La devastazione ambientale e la guerra contro la Palestina

11 / 12 / 2023

La guerra è indiscriminata in tutti i sensi: mentre migliaia di persone vengono uccise, la terra su cui vivono, le risorse alimentari e idriche da cui dipendono e l’aria che respirano stanno venendo distrutte. Attraverso il flusso d’informazione che continua a trapelare sulla violenza genocida in corso contro i palestinesi a Gaza, è possibile comprendere più in profondità la connessione tra genocidio, degrado ambientale e guerra. La versione originale in inglese di questo articolo è stata pubblicata da Red Pepper. Traduzione di Lorenzo Feltrin.

La biosfera tossica di Gaza

La guerra genera una biosfera tossica. Nell’aprile del 2009, un’ispezione della Commissione araba per i diritti umani e del Programma ambientale dell’Onu ha scoperto che i campioni di terra raccolti a Gaza contenevano elementi radioattivi e cancerogeni, tra cui uranio impoverito e fosfati. Nella striscia di Gaza, le rovine lasciate dai bombardamenti vengono riutilizzate negli sforzi di ricostruzione, incorporando le tossine nei nuovi edifici.

Nel 2013, il direttore del dipartimento di oncologia dell’ospitale Al Shifa di Gaza – costretto a chiudere i battenti dal recente attacco israeliano – disse che si aspettava un raddoppio dei tassi d’incidenza dei tumori nel giro di cinque anni, a causa dell’uso di uranio da parte di Israele nella guerra del 2008-2009. In quell’occasione, descrisse la campagna bellica come una “catastrofe ambientale”.

Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, nel giro di soli due mesi nel 2023, Israele ha sganciato l’equivalente di due bombe nucleari su Gaza, dove oltre due milioni di persone vivono confinate in uno spazio grande come la metà di Hiroshima. L’impatto dei bombardamenti costanti, compreso l’uso del fosforo bianco contro Gaza e il Libano meridionale, è di una magnitudine senza precedenti. A novembre, le bombe israeliane hanno incenerito 40.000 ulivi nel Libano meridionale. Nel corso del mese precedente, i raid hanno bruciato quasi 3,5 milioni di metri quadri di querce, alberi di limone, banani, pascoli e arbusti. Si tratta di un disastro culturale, spirituale e agricolo.

Persino le forniture di acqua a Gaza sono strettamente controllate dal governo israeliano, come documentato e condannato ripetutamente da grandi istituzioni internazionali, quali le Nazioni unite e Amnesty International. Prima dell’attacco in corso, fino al 96% dell’acqua a Gaza era stata dichiarata non potabile per gli umani. A ottobre, quando Israele ha tagliato tutte le forniture a Gaza, ha messo fuori uso tutti e tre i suoi impianti di desalazione. Nel sud della striscia, l’area verso cui la maggior parte della popolazione è stata costretta alla fuga, tutti i pozzi d’acqua e il pompaggio delle acque reflue hanno smesso di funzionare. Questo rischia di costringere gli abitanti di Gaza a scegliere tra il venire uccisi dalla violenza militare diretta o da sete, fame e malattia.

Interessi finanziari

A sole tre settimane dall’inizio dei bombardamenti, il governo israeliano ha annunciato i propri piani di espandere l’estrazione di gas e petrolio offshore. Ha così concesso licenze a sei compagnie, tra cui la britannica BP [e l’italiana ENI], per l’esplorazione di nuovi giacimenti di gas naturale. Il ministro israeliano dell’energia, Israel Katz, ha dichiarato che “le aziende vincitrici si sono impegnate a effettuare investimenti senza precedenti”.

Non è la prima volta che Israele negozia investimenti stranieri in corrispondenza di bombardamenti contro Gaza. Nel 2008, pochi mesi prima dell’invasione militare, Israele ha dichiarato la propria sovranità sulle riserve di idrocarburi al largo della striscia. Ha poi tentato di concordare con British Gas degli investimenti per l’estrazione di gas naturale, in vista dei piani che il governo israeliano stava mettendo a punto per “una nuova organizzazione postbellica della striscia di Gaza”. Tali negoziati riguardavano Gaza Marine, il giacimento più vicino alla costa tra quelli sotto il controllo di Israele, cosa che lo rende anche il più economico. Si stima che valga circa 4,592 miliardi di dollari.

La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo stima che il valore totale dei giacimenti di gas e petrolio nel Bacino di Levante sia di almeno 524 miliardi di dollari. Nel 2022, all’indomani della crisi energetica globale seguita all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Israele ha tentato di diventare un grande esportatore di gas, firmando uno storico accordo con l’Europa e l’Egitto.

Nel settembre del 2023, Netenyahu ha tenuto un discorso presso il quartier generale delle Nazioni Unite, presentando una mappa per “il nuovo Medioriente” in cui la Palestina era completamente assente. Ha descritto tale regione immaginaria come “un corridoio visionario attraverso la penisola araba e Israele. Tale corridoio aggirerà checkpoint (e punti di blocco) per abbassare drasticamente il costo di beni, comunicazione ed energia per più di due miliardi di persone. Che cambiamento storico per il mio paese!”.

Guerre commerciali

Un altro fattore rilevante per lo sfruttamento di tali risorse è il Canale Ben Gurion. Questa possibile alternativa al Canale di Suez sarebbe di proprietà e sotto il controllo di Israele, e indirettamente degli Stati Uniti. È basata su uno studio di fattibilità risalente agli anni ’60 che proponeva di usare esplosivi nucleari per scavare un canale lungo 160 miglia, che collegasse il Mar Mediterraneo al Golfo di Aqaba.

Nel frattempo, l’opzione nucleare è stata scartata, ma i metodi di scavo tradizionali hanno ancora costi proibitivi. Tuttavia, i costi diminuirebbero se il canale attraversasse Gaza. Il ministro degli Esteri israeliano ha già indicato che Israele intende mantenere una presenza a tempo indeterminato nella striscia. Forse Israele sta pianificando di usare Gaza come rotta commerciale e riserva di combustibili fossili, ma ci sono di mezzo più di due milioni di palestinesi.

Amos Hochstein, il consulente per la sicurezza energetica di Joe Biden, ha visitato Israele la settimana scorsa per esercitare pressioni per lo sviluppo delle riserve di gas offshore di Gaza, sostenendo che questo “rivitalizzerebbe” l’economia palestinese. Israele non ha però intenzione di permettere ai palestinesi di trarre vantaggio dalle opportunità commerciali che vuole per sé. Il suo governo vede tutta la popolazione della striscia come un ostacolo.

La foga con cui Israele vuole accelerare l’estrazione di combustibili fossili ed espandere la base fossile della propria economia indica qualcosa di profondo rispetto alla direzione di questa guerra e ai suoi effetti di lungo periodo. Attraverso le sue azioni ecocide, il governo israeliano sta riconfermando la propria tendenza alla pulizia etnica. Dovremmo essere tutti acutamente preoccupati del precedente sociopolitico che si crea quando un governo può oltrepassare tutti i limiti retorici nell’impunità. L’eliminazione di alberi genealogici, l’avvelenamento di ulivi, il prosciugamento del fiume Giordano, l’infrastruttura ostile dell’apartheid – tutto ciò contribuisce alla devastazione della Palestina, e al nostro fallimento collettivo di mantenere un pianeta vivibile.