Due parole: dissenso e repressione in Russia in tempo di guerra

12 / 6 / 2023

Tra i miei tanti “sogni di gioventù” c’era quello di diventare giornalista, che per un attimo si era incrociato con quello di studiare all’università di San Pietroburgo, creando dunque la stupidissima idea di iscrivermi a giornalismo in Russia.

Per fortuna m’innamorai di un bassanese e decisi piuttosto di continuare ad imparare lingue slave a Venezia, perché in fondo, anche fossi diventata brava come lei, di fare la fine di Anna Politkovskaja, ammazzata il giorno del compleanno di Putin, non avevo nessuna voglia.

Difficile però sfuggire al russo a cavallo di un orso. Quasi rido. Mi trovavo all’ospedale psichiatrico di Brno l’anno scorso, in visita ad un’amica che non aveva retto lo scoppio della guerra vicina, quando un amico ceco mi disse che l’ONG in cui lavorava era già stata inserita nella black list di Putin.

Scrivo queste parole e un rumore molesto seppur innocuo alla finestra mi ricorda che l’orso sarà anche tozzo e non correrà veloce come un cavallo, ma se vede un pericolo ti fa passare ogni voglia di ridere.

Che fine fa il dissenso russo? Ma quale dissenso? C’è ancora qualcuno che ci prova?
Qualche mese fa sono venutə a sapere che dall’inizio della guerra all’Ucraina sono stati più di cinquanta gli incendi dolosi a sedi militari, automobili di alti dirigenti del corpo militare e uffici amministrativi in vari luoghi della Federazione Russa. Perché nessuno ne parla? Perché non passano le informazioni? Perché ci interessa solo quanti e quali carri armati manda la Germania? Mi chiedevo se fosse l’inizio di una guerra anche civile. Ma attivandomi ho scoperto come al solito che le informazioni vanno ricercate ed analizzate a fondo, per identificare un fenomeno e farsene un’idea.

Partiamo dunque da questo “dissenso violento” contro le cose per scoprire che il dissenso vero, in Russia, è spesso e soprattutto quello più sottile, ingegnoso, artistico ed audace. Torte con messaggi ribelli in vendita, affissioni sui muri, manifestazioni a viso scoperto, poesie, sculture come installazioni interattive in piazza. Mentre i suddetti incendi sono il frutto di nientemeno che delle truffe telefoniche, pianificate sì con un curioso interesse anti-mobilitazione e pro-ucraino, ma con il principale scopo di indurre lə malcapitatə a donare soldi “per la causa”, per salvare i soldati russi, o per farsi aiutare ad uscire dalla situazione in cui si è cacciatə con il suo attacco molotov.

Difficile dire se tutti gli attacchi abbiano avuto questa matrice. Alcuni sono stati ricondotti all’estrema destra, altri non per forza a truffe. Difficile valutare perché questi attacchi si siano intensificati al momento della mobilitazione di fine settembre, se per ragioni politiche o di nuovo strumentali ai truffatori. Sappiamo che si presentano con una certa regolarità da fine febbraio dell’anno scorso, l’ultimo pochi giorni fa, il 7 giugno. Sono stati quasi cento, e chi li compie rischia fino a 20 anni di prigione con l’accusa di terrorismo[1].

Le pene per tradimento dello Stato sono state aggravate di recente, a metà aprile. Il tradimento massimo, inteso come spionaggio o diffusione di informazioni segrete, può essere ora punito anche con sentenze di carcere a vita. Tra vari altri reati ci sono poi gli atti terroristici (fino a vent’anni appunto), l’incitazione ad essi (7 anni) e la concorrenza di reato (15 anni). Non si fanno sconti a nessuno, che le loro azioni siano indotte da una truffa o meno, e dure conseguenze toccano ora a chiunque compia un’azione di protesta contro la guerra.

Le accuse non mancano infatti d’essere estremamente arbitrarie. A inizio maggio di quest’anno sono state incarcerate per apologia di terrorismo Evgenija Berkovič e Svetlana Petrijčuk, per uno spettacolo teatrale che hanno scritto e diretto nel 2020[2]. Hanno raccontato la storia - ispirata a fatti reali - di alcune donne che vengono sedotte da dei terroristi islamici on-line. L’opera è intrinsecamente femminista e parla di come queste donne passino da un ciclo di abusi e violenze ad un altro, in cerca di protezione. L’accusa è anche di “femminismo radicale”. Il punto però è che l’anno scorso, a guerra già iniziata, Berkovič ha pubblicato una poesia contro la guerra che ha fatto il giro della Russia.

Non ci serve né il vostro orgoglio

né la vostra vergogna celata.

Ti prego, io voglio

che la mia persona sia infin dimenticata[3] .

Chi sta parlando in questo pezzo della poesia è il fantasma di un nonno morto in guerra. Parla al nipote, chiedendogli di non elogiare vittorie a nome suo su Facebook.

A supporto di Berkovič e Petrijčuk - e contro la repressione culturale - ha avviato una petizione la Novaja Gazeta, il giornale per cui Anna (Politkovskaja) scriveva. Un giornale storico, che ha dovuto sospendere le sue pubblicazioni ad un mese dall’inizio della guerra, preso di mira come tanti altri media dalle autorità russe. L’obbligo di registrarsi come “agenti stranieri” riguarda infatti qualsiasi persona fisica o giuridica che subisca l’influenza di enti esteri o sia da essi finanziati. Ad esso seguono i controlli costanti, le forti sanzioni che costringono a chiudere, le incarcerazioni per attività che minacciano la costituzione, la sicurezza e la possibilità di difendere lo Stato. Oltre all’obbligo di avvertire il pubblico che si è agenti stranieri. La “guerra fredda” non è mai davvero finita non solo per lo Stato, ma anche per moltə cittadinə russə, prevenutə rispetto alle influenze estere sull’informazione e l’iniziativa. Sono perciò pericolose anche le organizzazioni no-profit (per i diritti umani, per l’ambiente, etc.), come pure i loro “affiliati”, per esempio i parenti di chi ci lavora, che potrebbero fare da intermediari alle attività di finanziamento.

Meduza, uno dei principali media russi apertamente contro la guerra, è stata inserita a gennaio di quest’anno nella lista delle organizzazioni “indesiderate” ed ha così pubblicato una serie di FAQ per lə suə lettricə: potete o non potete metterci i like, condividere i nostri articoli (o re-postarci)? Meglio di no, anche se nessuno per ora ha vietato di leggerci. Dovreste cancellare i vecchi re-post? Meglio di sì. Per un’eventuale prescrizione non varrebbe la durata dalla data in cui avete effettuato il re-post, bensì quella dalla data in cui l’organo di controllo comunica di averlo trovato.

Come mi raccontava una fidata amica russa - e come confermano alcune fonti internazionali ed associazioni per i diritti umani – la polizia non si è fatta scrupoli a costringere i passeggeri della metro di Mosca a mostrare loro i messaggi privati sul cellulare. L’operazione militare speciale (così chiamano ufficialmente l’attacco all’Ucraina) non s’ha da criticare in alcun modo.

Per aver condiviso un articolo su Facebook c’è chi rischia tre anni di prigione, come Oleg Orlov, accusato di aver screditato l’armata russa. Oltre a questo capo d’imputazione, Orlov ha ricevuto due multe per picchetti contro la guerra in Ucraina ed era stato già oppositore della guerra in Afghanistan nell’inverno 1983, ma era sfuggito al KGB, facendosi ritrovare quarant’anni dopo. Per venti minuti di “fake news”, cioè un video sul massacro a Buča, l’attivista e politico (nel partito Jabloko) Il’ja Jašin sta rischiando 8 anni e mezzo di carcere.

In questo quadro di repressione appare chiaro il coraggio di chi decide di preparare una torta con i colori della bandiera ucraina, una colomba, la scritta “no alla guerra”, o dei tortini uno con su scritto “voi avrete molto successo” (a mo’ di augurio da biscotto della fortuna) e l’altro “non lo avrà Putin”. Lə pasticcerə contro la guerra sono statə variə e Meduza ne ha raccolto le foto tenendo i loro nomi nascosti per sicurezza. Conosciamo però il caso di Anastasija Černyševa e colleghə, che quest’anno ad aprile hanno ricevuto una visita della polizia per l’apertura di un protocollo d’accusa: anche loro screditano il corpo militare russo.

Nell’anonimato rimane anche l’artista di strada BFMTH (@xbfmthx) (“true till death”), di Ekaterinburg. I suoi poster si vedono anche a Mosca e San Pietroburgo, come quello ironicamente chiamato “di campagna elettorale”. Ci sono Putin che spala della terra e due scritte. Sopra “un Paese grande” e sotto “c’è terra per tutti”, giocando con il doppio significato di “terra”, quello geopolitico e quello materiale di terriccio, per ricoprire i morti.

Anche Yav (@yav_zone), collettivo di artistə di strada russə, si è espresso contro. In particolare quest’anno per la ricorrenza del Giorno della Vittoria  ha esposto a San Pietroburgo la raffigurazione di protesi decorate da ornamenti russi, per ricordare come i soldati torneranno dalla guerra se torneranno. Hanno chiamato l’esposizione “Cyberpunk russo”. Chi le capisce (o anche no) può comprare una copia di alcune loro opere qui  e se siete appassionatə d’arte di strada c’è, o meglio c’era anche @zoomstreetart, mortə di recente e sempre rimastə nell’anonimato.

Capita che qualcosa passi inosservato. A Irkutsk l’installazione “Albero della vita” ha visto partecipare moltə cittadinə che – il 6 giugno appena scorso - hanno scritto i propri auguri di pace, libertà e fine della guerra su delle strisce di carta per poi attaccarle alla scultura di base. Alle volte invece la polizia interviene tempestivamente, picchiando chi manifesta sul luogo. È stata la sorte di Aleksander Poskonnyj, che è entrato ad una fermata della metro reggendo la bandiera ucraina. “Fatalità”, è successo il giorno dopo che la stessa scena era stata mostrata in un nuovo episodio dei Griffin.

Lə cittadinə hanno manifestato in questi mesi con cartelli vari, venendo portatə via dalle forze dell’ordine e accusatə di screditamento dell’armata. Il ventenne Gorbunov ha fatto in tempo a ricevere 50 abbracci, in un’ora, prima che lo arrestassero. Il suo cartello diceva: “Abbracciami se sei contro la guerra”. <3

Moltə giovanə del movimento Vesna[4] hanno lasciato il Paese, variə sono statə arrestatə in questi mesi per aver organizzato e partecipato alle manifestazioni di protesta, moltissimi (circa la metà) dei casi di accusa di screditamento del corpo militare partono da informazioni trovate sulla pagina Instagram di Vesna, mentre quattro dellə suə attivistə sono adesso in custodia cautelare e il movimento è stato dichiarato anch’esso agente straniero estremistico verso la fine dell’anno passato.

Visto che ci siamo, parliamo degli arresti per la partecipazione a manifestazioni. Da febbraio 2023 sono stati più di 15000 secondo OVD-Info, progetto mediatico indipendente in difesa dei diritti umani. I numeri più alti risalgono a quando la guerra era appena iniziata, poi sono diminuiti ma non perché diminuisse la repressione in sé. Di fronte ad essa, di fronte alle conseguenze economiche della scelta bellica del governo, di fronte alla mobilitazione, come sappiamo, moltə hanno preferito emigrare. Circa 2000 persone delle oltre 15000 che hanno fatto richiesta nel 2022 hanno ottenuto asilo in Europa, superando le cifre prepandemiche. Di sicuro centinaia di migliaia di persone hanno semplicemente lasciato il Paese, forse un milione, forse di più, qualcunə se n’è andatə ed è dovutə tornare perché non ha ricevuto un visto, un permesso di soggiorno, o non ha trovato un lavoro, moltə sono direttamente rimastə perché non sapevano dove e come andarsene. È anche questo un dato del dissenso.

Di modi per sfuggire al servizio militare ce ne sono poi tanti. Grigorij Sverdlin ha chiamato con uno di essi il suo progetto di supporto allə fuggitivə: “Idite lesom”, cioè andate per la foresta. Lo sapete su che cosa registravano i dischi di musica straniera o di musicistə emigratə, in URSS, negli anni Cinquanta? Sulle lastre a raggi X. C’è una bella TED Talk di Stephen Coates al riguardo. Mi ha fatto piangere[5], quando ha cominciato a parlare dell’ostinazione con cui Bogoslowski si rimetteva a produrre musica proibita dopo ogni permanenza (di due anni in due anni) nei Gulag.

Il dissenso è fatto di tante, singole, coraggiosissime persone, in carne ed ossa. Dice Coates: “Immaginate che vi controllino i cellulari per sapere che musica ascoltate”. Ecco, immaginate che vi controllino i social all’entrata della metro. Non tanto per necessità (anche se non me ne intendo di sicurezza cibernetica) ma più per avvisarvi che siete in un regime totalitario e totalizzante.

A proposito di musica, il 10 giugno 2023 il gruppo “Zveri” (Bestie) è stato cancellato dal programma culturale del Forum Economico di San Pietroburgo per le posizioni anti-guerra del suo frontman Roman Bilyk, il cui padre è ucraino. Alla musicista Zemfira, che ora vive a Parigi ed è agente straniera, stanno sequestrando un costoso appartamento a Mosca. E a Yurij Ševčuk della band DDT è stata data una salatissima multa per aver detto che la gente sta venendo ammazzata in Ucraina[6].

Alla mano totalizzante si è sottomessa anche l’istituzione religiosa della chiesa ortodossa, che ha condannato pochi giorni fa il sacerdote Joann Burdin per pacifismo eretico - e per screditamento dell’armata, ovviamente. Il museo etnografico russo ha appena ripulito la sala dedicata alla cultura ucraina, ora destinata ad esposizioni temporanee. L’organo di controllo dei media, il Roskomnadzor, ha bloccato l’accesso a vari siti di informazione russi ed esteri in lingua russa, definendola “censura di guerra”. Sempre pochi giorni fa la Commissione etica dell’SPBGU, università statale di San Pietroburgo, ha espulso 10 studenti iscritti a vari anni del corso di storia per le loro opinioni anti-SVO (Special’naja Vojennaja Operacija, quell’operazione militare speciale). Se questa è una scelta etica.

Le forme del dissenso diretto alla guerra sono state tante: performance, dead-in, blocchi stradali tenuti dalle mogli di soldati di cui non si avevano più informazioni dall’armata, centinaia e centinaia di soldati hanno disertato o hanno disobbedito agli ordini. Sono state scritte e firmate molte lettere aperte e petizioni, a volte per categorie di rappresentanza (professoressə, dottoressə, architettə, comichə, etc.). Alcune persone hanno perso il lavoro per averle firmate. Altre sono state accusate come Jašin di diffusione di fake news, con la strumentalizzazione di un altro articolo del codice penale. Le accuse di screditamento dell’armata sono state più di 7000 dall’inizio della guerra[7] e sono in crescita esponenziale. Bastano una scritta nella neve, un cartello con scritto *** ***** (chiaro rimando allo slogan “net vojne”, no alla guerra), o addirittura un cartello bianco.

La protesta si è fatta allora ancora più ninja. A parte le manifestazioni al momento della mobilitazione di settembre[8] non si è tornatə quasi più in strada. Ad oggi la voglia di metterci il nome e la faccia sta passando, perché vuol dire appunto finire in prigione e metterci tutto il corpo. Le ragazze arrestate alle manifestazioni sono state anche minacciate di stupro, dalle forze dell’ordine, mentre qualcuno è anche stato realmente violentato con il manganello, picchiato, torturato.

Il movimento Vesna ha creato il canale Telegram “Vidimyj protest”, protesta visibile, @nowarmetro. Lì condivide le foto di volantini, post-it ed altro materiale attacchinato o disegnato in giro per le città e per i parchi. Insieme alla foto pubblica lo schema delle telecamere di quella regione, una guida per l’attacchinaggio sicuro ed una mappa delle prossime azioni.

La “resistenza femminista contro la guerra” (FAS – Feministskoe antivoennoe soprotivlenie), fondata al secondo giorno di attacco all’Ucraina come raggruppamento di tutte le forze femministe della Federazione russa ma anche internazionali, ha organizzato molte proteste silenziose: lasciando fiori con nastri gialloazzurri sui monumenti dei caduti in guerra, scrivendo slogan sulle banconote, realizzando installazioni artistiche nei parchi, vestendo di nero, regalando fiori. Come dice una delle sue portavoce, Dar’ja Serenko, bisogna prestare costante attenzione ai nuovi limiti della legge. Si devono inventare ogni volta nuove tattiche di manifestazione contro la guerra e di dimostrazione di solidarietà. Per aver sostituito i prezzi al supermercato con delle frasi sulla guerra, Saša Skočilenko ha già passato un anno in prigione, senza poter ricevere visite fino a poche settimane fa, e rischia di passarci altri dieci anni. Saša è artista e musicista ed in passato aveva pubblicato libri e fumetti sul tema della salute mentale.

Il movimento femminista ha un suo giornale samizdat (autopubblicato), ”La verità femminile”, Ženskaja pravda, ed ha un’alta partecipazione anche tra le donne adulte ed anziane. Tra le altre cose, dà supporto alle persone ucraine che si trovano in territorio russo, perché possano andarsene in sicurezza, ma anche solo sopravvivere lì, ottenere documenti d’identità, di invalidità, aiuti umanitari e sussidi statali.

Un’altra associazione che si occupa di questo tipo di supporto è Graždanskoe sodejstvie, Assistenza civile, anch’essa dichiarata agente straniero, mentre un bot (@tvrainalert_bot) gestito dal canale tv di opposizione Dožd (Pioggia) raccoglie informazioni sullə bambiə ucrainə ospitatə in centri e famiglie russə.

I bot su Telegram sono un’altra delle forme di organizzazione della protesta. Uno di questi è @agsnowarbot , che ti aiuta a trovare supporto legale, sia per le condanne, sia per delegare e consegnare i documenti necessari a ritirarsi dall’obbligo di servizio militare, cosa che puoi fare per esempio se vivi all’estero da più di sei mesi con un qualche permesso ufficiale. Lə creatricə del bot inoltre collaborano con il movimento per lə obiettorə di coscienza al servizio militare (@stoparmy, anche su Youtube) e con l’associazione (anch’essa creatrice di un bot, @blackfeb) Černyj fevral’, Febbraio nero, sempre in supporto allə condannatə o imputatə. A maggio di quest’anno sono comparse delle ghirlande funebri su alcuni palazzi dell’amministrazione. “Qui è sepolta la legge”, c’era scritto sulle fasce delle ghirlande.

Un altro servizio on-line resistente è @brave_partizan_bot, che aiuta ad organizzare azioni creative e sicure, guidandoti come singolə o come collettivo o verso un collettivo, dando indicazioni e materiali per agire, facendoti prima scegliere il livello di rischio dell’azione e suggerendo poi cosa fare e non fare, ispirandosi ad esempi concreti di esperienza dellə altrə partigianə. “Sappiamo che non fermeremo la guerra con dei post-it, ma sapere di non essere solə farà la differenza”.

Meduza ha pubblicato a marzo una breve lista di cose che screditano l’armata russa, facendo riferimento per ognuna ad un caso specifico. Ecco la lista per voi tradotta:

1. Una citazione dalla Bibbia

2. Un poster con scritto “Il fascismo non passerà”

3. Una citazione di Vladimir Putin

4. Supporto silenzioso allə manifestanti

5. Un sogno con Vladimir Zelenskij

6. Un foglio bianco

7. Il libro “Guerra e pace”

8. Vestiti giallo-azzurri

9. Un nastrino verdeù

10. Un like ad un video con Schwarzenegger

11. Un sermone in chiesa

Per oggi (12 giugno 2023) i media indipendenti russi hanno lanciato una maratona di solidarietà con i prigionieri politici in Russia, riunendosi tutti sotto un unico canale dalle 9 del mattino alle 10 di sera (GMT+3). Il tag è #тынеодин , cioè non sei solo.

Forse la mia idea di andare a studiare da loro non era poi tanto stupida. Il no alla guerra, in russo, si dice in due parole.

Foto di copertina: l’attivista Andrej Kalašnikov è sceso in piazza a Saratov l’11 giugno 2023 in occasione del Giorno della Russia, quello successivo: il 12 giugno 1990 è stata dichiarata l’indipendenza della Russia. Con una serie di cartelli Andrej ha ricordato allə passanti che nella Dichiarazione d’indipendenza sta scritto “Il territorio della Federazione russa non può essere modificato senza la volontà manifesta del popolo, espressa attraverso un referendum”.

* Neré Silvia, autorə dell’articolo, ha una laurea triennale in lingue e culture slave e un’ottima comprensione del russo. Ha vissuto un anno a Ufa (capitale del Bashkortostan, in Russia), partecipando ad un programma A.F.S., quando aveva 16 anni. Si interessa di politica russa seguendo canali Telegram (per esempio OVD-info Live e SOTA), giornali on-line indipendenti come Meduza e Holod, ed altri media in russo, inglese, italiano e ceco. Se volete sentire qualche altra storia, più o meno personale, scrivetelə su Telegram @neresilvia


[1] Ora anche la riabilitazione psichiatrica, affibbiata poco tempo fa al sedicenne Egor Balazejkin, detenuto dopo i suoi tre attacchi molotov.

[2] L’opera ha pure vinto due “Maschere d’oro”, premi all’arte drammatica, e le sue creatrici si trovano ora in uno storico carcere politico, il Lefortovo.

[3]  Traduzione personale di un pezzo della poesia di Berkovič.

[4] Vesna significa primavera, come questa canzone del quartetto ucraino DakhaBrakha.

[5] E mi ha ricordato questo episodio d’un podcast sullə ribellə nella storia.

[6] Sia Zemfira che i DDT hanno composto la colonna sonora dell’anno Intercultura che ho passato ad Ufa.  Sia lei che Ševčuk ad Ufa ci sono cresciutə. La canzone che ho linkato dei DDT, Eto vsë, la suonavo lì con la mia band, io alla batteria. L’ho risentita dal vivo il 24 aprile di quest’anno. Ero sedutə in Campo Santa Margherita a Venezia e avevo finito poco prima di parlare allə miə amichə di come il campo fosse cambiato, già quando ci vivevo io a Venezia, perché non ti lasciavano più suonarci la chitarra, sederti in cerchio a socializzare con persone belle e sconosciute. E dietro di me qualcunə comincia a suonare la chitarra e a cantare. Eto vsë, čto ostanjetsja posle menja. Questo è tutto ciò che resta dopo di me.

[7] La prima accusa il 5 marzo 2022.

[8] Tra cui molto forti e combattive sono state quelle in Dagestan.