Una crisi che è nata dal basso

Intervista al Prof. Toni Negri

9 / 10 / 2008

Sulla crisi "finanziaria" globale abbiamo intervistato il Prof. Toni Negri.

"Questa crisi scoppia negli Stati Uniti perché a un certo momento le banche non riescono più a pagare l’insieme di crediti che hanno coperto.
Questo succede perché da un lato si è alzato il livello generale dei costi della riproduzione del sistema, si sono poi aggiunti i costi della guerra che sono stati estremamente importanti negli Stati Uniti raddoppiando il debito pubblico americano.
Ma la cosa assolutamente centrale è stata la forma nella quale i governi americani, la politica americana, aveva impiantato il superamento del fordismo, cioè il sistema reaganiano, neocorservatore".
 
(durata 15:39)

Trascrizione intervista
In questo momento, da un punto di vista globale, la crisi, che era partita negli Stati Uniti ed era stata definita come crisi finanziaria, si sta allargando in una sorta di effetto domino non solo a livello di mercati internazionali, ma anche investendo direttamente le nostre vite. Perche' definiamo questa crisi finanziaria come una crisi strutturale di sistema?

Rispondere e' abbastanza difficile, devo dire. Intanto diciamo perche' questa crisi e' scoppiata. Esplode negli Stati Uniti perche' ad un certo punto le banche non riescono piu' a pagare l'insieme dei crediti che hanno coperto. Allora, questo accade per ragioni che sono assai chiare; da un lato, perche', con il costo del petrolio e delle materie prime, e’ cresciuto il livello generale dei costi di riproduzione del sistema. A questo si sono poi aggiunti i costi della guerra, che sono stati estremamente pesanti negli Stati Uniti, dove hanno raddoppiato il debito pubblico.
Ma la cosa assolutamente determinante e' stata la forma nella quale il capitale americano, il governo americano, la politica americana nel suo insieme, avevano impiantato il superamento del fordismo, cioe' il sistema neo-conservatore.
Come tutti sappiamo, la liberalizzazione e le privatizzazioni erano state estreme, il welfare era stato praticamente distrutto. E pero’ era evidente che la societa' americana, essendo una società maledettamente rigida verso il basso, cioe' ferma nei suoi bisogni e nelle sue esigenze, non rifiutava ne' di curarsi ne' di comprarsi la casa, ne' le famiglie rinunciavano a mandare i loro figli a scuola.
Allora succede che ad un certo punto il capitale, il governo sono stati costretti a riaprire il welfare. Ma lo riaprono in maniera completamente privatizzata. Invece di socializzare le spese degli ospedali, della scuola eccetera, di coprirle direttamente da parte dello Stato, si e' cominciato a privatizzarle, cioe' a chiedere alla gente di pagare. Ma siccome la gente poteva farlo solo in parte, ma soprattutto prendeva a prestito per riuscire pagare, si e' creato un enorme debito che ad un certo punto e' saltato. Tanto piu' che, non contenti di costringere la gente a risparmiare e a spendere i soldi per sopravvivere, i banchieri e in generale il mondo finanziario - bada bene, diretto non semplicemente da delinquenti, ma anche da grandi professori di universita', di Harvard, di Yale, tutti i vincitori dei più recenti premi Nobel per l'economia - avevano trovato il modo di distribuire, di spalmare questo debito in generale sulla societa', rinnovandone le forme, prestandosi l'un l'altro i debiti e soprattutto prestandoli ad altre istituzioni finanziarie fuori dagli Stati Uniti.
Ora, dato che la globalizzazione non e' un sogno ma una realta', questa crisi - scoppiata dal basso negli Stati Uniti, dove non e' stata una crisi bancaria inventata, ma e’ nata da quello che e' un deficit di spesa che doveva permettere la pace sociale; e quando questo deficit e’ saltato, la crisi e' scoppiata per questo - si sta allargando a tutto il mondo, perche' il mondo e' globale e non c'e' sovranita', ne’ Stato sovrano ne' banca nazionale che tenga.
A questo punto ci sono due strade assolutamente evidenti. Da un lato c'e' il passaggio dal livello finanziario a quello che e' il livello imprenditoriale, della produzione in generale. E’ una vera e propria recessione economica che si imporra' in breve tempo un po' dappertutto. E' gia' stata ampiamente annunciata: tutti gli indici di crescita per l'anno prossimo si limitano per i paesi centrali allo zero virgola, per i paesi emergenti ad una cifra, il dieci per cento lo si vedra' molto molto raramente. Si stabilizza dunque la recessione, cioe’ si stabilizza quella che e' una grande distruzione di ricchezza pubblica.
Qui ci sono state interpretazioni molto strane, che venivano da uomini di destra che fingevano di criticarsi. Adesso vanno dicendo: "Ah, questi delinquenti di banchieri ci hanno rovinato!"
Il fatto e' che la finanza ormai e’ diventato uno strumento produttivo come tutti gli altri, gia' Marx riconosceva ampiamente che la finanza era uno strumento fondamentale per allargare il campo degli investimenti. Dentro alla globalizzazione, per esempio, tutto il processo che ha portato paesi enormi come la Cina e l'India alla soglia della maturita' industriale, tutto il grande sviluppo di autonomia, fuori della dipendenza, che si e' dato in America Latina, non sarebbero stati possibili senza i grandi mezzi, la grande organizzazione della finanza. D'altra parte, e' difficile ormai distinguere il capitale produttivo di beni materiali dal capitale che invece si organizza nella finanza. Anzi direi che e' quasi impossibile, non c'e' la possibilita' di distinguere il profitto dalla rendita, e la rendita finanziaria e' diventata assolutamente egemone. Non c'e' nessun grande industriale italiano che non sieda anche in Mediobanca: cioe’ che non sia li' a decidere i destini finanziari del paese con tutto quello che ne consegue.
Il problema centrale e' a questo punto riuscire a capire come si fa a bloccare questa deriva: io credo che tutto questo si possa fare in un solo modo ed e' rilanciando completamente quella che e' la capacita' delle popolazioni, della gente che lavora, di riconquistarsi il reddito e quindi di riaprire circuiti di vita, di consumo e di relativa liberazione dentro questo livello. Ma tutto questo non si puo' fare se non attraverso delle lotte, perche' e' chiaro che la forma nella quale oggi il capitale si afferma e' quella della repressione dei consumi piu' semplici, dei consumi di riproduzione al livello al quale siamo evidentemente arrivati. Ed e' su questo piano che si tratta di lottare perche' - se adesso i capitalisti vogliono ricostruire le loro fortune, come fanno? - devono continuare a premere, a comprimere quelli che sono i bisogni di sussistenza e di riproduzione delle moltitudini e questo mi sembra assai difficile.

Ecco, c'è la panacea che viene adesso presentata, con grande enfasi pubblicitaria : il nuovo interventismo degli Stati nazione, che addirittura porta per paradosso alcuni tra i neo-con, tra i propugnatori del sistema neoliberista e dell’ideologia dell’assoluta libertà di mercato, a diventare paladini dell'intervento statale nella gestione della crisi. Questo riguarda l'America, ma man mano il dibattito si sta spostando anche in Europa e ovviamente anche nella provincia italiana. E' un paradosso pazzesco che, per altro, non potrà affatto essere la risoluzione della crisi, per come prima l’hai analizzata.


Qui bisogna stare molto attenti. Quando si arriva ad un debito pubblico che è praticamente di diecimila miliardi di dollari, come negli Stati Uniti, e quando pensi che questo debito pubblico è prevalentemente sostenuto dai prestiti che la Cina ed i paesi del continente asiatico e quelli del Golfo fanno agli americani, capisci che qui il problema diventa la necessita’ di estinguere, o quanto meno contenere questo debito. Sono cifre che non possiamo neppure immaginare, sono dieci o quindici volte il bilancio dello Stato italiano, cioè il bilancio di una nazione di sessanta milioni di persone. E soprattutto non possiamo neppure immaginare come grandi paesi come la Cina o l'India o i paesi del Golfo, che sono, singolarmente presi e nel loro insieme, grandi potenze economiche, possano continuare a pagare il debito americano senza chiedere delle contropartite. Delle contropartite in termini di potere effettivo. Ecco che qui il problema diventa di una pesantezza enorme, perchè di nuovo si torna a parlare di guerra, e non nei termini delle “guerre di polizia” alla maniera di Bush, ma di guerre vere, quelle guerre di distruzione tra le grandi potenze economiche per la conquista dell'egemonia globale. Ieri, per esempio, mi è cascato l'occhio su di una notizia assolutamente incredibile da parte dell'agenzia di rating (cioe’ di valutazione) Moody’s, che è una di quelle grandi agenzie che servono a garantire altre bande di delinquenti, che garantiscono cioe’ l’affidabilita’ dei bilanci, dei conti delle imprese e delle nazioni. Bene, in questa situazione, continuano a dare la massima qualificazione, cioè tre volte "A", agli Stati Uniti d’America, al bilancio statale degli Stati Uniti. E perche’ dichiarano di farlo? Perche’ gli Stati Uniti rimangono comunque la più grande potenza militare. E’ la capacita’ di muovere guerra, di esercitare comando per via militare la garanzia in ultima istanza della potenza economica americana.
Questi sono evidentemente i problemi che si aprono e che ti danno un po’ la vertigine di fronte a quello che sta avvenendo. E questo rilancia una volta di piu’ il bisogno assolutamente fondamentale, che ci sia un vero "New Deal". Ma, bada bene, quando dico "New Deal" mi riferisco a cio’ che questa stagione di riforme e ripresa dopo la crisi del 1929 e la Grande Depressione degli anni Trenta e’ veramente stata: il New Deal è stata la riapertura del conflitto di classe. Il suo protagonista, il presidente americano Roosvelt, si rende conto che per battere i capitalisti responsabili della crisi, bisogna rimettere in gioco la forza operaia, la forza dei lavoratori, e addirittura aiuta con il Governo a formare dei nuovi sindacati: la CIO nasce allora, nel 1933, proprio come sostegno ad una possibilità della società di respirare fuori dai ritmi imposti dall'impresa dominante capitalistica. E oggi questa cosa dev’essere riproposta su un livello piu’ generale: oggi noi dobbiamo evitare i pericoli di guerra, perche’ ricordiamoci che le grandi crisi, quelle che chiamiamo le "crisi darwniane" del sistema, sono crisi che spessissimo inducono guerra, perche’ l'egoismo si organizza in guerra, l'egoismo in crisi, l'egoismo frustrato si organizza in guerra. Ecco, proprio in questa fase, noi possiamo salvare il mondo, se siamo in grado al massimo di rilanciare le lotte di quella che e’ oggi la “classe operaia”, e cioè la classe operaia sociale, quella che produce realmente in maniera generale.

Grazie. Un’ultima battuta: tutto questo viene poi presentato dai media in maniera a dir poco superficiale, e a volte in modo addirittura provocatorio, come se la gente non avesse appunto il cervello per capire le cose …

E’ proprio così e la cosa a cui starei molto attento e’ la ripresa di discorsi fascisti, perche’ si tratta di fascismo quando si attaccano i grandi padroni del vapore, fingendo che dietro non ci sia un sistema, un sistema capitalistico, come se i responsabili fossero solamente dei corrotti. E questa e’ una storia che parte fin dalla Rivoluzione francese, c'erano i cattivi nobili, ma la nobiltà era in fondo un sistema buono; e il latifondo è in fondo un sistema giusto, ma c'è la mafia e non c'è tutto il resto; ci sono i banchieri cattivi e poi invece gli altri sono buoni ...
Tutti questi discorsi servono a due finalita’: a eliminare la differenza di classe e ad identificare dei puri e semplici capri espiatori.

Intervista a Toni Negri