Tana libera tutti

18 / 10 / 2010

Mentre finalmente nel paese reale si sprigiona un’ondata di protesta e, quel che più importa, di ricomposizione dei soggetti e delle lotte (ne parlano altri interventi su questa stessa pagina di Global), la scena della politica registra novità importanti sia per le contraddizioni che rivelano sia per la maggiore libertà che lasciano agli attori sociali. Infatti la politica non è un “teatrino”, come ama diffamare Berlusconi, ma o esprime la congiuntura economica e sociale o cerca di inibirla e sviarla. Negli ultimi anni, oltre a risolvere gli affari personali del Papi, il teatrino è servito a occultare la realtà della crisi e di esprimerla in nodo distorto, essenzialmente quale scontro fra correnti del centro-destra in assenza di qualsiasi pericolosità e iniziativa della sinistra –una situazione ideale per sbranarsi fra profittatori senza il rischio di indebolire l’egemonia borghese. I due partiti che si sono affrontati, con toni eroicomici, sono una destra “europea”, moderatamente liberale e una destra brutale, affarista e clerico-fascista, che finora ha incorporato anche il populismo comunitario della Lega, insomma la versione itagliana del Tea Party. Il riflesso a sinistra, a parte la penosa diaspora di sedicenti comunisti, è stata la polarizzazione fra una sinistra neoliberista in crescente affanno e una sinistra giustizialista dalle opzioni sociali indeterminate. Entrambe ininfluenti.

Situazione di evidente instabilità, che infatti ha cominciato a precipitare quando non è stato più possibile nascondere gli effetti della crisi su un bilancio statale da lunga pezza dissestato e un’economia reale in irrimediabile ritardo sui già non eccelsi ritmi europei. Al momento un tana libera tutti generale è stato proclamato mostrando con un solo colpo che nessuno dirige il centro-destra e nessuno dirige il centro-sinistra. Non solo dunque se ne sono dissolti i programmi, ma tutte le componenti se ne vanno per conto loro, dando per accertato che Berlusconi è fuori gioco, malgrado tutta la passata retorica personalizzante e le favole sul governo del fare, e che a sinistra Bersani non ha mai diretto nulla. A destra il governo è paralizzato dal conflitto con i futuristi finiani e (novità) è piuttosto sgomentato dal ricorso alle urne e il PdL si dissolve in quanto partito in una furiosa zuffa fra i satrapi sovradeterminata anche delle iniziative della magistrature verso gli uomini chiave (Berlusconi, in primo luogo, Verdini, Letta, per tacere di boss mafiosi minori), mentre la maggioranza in parte si sfalda (democristiani vari, Mpa, deflusso molecolare verso Fini, La Russa contro Cicchitto) in parte vede passare il centro di gravità verso la Lega e Tremonti, che approfitta del suo ruolo di cerniera politica e di controllore della spesa per costituire il vero governo tecnico che emargina silenziosamente il Premier formale e bastona gli avidi ministri. A sinistra il Pd si sfascia su tutta la linea, prima con la sortita di Veltroni e Fioroni (che potrebbe sfociare addirittura in una parziale fuoriuscita dal partito), poi con l’incapacità di assumere una posizione sull’Afghanistan, sui migranti e sul conflitto sociale, sino alla farsa della mancata partecipazione al corteo Fiom del 16 ottobre e della baruffa fra il lettiano Boccia e l’operaista (sic) Cofferati. Dove non si sa più se ridere di un corteo ridotto da Boccia a una sfilata di intellettuali milionari e deputati decotti in auto blu o delle pensose elucubrazioni del portavoce ufficiale del Pd, Stefano Fassina, affermante che un partito rappresenta l’interesse generale e quindi non può identificarsi con un pur legittimo interesse di parte. Si potrebbe aggiungere la campagna indecorosa condotta dagli squadristi di «Libero» e del «Giornale», contro Emma Marcegaglia e il reciproco rinfacciarsi di quanto a tutti noto: che i direttori dei giornali padronali sono scelti da Berlusconi o dalla Confindustria, sennò da chi? Ma stanno veramente male se gli industriali detestano il governo e il governo diffida degli industriali...

Perché il teatrino va bene? Perché in tal modo nessuno dei contendenti, troppo occupato in dossier, ripicche e intrighi, può bloccare per tempo le insorgenze moltitudinarie –le minacce camorristiche di Maroni hanno solo favorito l’affluenza ordinata al corteo del 16 e le frasi livorose di Sacconi (una minoranza che non può governare) ne sono stati il patetico commento postumo. Per conto suo, il dilacerato Pd ha perso qualsiasi possibilità di controllare il movimento sindacale, così che perfino Epifani si è disimpegnato ed è stato costretto a rinunciare al ruolo di custode-garante per la Fiom e perfino a lasciare a Susanna Camusso l’imbarazzante eredità di una mezza promessa di sciopero generale.

Nel frattempo il vero scontro, sotto la superficie delle aggressioni politico-personali, si consuma fra il dominus del governo, Tremonti (Berlusconi è pur sempre pericoloso, capace di colpi di coda, ma al momento se ne sta anche metaforicamente con il polso ingessato), e la Banca d’Italia, che non è solo la depositaria di statistiche oggettive sull’andamento mediocre dell’economia e sul tasso di disoccupazione reale dell’11% (superiore alla media europea) ma anche il braccio lungo della Bce e delle istituzioni finanziarie internazionali pubbliche (Fmi, Wto) e private (Goldman Sachs). Forse il mezzo governo tecnico Lega-Tremonti non basta e troppe menti, da entrambi i lati dell’Oceano, riflettono su coalizioni più spostare al centro e ancorate ai poteri forti. Nel gran trambusto che ne seguirà si offrono buone occasioni di intervento dal basso, crepacci da cui può sgorgare la lava del conflitto. Non saranno solo uova e vernice. Lo sgretolamento cui l’ottemperanza ai dettami di Bruxelles ha sottoposto il molto più solido e onesto apparato francese e la tenace violenza della risposta popolare sono indizi sui quali riflettere con la dovuta serietà. C’è soprattutto una nuova composizione delle lotte che prende lucidamente atto della precarizzazione intercategoriale e intergenerazionale e adotta le modalità conflittuali più adatte.

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