Hey teacher leaves the kids alone/ All in all you're just another brick in the wall. Pink Floyd

Prospettiva singolare

C'è una potente alternativa all'essere spettatori del Matrix elettorale e delle sue passioni tristi: cambiare le regole del gioco ed scrivere dal basso l' happy end

Utente: gianmarco
15 / 6 / 2009

I commenti politici al disastro elettorale (alle europee ed alle amministrative) delle sinistre (comuniste, socialiste, civiche e movimentiste) ci confermano che la società politica italiana è sospesa tra un non più ed un non ancora o, più correttamente, che una parte di essa è appesa alla fine secolo appena avvenuta.

Il passato né torna né si ripete, partiamo da questo postulato (e si badi che non è poi detto che sia stato così bello da doverlo celebrare).

La cifra del discorso, a sinistra, è il rimpianto (per ciò che fu, per i leaders che furono – a Bologna l'intero politburo del PD ha appena celebrato in una grande piazza i 25 anni della scomparsa di Berlinguer-, per la forma lavoro ed il rapporti di produzione che furono) e il programma è la testimonianza (dell'astrazione delle contraddizioni di classe, l'idealismo portato a maniera,...) condito in salsa snob.

La destra europea (UE e non) e soprattutto il suoi non partiti, hanno maledettamente stupito per la capacità di innovare il loro linguaggio e le elezioni ci consegnano una nuova mappa dell'arcipelago della rappresentanza nella quale compaiono eletti delle destre radicali, territoriali, singolari cioè non universali, ma specifiche espressioni di un flusso di opinione territoriale che ritiene il localismo chiave nella gestione della crisi (dall'ungherese Jobbik al Partito per la Libertà olandese, dalla Lega al britannico BNP o all'austriaco FPO).

La costruzione dello spazio politico europeo s'incrina tra i recinti, i fili spinati, i localismi dello jus sanguinis delle piccole patrie contrapposte alla globalizzazione di fine secolo.

Panebianco sul Magazine in edicola o Valli su Repubblica di mercoledì 10 scrivono di una destra che nel 2009 è divenuta keynesiana e 'sovversiva dall'alto', laddove comunisti e socialisti appaiono ovunque inadeguati alla gestione della crisi proprio tra quei segmenti di classe da essi evocati.

Come dire, il pubblico (e non più solo il privato) trova la sua rappresentanza a destra.

I due autori chiamano keynesiano l'intervento di deficit spending e la produzione di regola sulla governance delle banche (cioè mercato del credito e dell'equity) e delle grandi imprese (si badi, per inciso, che impiegano solo una frazione della forma lavoro contemporanea).

A mio parere, invece, Tremonti non sta utilizzando la Teoria Generale, né, d'altronde, il Mercato è mai stato illibato nei suoi rapporti con lo Stato, e forse si sbaglia se utilizza la prospettiva degli Stati Uniti per osservare i trends di politica economica italiana ed europea.

In Europa ed in Italia altri, e non i keynesiani, hanno tradizionalmente gestito le grandi crisi con una socializzazione del rischio e del debito, valorizzando il lavoro (il duro lavoro), ricostruendo aziende (IRI) ed estendendo il welfare (INPS).

Non erano leaders keynesiani, a queste latitudini erano fascisti e nazionalsocialisti, è bene ricordarselo.

La chiave di lettura dei risultati dei carotaggi elettorali è come si sta nella crisi di sistema, come e chi gestisce la crisi, come si determina la transizione nella crisi; da questa prospettiva gli elementi di nuova rappresentanza proposti dalla destra hanno un successo esplosivo anche perchè interpretano fino in fondo il ruolo e le nuove regole delle elezioni.

Queste non sono più tappe di un processo lineare nel quale il consenso si misura in maniera definita, progressiva e generale. Le elezioni ora sono, forse, più simili a sondaggi istituzionali, a referendum, che periodicamente sondano i flussi di opinione.

[...]non mi interessa diventare una militante con velleità estetiche. Mi interessa, invece, il fatto di occupare, di organizzare e di creare spazi interstiziali dentro la città.

Mi interessa creare nuove forme di comunità dentro le realtà metropolitane che ne sono prive.

Mi interessa da vita a forme di comunicazione, d'uso, di rovesciamento, di torsione dei linguaggi, dei simboli e delle figure che appartengono al potere, ma che si possono anche rovesciare.

[…]

Se c'è una cosa che non interessa agli attivisti è

il fatto che le pratiche politiche vengano rese “estetiche”.

Judith Revel

A sinistra viene raccontata una brutta favola per cui l'alternativa alla rappresentanza è stare da soli, non contare, insomma, rinunciare ad esistere politicamente, mentre c'è un enorme iato tra organizzazione e rappresentanza. Questo iato è uno spazio politico cruciale.

Mai come oggi è opportuno discutere (cioè sperimentare) cosa significa organizzarsi ed affrontare il rompicapo di come si possa decidere insieme ed insieme esercitare la decisione presa.

Non ci sono risposte date o modelli da adottare, le lotte ci diranno quali gli esempi più opportuni. Guardiamo ad esempio l'interessante innovazione che viene dalle giornate contro il G8 di Londra, alla capacità che ha la nuova composizione di classe di federarsi attorno a piattaforme di azione e discorso che non sono sintesi di un processo di mediazione, ma moltiplicatore degli spazi di intervento, vettore di connessione tra percorsi di rete, di territorio, di soggettività, di singolarità.

Insomma, sempre più la costituzione dei processi organizzativi valorizza la metafora del framework open source, libero, liberamente utilizzabile e liberamente pubblicabile, attorno alle quali convergono movimenti no logo che capitalizzano l'effetto di moltiplicazione che ha la rete.

Si badi che, in queste condizioni, uno più uno non fa due, ma molto di più.

Il nodo su cui ci confrontarsi è la nuova relazione che connette singolarità e moltitudine nei processi di costruzione del comune, che, a parere di chi scrive, esclude i processi di astrazione, della sintesi, della rappresentanza, della leadership. Nessuna delega, nessun finalismo socialista verso la 'società giusta', nessuna trascendenza, né idealismo: c'è (siamo) una nuova composizione politica per la quale è naturale l'organizzazione autonoma di soggettività indipendenti.

I nuovi esempi che emergono ci lasciano intravedere nuovi esempi di organizzazione che, ricombinano in forma originale metodi e lessici declinando (non rappresentando) la composizione tecnica del lavoro storicamente determinata nei territori.

I processi che citiamo sono sempre aperti, originali (cioè non scontati) e caratterizzati dal bugs fixing, per dirla con l'informatica, cioè da processi in cui l'adozione della piattaforma da parte degli 'utenti' modifica continuamente la piattaforma stessa, arricchendola, scovando e risolvendo i problemi, appunto, con la anomala circolarità dell'elicoide, sempre aperto e proteso verso nuovi inizi.

In questi processi la comunicazione ha un ruolo del tutto strategico e primario per connettere, per produrre, per informare lo spazio politico, per confliggere.

GP2.0 è un framework aperto ed indipendente: è libero all'utilizzo comune delle lotte, nelle lotte, per le lotte e per la rabbia degna che dal quattro all'undici luglio irromperà sul palcoscenico del G8.

Da Vicenza a Roma, da l'Aquila a Reggio Emilia: let's make others_(better)worlds può diventare la traccia da seguire, come una conricerca che confermi a noi tutti che ad un anno dall'avvio della prima crisi di sistema della globalizzazione c'è una potente alternativa all'essere spettatori del Matrix elettorale e delle sue passioni tristi: cambiare le regole del gioco ed scrivere dal basso l' happy end.