Una perplessa macchina da guerra

2 / 10 / 2011

Già nel 1994 la vittoria sembrava a portata di mano per la gioiosa macchina da guerra allestita da Occhetto e le cose andarono come si sa. Venne fuori una forza imprevista e saltarono tutte le previsioni, che si fondavano sulla debolezza dei vecchi partiti più che sull’efficacia di un nuovo progetto. Qualcosa di simile potrebbe verificarsi di nuovo: il centro-destra è allo sbando e i sondaggi conferirebbero alla triade Pd-Idv-Sel una maggioranza sufficiente per aggiudicarsi il premio, almeno alla Camera, mentre per il Senato occorrerebbe trattare con il polo di centro. Una vittoria per abbandono, senza che esista un progetto e una leadership della cosiddetta sinistra. Facile, fin troppo facile. Per avere dei dubbi basterebbe il fatto che questo governo, contro ogni logica e nella meraviglia degli osservatori esteri, non crolla. Disperato azzardo di Berlusconi e di suoi cortigiani? Certo. Paura di uno sconquasso finanziario, dovuto all’assalto degli speculatori nel vuoto di governo. Concediamolo. Ma c’è dell’altro. Dentro il Pdl in sfacelo esistono aggregati che aspettano ancora il momento giusto per uscire. Scajola e Pisanu, dentro. Bonanni ai margini. Anche il nucleo forte casiniano del polo di centro non scalpita per la crisi di governo e le elezioni anticipate –il terrore e la foia di Berlusconi non consentono altre uscite più morbide.

E poi, quel macigno: la predica del cardinal Bagnasco che sollecita i cattolici a guardarsi intorno distogliendo pudicamente lo sguardo dalla bestia indifendibile e decrepita. Non saranno prove tecniche di nuova Democrazia Cristiana, ma fine del collateralismo di fatto della Chiesa sì. E allora occorre prendere tempo, non tantissimo ma per il momento è meglio che Berlusconi resista, logorandosi, stillando tutto quanto rimane mentre gli altri si posizionano, Fioroni verso Bonanni, i molto divisi cattolici verso Casini, le bande Cl e Opus Dei che si guardano in cagnesco, la finanza cattolica che si riannusa e bada alle sberle internazionali. La debolissima tenuta di Ratzinger non facilita una soluzione unitaria. La storia non si ripete, ammonisce Pisanu, insomma ci sarà una formazione “culturale” cattolica, ma non proprio la vecchia Dc pre-Muro di Berlino. Intanto, che venga ammannita una legge elettorale che non schiacci sul bipolarismo. I tempi si allungano, la macchina da guerra (oddio...) bersaniana comincia a incepparsi per le manovre di Veltroni e si solleva un turbinio di polemiche su primarie di partito e di coalizione, di leadership e di programma. Dietro l’autolesionismo consueto della sinistra fa capolino il fantasma democristiano, nella misura in cui il berlusconismo in putrefazione fa meno paura. La crisi, come un tempo le grandi epidemie, fanno rilassare i costumi e i vincoli di partito. Così, dietro la schiuma degli Scilipoti e la coppola di Romano, riappare lo scudo crociato.

Operazione complessa e su cui occorrerà anche in futuro fare molte riflessioni. Dc vuol dire accorta (più accorta) gestione dei poteri forti e dei ceti di riferimento (Formigoni, Scajola, Mazzotta. Bazoli, Mirabelli), Dc vuol dire capacità morotea di ascolto e imbrigliamento del sociale. L’esponente più indicativo è Pisanu, la cui preoccupazione per il montare di un movimento di piazza dove l’esasperazione potrebbe aprire il varco a una violenza incontrollabile configura un’istanza complessa di controllo e interpretazione, infinitamente superiore alla stolta demagogia dipietrina e all’ottuso parlamentarismo pieddino. Pisanu formula (a rovescio, s’intende) il problema che hanno i movimenti: come esprimere un’alternativa radicale a un sistema irriformabile e come farlo producendo istituzioni e non solo protesta e fuochi d’artificio. Nel 14 dicembre 2010 confluirono maneggi parlamentari perdenti (e sempre peggio in seguito) e volontà di costruzione, mediante distruzione, di nuovi assetti sociali in alcuni settori chiave (scuola, contrattazione, precariato). Dobbiamo puntare solo sul secondo aspetto e intenderlo non come ritorno (a prima di Gelmini, ai privilegi dei garantiti, allo Statuto dei diritti e neppure a una Costituzione imbalsamata), ma come trasformazione istituzionale e sviluppo qualificato, autentica riforma della scuola e dell’università, reddito di cittadinanza e salario europeo, piena integrazione dei migranti, adeguamento della legge fondamentale e della legislazione ordinaria al mercato del lavoro postfordista e alla difesa emergente dei beni comuni. Una volta spazzata via merda e piscio berlusconiani, ci troveremo di fronte i progetti tecnocratici lacrime e sangue (irresponsabilmente avallati dal Pd) e probabilmente una gestione più politica, in analogia a quanto fece Moro negli anni ’70. Capire il quadro ci aiuterà in una lotta che non sarà di breve respiro.