Un’alternativa alla bce e a berlusconi

di Giuseppe De Marzo

9 / 10 / 2011

Più chiaro di così non si può. Le imposizioni della Bce, in accordo con il Fmi, dettate al governo Berlusconi non potevano essere peggiori: Riduzione degli stipendi, privatizzazioni, svendita del patrimonio collettivo e dei beni comuni, liberalizzazione dei servizi pubblici, contrattazione aziendale, precarizzazione del lavoro, pareggio di bilancio costituzionalizzato.

È molto di più che mettere al centro del progetto politico l’impresa e il profitto. È lo svuotamento di qualsiasi idea della politica, vista come ultimo orpello di una democrazia rappresentativa già commissariata da tempo.

La lettera di Draghi e Trichet è il diktat del nuovo ordine mondiale che non si nasconde più e viene allo scoperto proponendo la strada di uscita dalla crisi.

La politica, che in passato provava quantomeno a mediare o spingere posizioni differenti, in questo nuovo ordine non serve più,viene completamente sussunta.

Eppure sono in molti nel paese, fuori dalla casta politica, a dissentire.

Dove porterà la scelta di seguire il progetto della Bce? La maggior parte del paese è più povera, precaria, risparmia meno ed anche uno stupido capirebbe che piomberemmo nella morsa di quel mix mortale che rappresentano inflazione e recessione.

Eppure c’è una domanda crescente di servizi pubblici (materiali e immateriali) che una buona manovra potrebbe sostenere con investimenti diretti.

Ma chi lo ha stabilito che è reato sostenere la domanda interna attraverso investimenti dello Stato?

Ma è la colonizzazione dell’immaginario politico del centrosinistra che lascia sgomenti. Dopo aver teorizzato la fine delle ideologie ce ne propongono surrettiziamente un’altra ancor più violenta delle precedenti.

Se il centrosinistra accetterà di farsi cavallo di troia di questo pensiero, compirà una lacerazione irreversibile non solo con il proprio elettorato di riferimento ma con tutto il paese.

L’abbiamo detto tante volte e siamo sempre di più a dirlo: non basta cacciare Berlusconi, ci vuole un’alternativa.

Quella che si sta preparando è una guerra contro classi  medie e ceti deboli che non ha precedenti.

Ecco perché oggi per provare a costruire l’alternativa necessaria avremmo bisogno delle migliori menti, delle passioni più nobili, della creatività collettiva e sociale, di approcci plurali e innovativi, della partecipazione di molti.

Questo l’obiettivo lanciato nell’assemblea romana di Uniti per l’Alternativa lo scorso 24 settembre. Benessere senza crescita, redistribuzione, riplubbicizzazionedei servizi basici e difesa dei beni comuni, riconversione ecologica e terza rivoluzione industriale, reddito di cittadinanza, riterritorializzazione delle produzioni, sono alcune delle proposte sulle quali vorremmo aprire il confronto e che porremo al centrodel dibattito oggi a Roma in un altro incontro di Uniti per l’Alternativa.

Invece il centrosinistra accettando i diktat della Bce propone la stessa ricetta che ci ha fatto ammalare e che condannerebbe il paese al fallimento. La società civile chiede un cambio del modello di sviluppo, consapevole dell'insostenibilità sociale ed ambientale del modello capitalista. Solo dentro questa cornice capovolta di relazioni si può capire, non comprendere, perché il volere costituzionalmente espresso da 27 milioni di cittadini negli scorsi referendum sia diventato per la casta politica meno importante delle opinioni dei banchieri.

In questi ultimi trenta anni l’oggetto (ilmercato) si è fatto soggetto, mentre il soggetto (l’uomo) si è fatto oggetto. Questo stravolgimento legittima il processo che sista consumando a valle e la domanda urgente di cambiamento e di valori altri chela società italiana ha espresso con i referendum. Se la politica che dice di voler cambiare non coglie questa opportunità storica dimostra non solo di essere un ente inutile (il rischio di cui parla Bertinotti) ma giocando contro il popolo si suicida da sola.

In questa situazione e nel caos della crisi globale la manifestazione internazionale dell’indignazione del 15 ottobre contro il nuovo ordine delle banche diventa davvero per tutti e tutte una tappa fondamentale per il cambiamento. Può essere il fragoroso segnale di ripresa di parola da parte di coloro che continuano a pagare la crisi e subire l’arroganza di un sistema che ci vuole svuotati di qualsiasi dignità. Perché di questo si tratta.

Quando si rinuncia all’essere,non c’è progetto o avere che tenga.

Noi vogliamo tornare ad Essere. Solo così potremo ricostruire in maniera plurale uno spazio pubblico e comunitario dentro il quale pensare ed agire l’alternativa.

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