“J’accuse” racconta “la verità prima di tutto”: il genocidio in Palestina secondo Francesca Albanese

4 / 3 / 2024

Lunedì 26 febbraio la sede IUAV di palazzo Badoer ha ospitato la presentazione del libro J’Accuse con l’autrice Francesca Albanese, giurista di fama internazionale e Relatrice Speciale dell'Onu per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati. L’evento, organizzato all’interno del ciclo di seminari intitolato “Saperi che liberano” e incentrato sull’approfondimento di temi transfemministi e decoloniali, è stato promosso dal Senato degli Studenti, dalla laurea magistrale in Teatro e Performance e dalla laurea triennale in Urbanistica e Pianificazione del Territorio dello IUAV. Si è trattato di un importante momento di approfondimento dedicato al genocidio che sta colpendo la popolazione palestinese, a soli pochi giorni di distanza dalla manifestazione a Pisa in cui studenti e studentesse delle superiori sono stati repressi violentemente dalle forze dell’ordine mentre sfilavano in corteo in solidarietà al popolo palestinese. 

È proprio con la dura denuncia di questi ultimi fatti che si è aperto il lungo intervento di Francesca Albanese, non una presentazione serrata dei contenuti del suo libro "J'accuse", ma un insieme di dati e pensieri critici che hanno innescato decine di domande e riflessioni tra il pubblico presente. «“La verità prima di tutto” è l’incipit del più famoso J’Accuse della storia moderna, la lettera aperta di Émile Zola al presidente della repubblica francese, apparsa il 13 gennaio 1898 in prima pagina sul quotidiano di Parigi “L’Aurore”. La verità prima di tutto è anche ciò che ispira questo nuovo J’Accuse, costruito a partire da fatti accertati, documentati e incontestabili, affinché la forza del diritto internazionale possa prevalere sull’uso indiscriminato della forza».

Queste righe aprono il primo capitolo del libro, pubblicato prima degli attacchi del 7 ottobre ma aggiornato nell’ultima versione con qualche riferimento alla situazione attuale. Queste parole di Francesca Albanese concentrano perfettamente l’obiettivo del suo lavoro quotidiano di ricerca e studio nei territori palestinesi: raccogliere dati relativi alla violazione dei diritti umani a cui la popolazione palestinese è condannata da oltre 75 anni per mano del governo sionista d’Israele. Dati registrati sul campo, documentati, immanenti e costanti che confermano come l’occupazione illegale dei territori palestinesi e il genocidio in atto non siano un’interpretazione ideologica della realtà da parte di qualche attivista, ma una situazione realmente esistente che richiede atti di solidarietà e resistenza da parte di chiunque si dichiari antirazzista, anticolonialista e soprattutto antifascista. 

In carica da due anni come relatrice speciale dell’ONU, Francesca Albanese ha pubblicato il suo primo report sulla situazione nei territori palestinesi occupati il 18 ottobre 2022: un documento estremamente critico rispetto al regime di apartheid che opprime da decenni la popolazione palestinese. Una puntuale e documentata descrizione delle violenze che “dimostrano la natura dell’occupazione israeliana, una regime deliberatamente possessivo, segregazionista e repressivo progettato per impedire la realizzazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione”. Queste le parole conclusive del report, dopo il quale la relatrice è stata - e continua ad essere - accusata di antisemitismo, esattamente come tutti gli attivisti che si oppongono al genocidio palestinese e chiedono la liberazione dei territori palestinesi dal colonialismo israeliano.

Dall’infondatezza di queste accuse che ci vedono così protagonisti trapela un’amara verità: l’occidente, nonostante l’incancellabile senso di colpa legato all’olocausto, ha in realtà dimenticato cos’è l’antisemitismo e la sua base. I governi occidentali – quello italiano in prima linea – che legittimano le azioni di repressione e censura nei confronti di chi denuncia il genocidio palestinese sulla base di una minaccia antisemita e terroristica, sono gli stessi guidati nella maggior parte dei casi da politici di destra o estrema destra, impegnati ogni giorno in politiche razziste, sessiste e guerrafondaie non molto lontane – e di sicuro ideologicamente molto vicine – a quel fascismo che ha sterminato milioni ebrei. “Ieri partigiani, oggi antifascisti” è la frase è spesso leggiamo sui muri delle nostre città, una dichiarazione di memoria, presente e futuro che incarna il senso profondo delle nostre lotte quotidiane al fianco dei popoli oppressi e resistenti, nondimeno quello palestinese. Ieri contro l’antisemitismo, oggi contro sionismo e arabofobia, sempre contro razzismo e fascismo. 

L’indizio più grave che rivela le dimenticanze storiche dell’occidente è incarnato proprio dall’attuale situazione che colpisce i territori palestinesi: una pulizia etnica programmata che da oltre 75 anni sta deliberatamente consumando ed eliminando la popolazione palestinese. «Il genocidio non è un atto, ma un processo» ha ribadito spesso Francesca Albanese durante il suo incontro tra gli universitari, cercando di far comprendere la preoccupante continuità nel tempo di ciò che solo adesso in tutto il mondo viene espressamente chiamato “genocidio palestinese”.

Il colonialismo d’insediamento portato avanti sistematicamente dallo stato israeliano con la complicità degli stati occidentali risponde a una precisa logica di eliminazione, è esso stesso una lenta ma costante operazione genocida inaugurata ben prima del 7 ottobre. Il colonialismo sionista si concretizza attraverso operazioni sistematiche che rendono possibile e internazionalmente legittimata l’occupazione dei territori palestinesi, dichiarata illegale dall’ONU fin dal 1967 ma mai realmente contrastata. Come ricorda l’Albanese, Israele ha continuato a occupare tali territori dopo la Guerra dei Sei Giorni, arrivando addirittura a instaurarvi la legge marziale – tutt’ora in vigore –,  in base alla quale la competenza giurisdizionale è assegnata alle corti militari israeliane anziché a quelle civili. Viceversa, gli insediamenti dei coloni israeliani non sono soggetti all’ordinamento giuridico dei territori occupati ma alle norme interne israeliane, costituendo così delle aree di vera e propria “extraterritorialità” in cui nella quasi totalità dei casi vige l’impunità delle aggressioni sioniste ai palestinesi. 

Ciò che dopo il 7 ottobre è stato proiettato sugli schermi di tutto il mondo, dunque, è solo l’ultimo atto di una lunga scia di sangue e colonialismo che condanna da anni i territori palestinesi con la placida complicità della maggior parte degli stati occidentali, in parte influenzati dalla potenza economica e geopolitica dello stato d’Israele e in parte legati alla necessità di espiare il senso di colpa legato all’olocausto. In sintesi, sembra di vivere in un mondo che pensa di pulirsi la coscienza da un genocidio legittimando e perpetrando un altro genocidio, che forse non dovrebbe riguardarci solo perché appena fuori dalle porte dell’Occidente. Parallelamente alla complicità economica e politica, si sviluppa tutta la linea narrativa e propagandistica che – come sottolinea bene Francesca Albanese –  da un lato riduce la situazione a una disputa tra due litiganti da risolvere “facendo la pace” o a un’emergenza umanitaria che necessita interventi (unicamente) volti a ridurre i danni, dall’altra fornisce la base per elaborazioni apparentemente risolutive estremamente sovradeterminanti come quella relativa alla formazione di “due stati, due nazioni”.

In maniera molto diretta, l’Albanese ricorda che la forma organizzativa dello stato-nazione è storicamente occidentale, ma non è l’unica forma di organizzazione possibile al mondo e non è sicuramente imponibile dall’esterno - bianco e privilegiato - a chi dovrebbe poter autodeterminare i propri territori e le proprie vite secondo forme organizzative e politiche prima di tutto libere dalla guerra. 

Cogliendo nello spirito e nella concretezza l’invito di Francesca Albanese a mobilitarsi nei nostri luoghi di vita per denunciare ciò che realmente accade in Palestina ogni giorno, alla fine dell’intervento della relatrice alcuni componenti del Senato degli Studenti, del collettivo Liberi Saperi Critici e del collettivo Cocomero hanno presentato la mozione sul cessate il fuoco in Palestina scritta nel corso degli ultimi mesi di mobilitazioni, occupazioni, assemblee ed eventi di approfondimento che hanno coinvolto moltissimi studenti, docenti e componenti del personale tecnico/amministrativo sia di IUAV che di Ca’ Foscari. La raccolta firme – che ha già raggiunto circa un migliaio di persone - è rivolta a tutti gli atenei veneziani e, oltre a esprimere solidarietà alla popolazione palestinese, chiede a IUAV di interrompere le collaborazioni tra l’Università ed enti governativi, culturali, aziende e società connesse a Israele, denunciando altresì il rapporto compromettente della CRUI con la fondazione culturale MedOr un ramo di Leonardo SpA.

Gli studenti chiedono, dunque, un’urgente presa di posizione istituzionale in favore di una azione per un cessate il fuoco definitivo nel rispetto del diritto umanitario internazionale, dell’interruzione dell’invio di armi ad Israele, della fornitura di aiuti umanitari e della protezione da parte delle Nazioni Unite nei confronti l’intera popolazione palestinese, nonché la denuncia incondizionata delle politiche razziste, suprematiste e coloniali del Governo israeliano.

Questo perché, di fronte all’incapacità dei nostri governi di schierarsi per fermare questo genocidio, l’Università – sia in quanto istituzione che comunità accademica – deve essere in grado di assolvere al suo compito di prendere posizione, sviluppando e approfondendo saperi critici rivolti verso un futuro libero da ogni forma di colonialismo, razzismo e fascismo. Perché, come ci ricorda l’Albanese, «abbiamo un potere enorme di decidere quanta gente vivrà e quanta ne morirà in base alla complicità che abbiamo con Israele». Continuare a raccontare la crudele verità del colonialismo sionista e provare a minare alla complicità internazionale che lo legittima significa fare la nostra parte per immaginare davvero una Palestina viva e libera. Ecco perché il lavoro di Francesca Albanese è così importante.