Dei cinquemila migranti nell’isola, appena arrivati ne abbiamo avuto
subito l’immagine. La fotografia della situazione che ci narravano
prima di atterrare era di un contesto assurdo, sregolato e
disorganizzato.
Ed è proprio così.
I migranti circolano disorientati nell’isola completamente spaesati
senza aver alcun punto di riferimento, se non i cittadini e alcuni
operatori di ong , sotto lo sguardo delle forze dell’ordine in preda al
panico dopo l’ultimo sbarco.
Gli sbarchi non possono essere definiti tali, nessuno arriva diretto
nella costa e nessuno raggiunge direttamente il suolo senza essere
stato prima ancorato dalla guardia costiera e trainato verso riva: a 50
miglia dalla costa infatti le imbarcazioni di fortuna vengono
intercettate e condotte nel porto lampedusano. E’ la dimostrazione del
fatto che proprio quest’isola e non altre coste, è stata scelta come
unico luogo dell’emergenza, valvola regolabile a comando in base alle
necessità della politica, che sulla spettacolarizzazione di questo
luogo contratta con l’Unione Europea fondi e poteri.
Il centro di accoglienza i primi giorni dopo l’apertura è esploso per
l’eccedenza dei migranti che hanno di gran lunga superato il numero
della popolazione.
Inizialmente una zona dello stesso centro era stata adibita
all’accoglienza delle donne e dei minori non accompagnati. Ma l’aumento
degli migranti ha reso necessario l’individuazione di un nuovo luogo
per l’accoglienza dei più vulnerabili, il Museo del mare che il Comune
ha concesso per l’esigenza. Un’altra soluzione che dopo poco si è
dimostrata insufficiente ed ingestibile, come capiamo dai tanti
minorenni dall’aria un po’ smarrita che a noi chiedono dove andare, a
chi rivolgersi, come fare.
Appena arriviamo nel porto da dove seguiamo in diretta il collegamento
con Annozero, decine e decine di migranti ci circondano con mille
domande, ci chiedono consigli, ci chiedono che ne sarà di loro, quale
soluzione è prevista, ma soprattutto che tutti hanno le famiglie in
Francia ad aspettarli. Il timore più serio è quella di essere
rimpatriati in Tunisia. Rispondiamo che il Governo lo farebbe
immediatamente se potesse e che il trasferimento da Lampedusa verso la
terraferma non significa libertà ma detenzione in campi, che Lampedusa
è una pedina in uno scacchiere politico in cui l’Italia sta cercando di
collocarsi. Cerchiamo di spiegare che ancora nulla è stato deciso, e
che insieme dobbiamo capovolgere definizioni ed etichette, come quella
di clandestini appiccicata a loro.
Nella spiaggia di fronte al porto si ergono numerose tende montate su
barconi capovolti.
Elemento sconvolgente della prima serata passata nell’isola è di sicuro
l’assenza dello Stato, anche in termini di aiuti e servizi basilari:
una città militarizzata, i migranti abbandonati a se stessi, l’acqua in
esaurimento, le condizioni igieniche preoccupanti. L’unica ancora di
salvezza è l’intervento della cittadinanza, che nonostante sia
preoccupata dell’avvicinarsi della stagione turistica (il turismo è la
principale fonte del guadagno), non smette di offrire tutto il suo
sostegno ai migranti.
Ne è un esempio l’associazione Askavusa che insieme ai migranti
organizza gruppi di pulizia delle strade dell’isola, che rischiano di
essere invase dai rifiuti. Dopo queste prime ore, capiamo che
innanzitutto qui serve acqua, cibo, coperte, bagni, luoghi dignitosi
dove dormire. E poi il veloce svuotamento di questa isola-prigione,
attraverso il riconoscimento della forma di protezione umanitaria.
Diritto di soggiorno europeo, questo è il primo passo necessario per la costruzione di una accoglienza.