Elezioni in Perù, cambiare per rimanere uguali

13 / 4 / 2021

Domenica scorsa è stata giornata di elezioni in Perù, cosa che nel contesto di una crisi istituzionale permanente e l'obbligatorietà del voto è passata quasi come un'azione di routine, grazie anche alla consapevolezza che nessuno avrebbe mai potuto vincere al primo turno. Immersa nella più profonda disillusione politica, la popolazione peruviana è abituata a votare il meno peggio, cosciente che non saranno le elezioni presidenziali a cambiare le sorti del Paese.

Diciotto i candidati, fra i quali ultraconservatori ed estremisti religiosi, la figlia dell'ex dittatore Fujimori, figure della presunta sinistra istituzionale (le poche ancora non in carcere per corruzione) e qualche outsider, nonché un'ex portiere di una delle squadre di calcio di Lima, l'Alianza. Nessuno ovviamente ha staccato nettamente gli avversari, la quota di elettori invece che nei giorni scorsi ha dichiarato di non sentirsi rappresentata da alcun candidato sfiorava il 30%, percentuale con molta probabilità sottostimata dai sondaggi (l'assenteismo, punibile per legge, ha raggiunto il 27%).

I risultati non sono ancora definitivi, sembra però ormai scontato il vincitore del primo turno e primo sfidante al ballottaggio di giugno. Dopo oltre l'ottanta per cento di seggi scrutinati, il più votato in questa prima tornata è stato a sorpresa un candidato di “sinistra”, Pedro Castillo di Perù Libre, col 18,5% delle preferenze. Professore, mischia valori di sinistra a un conservatorismo populista, ha proposto la pena di morte per i corrotti nonostante il leader del suo partito, Vladimir Cerrón, attualmente sta scontando una pena di quattro anni per corruzione.

La lotta al secondo posto, che garantisce il passaggio al ballottaggio, è invece più serrata. Tre le liste a contendersi la parte di sfidante di Castillo: Keiko Fujimori, restauratrice della dittatura paterna e già condannata per corruzione nel famoso caso Odebrecht, al 13,2%, Hernando de Soto, economista ultra neoliberale, al 12,1%, Rafael López Alliaga, conservatore membro dell'Opus Dei, al 12,0%. Tre candidati della peggior destra (alla Bolsonaro per intenderci). Punti cardine dei loro programmi la privatizzazione selvaggia per lo sfruttamento delle risorse, la discriminazione delle minoranze e delle donna con chiare posizioni antiabortiste e clericali, asservimento all'OEA e agli Stati Uniti.

Fuori dai giochi e più staccati, troviamo intorno all'8% Yonhi Lescano, centrista, e Veronika Mendoza, candidata di Juntos por Perù e unica flebile speranza di rinnovamento per la sinistra di popolo che era scesa in piazza pochi mesi fa. Mendoza è infatti l'unica candidata ad aver posto l'accento sul rafforzamento della sanità pubblica, la protezione dell'ambiente e politiche di sostegno alle classi popolari per l'emergenza Covid-19, con un piano economico espansivo e ambizioso. Mendoza è anche l'unica ad aver presentato un programma di coordinamento con le popolazioni indigene per garantirne l'autonomia e l'autodeterminazione.

L'incertezza nel determinare chi sarà a sfidare Castillo al ballottaggio non si riflette nell'incertezza di ciò che si prefigurerà in futuro per il Paese: chiunque sarà Presidente non rappresenterà quel cambio di rotta tanto auspicato dalla popolazione. Populismo e corruzione rimango istituzione in Perù, nonostante slogan e programmi.

Il cammino verso queste elezioni è stato lungo e tortuoso, a tratti drammatico per la pandemia e le proteste di piazza seguite alla destituzione dell'ex presidente Vizcarra. Ciò che appare evidente è che il Perù non ha intrapreso quel cammino di rinnovamento tanto invocato, rimanendo sempre uguale a sé stesso incapace di riformarsi dall'interno. Alla luce di questi risultati appare ancor più evidente la grande sconfitta del popolo peruviano nella mancata convocazione (parallelamente a quella per il congresso) di un voto su una nuova assemblea costituente capace di rinnovare realmente lo scenario politico, come si spera avvenga in Cile (che ha rimandato la votazione a causa della pandemia). La costituzione fujimorista ancora in vigore in Perù è l'ostacolo più grande al rinnovamento, ma finché saranno questi candidati a decidere se cambiarla o meno, le speranze si affievoliscono ad ogni tornata elettorale.