La realtà torna a irrompere spaccando la superficie mediatica. Stavolta, alla lettera, “percola” da cava Sari, esala a Boscoreale (un nome finora associato alle ville romane e al tesoro argenteo del Louvre), si anima e illumina di fuochi d’artificio e molotov alle rotonde di Terzigno. Berlusconi ha promesso che entro dieci giorni eliminerà il puzzo e coprirà di alberi la discarica nauseabonda (chissà se vuole riciclare gli alberelli di plastica esibiti a Genova 2001 o fornire mentine per l’alito), del resto se diossina e altre esalazioni sono cancerogene, che importa? Tanto entro i tre anni residui della legislatura (impegno di marzo 2010, piazza S. Giovanni, a fianco della candidata Polverini) lui sconfiggerà il cancro. Il dettaglio interessante è che i cittadini interessati non gli credono più. Che i sindaci, tutti targati PdL, hanno respinto il compromesso offerto da Bertolaso (guarda chi si rivede, in divisa da Superman): cava Sari camuffata, cava Vitiello rinviata a tempo indeterminato.
Dopo L’Aquila un altro miracolo berlusconiano si dissolve, mentre si fa sempre più forte la stretta fra minaccia di convocare elezioni anticipate per sbarazzarsi di Fini e paura che le dimissioni innestino una nuova maggioranza emergenziale e gli facciano perdere, con la carica di premier, la copertura giudiziaria. La blindatura costituzionale del lodo Alfano è diventata problematica anche a breve scadenza (sul lungo periodo sarebbe spazzata via da un referendum senza quorum) e tutti gli altri marchingegni ad personam stanno fallendo, a causa dell’impressionante incompetenza dei suoi “consigliori” e azzeccagarbugli. Ma la vera tagliola scatta quando la mancanza di soldi disponibili (in prospettiva la riduzione del deficit esigerà sacrifici ancor maggiori) si innesta sulla ripresa delle lotte: l’esempio più classico è quanto sta succedendo con la riforma Gelmini, vivacemente contestata e inapplicabile per carenza di mezzi. Ogni occasione diventa allora buona per ricatti e rotture interne al centro-destra, di cui si avvantaggiano da un lato Tremonti, dall’altro Fini. Il centro-sinistra, guardingo a Napoli sulla monnezza, irresoluto a Montecitorio sull’Università, incartato fra vari progetti di alleanza e legge elettorale, non riesce neppure a conquistarsi una rendita di posizione in questo casino generale. In compensa si lacera su problemi di scarso interesse di massa: il ricambio generazionale, il partito del nord, lo scontro fra Chiamparino e gli altri sindaci. Debbora contro Dalemoni, Renzi contro tutti, Uolter-non-va-più-in-Africa, Bersani-si-rimbocca-le-maniche. Un vero psicodramma.
Nell’assenza di qualsiasi politica governativa che non sia una girandola di espedienti per salvare il premier dai processi o favorire i suoi affari editoriali la Fiat ha deciso che la situazione italiana è inaffidabile, primo perché la Cgil non riesce a normalizzare la Fiom e gli altri sindacati hanno fatto flop, secondo perché il governo non è in grado di finanziare un’ulteriore rottamazione. Marchionne è stato più sfacciato del solito, sostenendo che gli incentivi sono rivolti ai consumatori e non all’azienda (già, ma poi i consumatori agevolati comprano le vetture nuove) e che la Fiat punta solo sul mercato, non sugli aiuti statali –come se in Serbia e in Polonia non usufruisse di sovvenzioni e sconti fiscali! L’Italia è diventata una palla al piede per i profitti, dà cattivi esempi di resistenza, imbratta di uova e vernice le sedi di Cisl e Uil e rifiuta di comprare Fiat, preferendo insanamente auto migliori a più basso costo. Così Fabbrica Italia non parte e Bonanni e Sacconi, lividi, restano appesi al palo, lasciati senza investimenti dopo tutto quello che hanno fatto contro i lavoratori di Pomigliano e di Melfi. Ai quali ultimi, dopo i licenziamenti, toccano i tagli delle pause e la turnazione selvaggia. Il ricatto supersfruttamento o chiusura non è supportato da un piano finanziario e produttivo convincente e la prospettiva di una fuga dal nostro paese è sempre più vicina. Ingratitudine del “metalmeccanico” Marchionne. Ci crediamo che non vuole entrare in politica, mica è uno sfigato come Montezemolo.
Purtroppo in politica continuano a imperversare i soliti noti, sempre più in difficoltà a confrontarsi con gli effetti della crisi, la ripresa evanescente e il peggioramento occupazionale. Per ora si divertono a minacciare sfracelli. Sulla tolda del Titanic o, se preferite, sotto il vulcano. Nulla di tragico, solo un gran tanfo. Diossina dell’inceneritore di Aversa e dei roghi di Napoli, miasmi delle cave vesuviane, sentore persistente di corruzione. Chi si ribella ha cominciato con il lanciare fuochi d’artificio. Una bella metafora, una bella promessa.