"Non abbiamo intenzione di rimanere in Afghanistan: questo deve essere molto chiaro. Il nostro obiettivo laggiù è quello di sconfiggere Al-Qaeda, impedire che l'Afghanistan torni a essere un rifugio sicuro per i terroristi. Capiamo che il popolo afgano abbia bisogno di aiuto per difendersi dai talebani, ma il nostro impegno principale è nei confronti del popolo americano. Non ci facciamo illusioni: sono finiti i giorni in cui si parlava di come aiutare gli afgani a costruire una democrazia moderna, uno Stato efficiente e tutte queste cose meravigliose: il nostro obiettivo primario è la sicurezza degli Stato Uniti d'America, è come proteggere e difendere il nostro paese da futuri attacchi.".
Il vero nemico. Le parole pronunciate dal segretario di Stato Usa Hillary Clinton nel corso del suo intervento a 'This Week', il popolare programma televisivo della domenica mattina della Abc,
sono la conferma del fatto che l'amministrazione Obama ha deciso di
disimpegnarsi dall'Afghanistan, portando avanti la lotta contro "il
vero nemico", Al-Qaeda, ma rinunciando alla guerra contro i talebani e
alla costruzione della democrazia a Kabul.
Il che non significa
che Obama non invierà in Afghanistan i rinforzi chiesti dai suoi
generali sul campo, senza i quali Usa e Nato perderebbero la guerra in
pochi mesi e malamente. Questa è una necessità tattica, di breve
periodo. Ma la strategia di lungo periodo è un'altra, è quella del
vicepresidente Joe Biden: passare gradualmente da una guerra
convenzionale contro i talebani a operazioni limitate contro Al-Qaeda,
ritirando le truppe regolari e lasciando sul campo forze speciali e
intelligence, collaborando con il governo afgano, qualsiasi esso sia,
talebani compresi.
Exit strategy. La svolta era nell'aria già dalla
fine di ottobre, quando i ministri della Difesa della Nato riuniti a
Bratislava, in Slovacchia, hanno stabilito una ‘exit strategy'
dall'Afghanistan, decidendo di anticipare la cosiddetta ‘fase 4' della
missione Isaf, ovvero quello del passaggio completo della gestione
della sicurezza nazionale all'esercito e alla polizia afgana e quindi
il ritiro delle truppe alleate. Un processo che, stando alle
dichiarazioni di diversi esponenti dell'Alleanza atlantica, dovrebbe
completarsi nel giro di cinque anni, entro la fine del 2014. Per quella
data le forze armate afgane, esercito e polizia, dovrebbero diventare
400mila, dai 180 mila attuali.
Lo scopo è ‘afganizzare' il conflitto
per porre fine a un impegno militare diretto sempre più impopolare in
occidente. L'effetto sarà quello di lasciare in eredità all'Afghanistan
una guerra civile ‘indotta' dall'esito scontato: la vittoria dei
talebani. Insomma, quello che accadrebbe comunque, ma con la differenza
- non da poco - che ad essere sconfitti saranno gli afgani, invece
delle truppe alleate.
Talebani già al potere. Sul terreno, in
Afghanistan, il disimpegno militare degli Stati Uniti è già iniziato, e
anche in maniera piuttosto precipitosa.
Nella strategica provincia
orientale del Nuristan, per mesi teatro di feroci combattimenti tra
talebani e truppe Usa, queste ultime si sono ritirate da tutte le basi
di montagna ripiegando nel capoluogo e lasciandosi indietro ingenti
quantitativi di munizioni.
I talebani, oltre a impossessarsi del prezioso materiale bellico statunitense, hanno subito preso il controllo dell'intera provincia, istallando un governo che ora opera alla luce del sole.
Il neo-governatore talebano, Dost Mohammad, intervistato da Al Jazeera
ha spiegato che "il territorio è stato suddiviso in nuove unità
amministrative, sono stati nominate nuove autorità locali, un
dipartimento della giustizia e una commissione per la promozione della
virtù e la prevenzione del vizio. Ora stiamo lavorando a soddisfare i
bisogni primari della popolazione".