Spin-off

Scenari della crisi italiana

23 / 4 / 2010

L’orizzonte della crisi si fa sempre più scuro, profilando un lento scivolamento del sistema Italia verso la periferia della società della conoscenza ­­–certificato pochi giorni fa per l’Università dalla Corte dei Conti dopo il IX e X rapporto Cnvsu (2008 e 2009)– mentre la disoccupazione giovanile si fa strutturale dentro l’incremento di quella complessiva, a indicare l’invecchiamento della forza-lavoro e la sua concentrazione in settori a basso contenuto tecnologico e innovativo. Il degrado istituzionale ha nel berlusconismo una punta di evidenza mediatica, ma in realtà i suoi momenti più rivelatori nel diffuso anti-intellettualismo di tutta la classe dirigente e nella penetrazione clericale in ogni meandro della legislazione e dell’amministrazione, non senza ricadute oscurantiste ancora nel settore culturale –si veda lo strisciante anti-darwinismo. Gli effetti negativi si colgono non soltanto nell’istruzione primaria e secondaria ma anche in rami della scienza sottoposti a virtuale censura, quali la ricerca genetica e le sue applicazioni mediche. Il paracadute della dispersione produttiva e del lavoro nero, l’ammortizzatore-famiglia e il risparmio delle precedenti generazioni rallentano la catastrofe ma non sono in grado di invertire la tendenza. Nel frattempo le grandi imprese vanno per conto loro e Marchionne, oltre a fornire il suo bravo contributo alla jobless recovery, ricatta con un terrificante “piano B” i sindacati che non accettassero condizioni capestro. Almeno non ci ammorba con gli elogi della flessibilità: o accettate o Pomigliano d’Arco salta. E Bonanni: sì, badrone.

Perfetta espressione e complemento di tale soporoso collasso è la voglia di centro che si respira nella borghesia riflessiva, nei ceti che per storia o collocazione geografica non sono in condizione di difendersi immediatamente (ma nel medio periodo inefficacemente) nelle forme delle comunità leghiste e delle mafie meridionali, le lobbies al momento vincenti nel Nord e nel Centro-Sud. Si alimenta l’idea che, prima o poi, sciolto il collante del berlusconismo, così prepotente e tamarro – si permette pure di fare la Comunione, il divorziato libertino!– e ridimensionata la Lega, si torni alla buona e collaudata Democrazia Cristiana. La Chiesa non avrebbe certo nulla in contrario, dato che si tratterebbe di una Dc molto meno laica e indipendente di quella defunta, ma al momento non se la passa troppo bene e probabilmente non se la sente di cambiare cavallo e abbandonare la fidata sponda del Pdl e le neofita (per quanto infida) Lega. Almeno fin quando c’è Ratzinger non se ne parla e continua il gioco su tutti i tavoli, con una netta propensione a destra. I pontefici, del resto, non sono eterni mentre l’istituzione pensa di esserlo. Indubbiamente con qualche carta più di Berlusconi.

Nell’improbabilità che una qualche Dc rinasca dall’accrocco fra Casini, Rutelli, teodem e liberal-zanoniani (esistono!), la si attende piuttosto dallo sgretolamento molecolare del PdL sotto l’impulso della deriva finiana. Le dimensioni inizialmente ridotte di una formazione ardentemente concupita dal ceto politico moderato e piuttosto indifferente alle masse degli elettori, che pure hanno lasciato cadere ogni affezione alle formule bipolari, abbisognano però di un supporto e –voilà!– si presenta l’ansimante centro-sinistra, ieri sostenitore gratuito dello schema bipartitico, oggi puntello di un centro, magari acclamato come passaggio a una “normale” dialettica fra sinistra moderata e destra perbene.

Peccato che la tattica più astuta e spregiudicata richieda pur sempre di partire da una base propria, da un blocco sociale e da un insieme di idee e di interessi da propugnare e sul quale eventualmente si va a mediazioni. Non si è mai visto (anzi, purtroppo l’abbiamo visto alle comunali di Roma 2008 e alle regionali in Puglia 2010) che si proponga il cedimento in prima battuta: l’avversario prende e porta a casa. Il Pd è poi così sfasciato e incerto che sembra doversi consegnare a un candidato estraneo, sia Vendola a sinistra o Fini a destra. Se la debolezza del Pd facilita la dissoluzione del coacervo PdL in spezzoni contrapposti, tenuti insieme solo dal declinante carisma del Papi e dall’interessato sostegno di Bossi, nello stesso tempo è impossibile raccogliere i frutti del processo di decomposizione. Così il centro-destra è paralizzato e salvaguardato, non cade e non governa, assecondando la crisi e la marginalizzazione dell’Italia. Non si tratta soltanto di inadeguatezza o strategia sbagliata del gruppo dirigente Pd, ma del riflesso di una crisi strutturale ben più radicale della sinistra, che parte dalla dissoluzione molecolare della classe operaia e della piccola borghesia, cui non viene offerta nessuna prospettiva ricompositiva. Il “tradimento” di classe è stato consumato quando la classe c’era, ora viviamo in una situazione in cui la classe è qualcos’altro che tutti facciamo difficoltà a capire e maneggiare, ma che i ”riformisti” di tutte le parrocchie non sanno neanche dove sta. La sinistra parlamentare non riesce a mettere a tema la gravità della crisi e resta ipnotizzata dai giochi politici di superficie, che determina solo per assenza senza incidere sulla direzione. Ha faticosamente superato l’illusione di battere Berlusconi sul terreno del sesso e delle beghe processuali, solo per irretirsi in grandi contro-progetti di riforma costituzionale, senza prevedere che il Premier se ne sarebbe rapidamente disinteressato –una volta portati a casa legittimo impedimento e intercettazioni. Bersani e Napolitano sono rimasti a difendere una trincea deserta, mentre il nemico saccheggiava le retrovie.

Insomma, trionfa lo spin-off. Quello di gemmazione della Fiat, il ruvido allontanamento de facto dei finiani dal PdL (a rigore, stando alle definizioni di Wikipedia, non si potrebbero considerare tali i processi di uscita spontanei non assistiti dalla casa-madre, ma anche un bel calcione può essere preso per un assist), il distacco del Pd dalla lotta di classe per occuparsi di futilità. Vedremo nelle prossime settimane come tali fattori si combinano per gestire o far deflagrare la crisi italiana. E cercheremo di metterli alla prova con le lotte sull’occupazione e sul reddito, contro le riforme Aprea e Gelmini della scuola secondaria e dell’Università.