele Giorgio, inviato de “Il Manifesto" in Medio Oriente. 


D: Come pensi che questa dichiarazione inciderà sulla politica interna di Israele? Potrebbe essere l’appiglio che Netanyahu stava cercando, dopo l’operazione militare a Gaza contro la Jihad, per non essere escluso dalla formazione del governo?
-Quali effetti, invece, avrà realmente “sul campo” questa dichiarazione? Mi riferisco alle conseguenze sulle vite dei palestinesi di Cisgiordania che subiscono già le conseguenze della presenza delle colonie che, è bene ricordarlo, sono per la maggior parte dichiarate illegali dallo stesso Stato di Israele? È davvero da considerarsi un altro passo verso l’annessione della Cisgiordania, o è soltanto propaganda?


M: Il riconoscimento della presunta legalità delle colonie israeliane da parte dell'amministrazione Trump non è certo una sorpresa. Tutto in linea con quella politica che il presidente americano svolge oramai sin dall'inizio del suo mandato, prima con il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e poi, abbiamo visto altri passi, come riconoscimento delle alture del Golan in territorio Siriano come parte di Israele e, naturalmente anche tutte le decisioni che hanno colpito i palestinesi nell'assistenza umanitaria ed in altri tipi di assistenza, in particolare i tagli dei fondi americani all'Agenzia delle Nazioni Unite UNRWA, che assiste i profughi palestinesi. Questo passo era atteso perché, naturalmente, è assolutamente in linea con quello che è il programma della destra israeliana, in particolare del premier uscente Netanyahu che nelle elezioni dello scorso aprile ed anche in quelle di settembre, che come sapete non hanno prodotto alcun risultato volto a rimuovere lo stallo politico che c'è in Israele ormai da lungo tempo, ha promesso agli elettori di annettere la Cisgiordania ad Israele (o almeno gran parte di essa), parlando appunto delle colonie. Per cui, dal mio punto di vista, è assolutamente tutto come previsto. Sta di fatto che è un nuovo assalto alla legalità internazionale ma, da questo punto di vista, bisogna dire che il problema non è tanto legato a quello che è l'atteggiamento di Israele, non rispettoso di quelle che sono le risoluzioni e le altre leggi internazionali, bensì rispetto a quello che è l'atteggiamento dell'Occidente.


D: Pompeo giustifica la sua dichiarazione come un modo per fare ulteriori passi in avanti verso la pace. L’Unione Europea, invece, pochi giorni fa ha deliberato che i prodotti dell’export israeliano provenienti dai territori occupati debbano recare una specifica dicitura sull’etichetta.
Probabilmente nessuna di queste due prese di posizione è sufficiente a promuovere un reale percorso verso un processo di pace reale, duratura e giusta. Sembra quasi che la questione Palestinese sia, ancora oggi, soltanto terreno di propaganda.
Allo stato attuale delle cose, quali reputi che dovrebbero essere le azioni che la comunità internazionale dovrebbe intraprendere per muovere concretamente dei passi verso la risoluzione del conflitto?



M: Vediamo gli Stati Uniti che danno delle picconate al diritto internazionale e, per la verità, altrettanto avviene in Europa; infatti la decisione dell'Unione Europea di richiedere l'etichettatura non come “made in Israel” dei prodotti delle colonie israeliane che vengono esportati verso il mercato europeo, è naturalmente solo una pezza che a malapena riesce a coprire una politica che è assolutamente inefficace, per il semplice motivo che gran parte dei governi occidentali e gran parte dell'Europa guarda oramai alla questione palestinese non più come un problema di legalità internazionale e di diritti non riconosciuti e da riconoscere, ma semplicemente come una questione che va affrontata sulla base della situazione “sul terreno”. Questo è ciò che sta facendo l'amministrazione Trump: dice che sul terreno Israele oramai occupa quei territori e non c'è molto da fare e adesso,come ultimo passo per la politica americana, ci aspettiamo la presentazione di questo presunto piano di pace noto come “Accordo del Secolo” di cui abbiamo già conosciuto delle anticipazione (o presunte tali) che negavano totalmente l’indipendenza palestinese, uno stato dei palestinesi, ma invece prevedevano solo aiuti economici (tra l'altro sempre molto teorici) ed una sorta di autonomia in quelle aree che i palestinesi già adesso amministrano civilmente; cioè quelle che sono le città autonome in Cisgiordania. 

Tornando alla domanda precedente, ci si chiede se queste politiche di Trump proprio in questo momento possano in qualche modo dare una mano a Netanyahu a non essere scalzato via dal potere che detiene da più di dieci anni ininterrottamente. Può darsi! Tuttavia non credo che la cosa sia particolarmente rilevante. Lo dico perché questa decisione americana non è stata applaudita solo dal premier israeliano uscente, ma anche dal suo principale rivale, l'ex Capo di Stato Maggiore Benny Gantz, leader del partito presuntamente centrista “Blu e Bianco” che proprio ieri sera ha accolto con gioia questa decisione americana. Quindi non c'è molta differenza tra le due parti rispetto a come si intendono le colonie e riguardo la loro legalità. Se Gantz dovesse formare  un governo di minoranza (cosa che per la verità ritengo abbastanza difficile) per impedire che Netanyahu resti al potere, questo non sarà certo un governo che farà una politica contraria alla colonizzazione. Quindi credo che questi riflessi sulla politica interna israeliana siano, a mio avviso, abbastanza marginali.