Fin dai primi momenti dopo la chiusura della tre giorni sull’isola
per la stesura della Carta di Lampedusa ci era chiaro che la sfida era
appena cominciata.
Sappiamo infatti che non basta certo scrivere una carta per modificare la realtà.
Perché ciò che sta scritto nella Carta di Lampedusa diventi realtà c’è
bisogno della capacità di ognuno di farne strumento di allargamento,
occasione per costruire percorsi di convergenza, possibilità di
declinare i suoi contenuti nei territori e di proiettarli su un
orizzonte transnazionale.
Non è retorica. Ce lo siamo detti centinaia di volte. La Carta di
Lampedusa non è, e non è mai voluta essere, una rete che si sostituisce
ad altre. E’ invece un tentativo di costruire orizzonte comune,
intreccio, complicità.
Per questo, proprio a partire da questo spirito, ci sembra di poter dire che il primo punto della nostra agenda non può che essere quello legato al suo allargamento: la necessità di lavorare per farla sottoscrivere, di farla propria e condividerla con altri, di utilizzarla per costruire spazi comuni, come è avvenuto in queste settimane da molte parti. Chi ci crede, chi si riconosce in questa dichiarazione programmatica scritta dal basso, non esiti allora a farla vivere in assemblee, riunioni, spazi pubblici, mobilitazioni, percorsi quotidiani.
Perché se è vero che una Carta di per sé, non
può cambiare nulla, è vero anche che la ricerca di convergenza, di
discorso comune, di intrecci e sinergie, è oggi una necessità
inaggirabile per chiunque si ponga il problema di trasformare
l’esistente. Inventarsi un modo nuovo di stare insieme, non è infatti
secondario. E la tre giorni sull’isola è stata anche questo. Un
esperimento che, pur con i suoi limiti, ha abbozzato una nuova forma
possibile di relazione, l’embrione di uno spazio capace di valorizzare
le differenze invece di appiattirle o peggio, renderle ostacoli; un
confronto che, anche per lo spirito con cui si è svolto, ha saputo
ribaltare i rituali classici delle assemblee di rappresentanza
producendo una discussione trasversale su obiettivi e strategie.
Il risultato è un documento che non lascia scampo ad ambiguità, nei temi
e nei linguaggi. E non è certo cosa da poco visto che, proprio le
ambiguità, sul terreno dell’immigrazione, dell’accoglienza e dei diritti
di cittadinanza (vedi la questione dell’umanizzazione dei CIE o della
retorica dell’umanitario), hanno caratterizzato troppo spesso il
dibattito, anche dei movimenti e dell’associazionismo.
Allo stesso
modo ci sembra di poter dire che la spinta propulsiva della Carta di
Lampedusa, la sua tensione europea e mediterranea (non la
rappresentazione dei movimenti europei ma un contributo al loro
allargamento), la sua ambizione trasformativa, siano già all’opera.
L’abbiamo già toccata con mano pochi giorni fa a Ponte Galeria, a Mineo e
ad Ancona, e potremo farlo ancora nei prossimi giorni con la
mobilitazione del primo marzo quando, in moltissime città italiane,
tante vertenze, numerose battaglie, diverse istanze, avranno l’occasione
di esprimersi in maniera diffusa ma comune. Proprio a Lampedusa è arrivato l’appello dei rifugiati accampati in piazza ad Amburgo per una mobilitazione unitaria
che si intreccia al percorso che negli ultimi anni ha caratterizzato
il primo marzo. Noi non abbiamo potuto fare ameno di raccoglierlo.
Così a Niscemi, a Milano, a Padova, a Bologna, a Brescia ed in molte
altre città europee, migliaia di persone scenderanno in piazze per dare
corpo a piccole e grandi rivendicazioni: da quelle dei lavoratori della
logistica a quelle dei rifugiati senza futuro, dalle istanze degli
sfrattati a quelle legate ai permessi di soggiorno, da quelle contro il
razzismo a quelle di chi rivendica una nuova Europa, libera dai confini e
dall’austerità.
Proprio questo ultimo punto, quello legato all’Europa, ci pare assolutamente prioritario. Perché se l’Europa di Bruxelless e Strasburgo è lontana, un ripiegamento delle nostre istanze sul piano nazionale, non potrebbe che risultare una gabbia. Al contrario è proprio un allargamento dell’orizzonte dei movimenti, sul piano immediatamente europeo e mediterraneo, a poterci offrire l’occasione di andare verso una radicale trasformazione dell’Europa, dei suoi confini, del suo ruolo. E’ a partire da questo che gli stessi movimenti europei stanno costruendo un’agenda di mobilitazioni per i prossimi mesi. Dal primo marzo al primo maggio, dalle mobilitazioni di blockupy alla marcia europea che alla fine di giugno ci porterà a Bruxelless per rivendicare la libertà di movimento.
Ma quello delle piazze e delle vertenze
non è l’unico terreno di espressione della Carta di Lampedusa. Perché se
è vero che il piano delle lotte è il motore centrale di un potenziale
cambiamento, è vero al tempo stesso che la trasformazione non può che
assumere le sembianze di un processo complesso, che investe l’ambito
sociale, culturale, economico, e politico.
Non è un caso che intorno alla Carta di Lampedusa si stiano sviluppando
percorsi nelle scuole, progetti artisti e culturalin incontri di studi e
che, al tempo stesso, sia nata la necessità di sperimentarsi anche sul
terreno della codificazione normativa delle istanze proposte.
Dal primo marzo nelle piazze europee, agli studi giuridici per la forzatura del quadro giuridico comunitario: questa è per noi la Carta di Lampedusa. Ed è per questo che il prossimo primo marzo le nostre piazze parleranno un linguaggio comune che invitiamo tutti a fare proprio:“our Europe is without borders! La nostra europa non ha confini”!
Progetto Melting Pot Europa