Ricapitoliamo: Berlusconi attacca Gomorra. Lo aveva già
fatto, ma stavolta è più esplicito.
Saviano giustamente fa
notare che Berlusconi è proprietario della casa editrice che
pubblica il libro, e chiama in causa quest’ultima: “Si esprimano
i dirigenti, i direttori, i capi-collana”.
Si esprime invece
MarinaBerlusconi, più in veste di figlia che di editrice.
Saviano
commenta la lettera di Marina senza abbozzare, senza toni
concilianti, anzi, chiamando in causa la Mondadori con maggiore
perentorietà. Il messaggio è: “Voglio sentire chi in casa
editrice ci sta per davvero, voglio sentire chi la Mondadori la manda
avanti”.
La contraddizione si acuisce. Da autore Mondadori e autore di
Gomorra, Saviano occupa una postazione strategica, e più di
altri può chiamare al pettine certi nodi, nodi che riguardano anche
noi.
Far venire i nodi al pettine è tanto un dovere civico e
politico, quanto un compito specifico dello scrittore.
Pubblicando con Mondadori, Saviano ha generato conflitto.
Conflitto non effimero, ma che opera in profondità. Comunque vada, è
più di quanto abbia fatto l’opposizione.
Se Saviano fosse
rimasto in una nicchia di ugual-pensanti, nel ghetto dei presunti
“buoni”, non avrebbe acuito nessuna contraddizione, né generato
alcun conflitto.
Stare simultaneamente “dentro” e “contro”, diceva l’operaismo degli anni Sessanta. “Dentro e contro” era la posizione, era dove piazzare il detonatore.
Sia chiaro: l’alternativa non è mai stata “fuori e contro”.
L’alternativa è sempre stata “dentro senza rompere i coglioni”,
oppure “dentro senza assumersene la responsabilità”. Dentro
fingendo di star fuori, insomma. Come tanti, come troppi.
Un
“fuori dal sistema” non esiste. Il sistema è il capitalismo, ed
è ovunque, nel micro e nel macro, nei rapporti sociali e nelle
coscienze, nelle giungle e in cima all’Everest. Noi abbiamo sempre
detto – e ancora diciamo – che tutti quelli che
combattono “il sistema” lo fanno dall’interno, dato che
l’esterno non c’è. Il potere non è fuori da noi, è un reticolo
di relazioni che ci avvolge, un processo a cui prendiamo parte, Ma
ovunque vi sia un rapporto di potere, là è anche possibile una
resistenza.
Sei anni fa WM1 spiegò, per l’ennesima volta, la nostra
posizione sul “pubblicare con Einaudi”. Lo fece per filo e per
segno su Carmilla. Lo fece perché è sempre stato nostro costume –
e ancora lo è – rendere conto pubblicamente delle nostre scelte,
soprattutto se ci viene richiesto dai lettori.
Tra le altre cose
WM1 scriveva: Negli ultimi anni, le polemiche “boicottomaniache”
hanno rischiato di fare il gioco degli yes men,
dei leccaculo: chi chiede agli autori di sinistra di “andarsene da
Mondadori” non capisce che così facendo il loro posto nella casa
editrice e nell’immaginario collettivo (una posizione a dir poco
strategica) sarebbe preso da autori e manager di destra (i quali non
vedono l’ora), con piena libertà di spargere la loro merda
incontrastati.
Queste frasi risalgono a due anni prima dell’uscita di
Gomorra. Sono cose che, in seguito, lo stesso Saviano
ha dichiarato in più occasioni, e diversi altri autori hanno
ribadito, anche di recente.
Da anni difendiamo questa postazione
avanzata e scomodissima, esposti sia agli attacchi della destra sia a
continue raffiche di “fuoco amico”.
La nostra posizione sul pubblicare con Einaudi è identica dal principio, è la stessa dichiarata in quel vecchio testo e ancora prima. Non siamo noi il corpo estraneo alla tradizione e al catalogo Einaudi, come non siamo noi ad avere corrotto Tizio o Caio, ergo non siamo noi che dobbiamo levare le tende.
Mettiamola così: se qualcuno vuole trafugarmi o usurpare qualcosa, io non rinuncio fin da subito, non gli lascio tutto in mano e tanti saluti. Io cerco di lottare, di resistere. Se poi il rapporto di forza è schiacciante, prenderò un fracco di botte, ma almeno avrò tentato. E’ meglio prenderle dimenandosi che prenderle stando fermi.
In quelle note del 2004, WM1 descriveva un berlusconismo in forte
crisi. I sintomi c’erano tutti, ma quell’analisi – sei anni
dopo possiamo dirlo – li sopravvalutava. Eppure…
Eppure sei
anni fa la partita non era persa. Il berlusconismo arrancava, non
sfondava, il logoramento era evidente. Non tutti i pozzi erano
avvelenati. L’elenco di passi falsi, sconfitte e defaillances
non ce l’eravamo sognato noi, erano tutte cose appena accadute.
L’anno prima tre milioni di persone avevano marciato a Roma contro
la guerra in Iraq. Due anni dopo, la “devolution” (la più grande
scommessa del berlusco-leghismo, un’impresa storica di
de-costituzionalizzazione del Paese) sarebbe stata bloccata dal voto
referendario. Non sono falsi ricordi. C’era ancora un blocco
sociale, una “forza storica” che si opponeva e impediva al
berlusconismo di sfondare.
Quella forza storica, però, da sola
non bastava. Ed è stata boicottata, sabotata, massacrata prima dalla
“opposizione” che dal governo. E inoltre ha commesso degli
errori, continuando ad affidarsi a certi rappresentanti.
Quel che è successo dopo lo sappiamo. Oggi tutto è più difficile, ma per noi la sfida, la sfida politica, è ancora “resistere un minuto più del padrone”. L’Einaudi è un campo di battaglia importante, e finché avremo munizioni e fiato continueremo a combatterci sopra. Ce ne andremo solo se e quando, presto o tardi, le condizioni si faranno intollerabili.
E’ la strategia sbagliata? Tutto può essere. Ma è quella che abbiamo scelto e di cui rendiamo conto da sempre. Noi possiamo fare errori, scazzare previsioni, fare passi falsi, ma agiamo sempre con coscienza, prendendoci le nostre responsabilità, sottoponendoci al pubblico scrutinio, facendo autocritica.
Dopodiché, le scelte di ciascuno verranno giudicate sul lungo periodo, commisurate ai risultati ottenuti sul campo, alla traccia lasciata, al contributo dato alla sopravvivenza di un barlume di senso nella propria e altrui vita.
Qualche parola su Saviano.
Al
di là di alcune mosse e prese di posizione stridenti e da noi non
condivise, abbiamo sempre difeso e continueremo a difendere Saviano
dagli attacchi stupidi o interessati. Saviano è un collega, un
amico, un compagno di strada. Per questo gli abbiamo sempre detto le
cose fuori dai denti, e abbiamo segnalato quali rischi gli facesse
correre la sua trasformazione in comodo simbolo, vessillo
rassicurante e buono per tutti i frangenti, abito d’indignazione
prêt-à-porter.
Tra le altre cose,nel 2009
scrivemmo: …”Saviano è tutti noi”. Vada avanti lui
ché ci rappresenta così bene. Soffra lui per conto nostro, è il
destino che si è scelto. Bel ragazzo, tra l’altro. Saviano è
l’uomo più strumentalizzato d’Italia [...] La voce di Saviano è
rimasta invischiata tra scelte fatte più in alto, politiche
d’immagine e “stato delle cose” realpolitiko: Saviano con
Shimon Peres con Donnie Brasco con Salman Rushdie con Veltroni,
Saviano alla scuola di formazione del PD nel Mezzogiorno e così
via.
Dev’essere ben chiaro che Saviano non può comportarsi in
altra maniera: ha davvero bisogno di questa ossessionante presenza
pubblica, di questo over–statement di
solidarietà anche pelosa, perché gli garantisce incolumità. Il
paradosso è che, dietro il cordone sanitario, lo scrittore svanisce
e resta solo il testimonial [...] Saviano dovrà lottare con le
unghie e con i denti per ri–conquistarsi come scrittore.
Da qualche settimana, sui giornali e in rete, circola una pubblicità,(l'immagine di una folla di gente tutta con il volto di Saviano,ndr), un’immagine che abbiamo fin da subito trovato molto vera e perciò raggelante, perfetta rappresentazione del dispositivo che ri-produce Saviano come soggetto non libero.
Dal 2006, per continuare a vivere, Saviano ha dovuto agire perché non calasse l’attenzione: gli è toccato essere sempre visibile, essere una presenza costante nella sfera pubblica. In ogni momento, il forte rischio era che questo sovra-apparire lo inflazionasse, gli facesse perdere potenza.
Di fronte a un calo di potenza, la tentazione è di rispondere
“aumentando la dose”, per ottenere un effetto in un’opinione
pubblica sempre più assuefatta e “tollerante”. Solo che,
aumentando la dose, il problema si ripropone a un livello più alto e
quindi più impegnativo, meno gestibile.
Questo è il dilemma, e
Saviano ne è sempre stato conscio: non è un caso che abbia spesso
tentato di scartare, che sia sempre tornato a insistere sulla
“scrittura”, sullo scrittore. Era il suo modo di fare resistenza,
di non far chiudere il dispositivo, di non farsi legare
definitivamente.
Bene, può darsi che Saviano abbia trovato lo spiraglio. Può darsi che l’acuirsi della contraddizione-Mondadori gli stia fornendo un inedito spazio di espressione non pre-ordinata. Forse il dispositivo è entrato in una crisi almeno passeggera, perché sotto i nostri occhi Saviano “è diventato quel che è”. Mai come ora, mai in modo tanto eclatante, Saviano è stato quello che vediamo nella risposta a Marina Berlusconi: un uomo libero. Anche nella reclusione che sconta, un uomo libero. Comunque vada a finire con Mondadori, comunque vada a finire in generale, in questo momento Saviano è libero.