Le Idi di luglio

19 / 7 / 2010

Non siamo qui venuti per tessere l’elogio funebre di Cesare. Quando raccontava le sue micidiali barzellette tutte le bravi platee borghesi ridevano di gusto. Quando piangeva e pizzicava sederi fra le macerie abruzzesi l’Italia si commosse. E non vogliamo certo negare che Fini, Tremonti e Casini siano uomini d’onore (su D’Alema lasciateci qualche riserva). Ma all’indomani delle ben pronosticate Idi di luglio, quando nel silenzio agghiacciante della Lega fu pugnalato colui il quale quei quattro sfigati in pensione della P3 chiamavano confidenzialmente “Cesare”, qualche considerazione di prospettiva bisognerà pur farla, mettendo insieme le increspature del piano politichese, i micidiali assalti nel laboratorio della produzione, le manovre sul teatro geopolitico.

Tornano dunque all’assalto tutti i poteri forti e quanti pretendono di rappresentarli nel loro immaginario privato. Tremonti, che ha alle spalle la Lega, Casini, che pesa poco e dovrebbe rappresentare un Vaticano di per sé abbastanza bloccato per i cazzi suoi (fuor di metafora), Fini, ottimo testimonial istituzionale, ottimo perché privo di idee e di truppe, D’Alema, imperterrito tessitore di trame, un cartoon della sfortunata tipologia Gatto Silvestre e Wile Coyote. Tutti insieme formano il nuovo Asse del Male, cioè di quanti sono intenzionati a cambiare il governo senza elezioni anticipate (di cui hanno terrore), insomma vogliono far fuori Cesare senza farlo sanguinare, solo che mettendogli paura. Formula unità nazionale, s’intende, salvezza della patria. Attenti, non è una frase vacua, cioè, è anche una frase vacua, ma sotto ci sta qualcosa. Sotto ci sta l’idea che alla “salvezza” deve corrispondere un estremo pericolo (e la crisi si presta bene alla bisogna) e che, se di “salvezza” si tratta e se senza di essa c’è la catastrofe, allora occorre prendere misure estreme, in pratica un taglio più consistente al deficit pubblico, una riforma più robusta delle pensioni, un controllo più incisivo del mercato del lavoro, una più drastica salvaguardia dei servitori dello Stato.

Tutto questo non arriva mica all’improvviso, va preparato e i segnali non mancano. L’innalzamento dell’età pensionistica è passato per emendamento senza colpo ferire, il rientro del debito è accettato all’unanimità con il vago auspicio di futuri investimenti per lo sviluppo. Lo vuole l’Europa, lo vogliono le leggi dell’economia, l’ortodossia monetarista (che invece non vale per le multe per le quote latte). Chi ha sentito proteste vigorose a sinistra per il mantenimento in servizio dei carnefici di Genova, l’informatissimo e bi-partisan De Gennaro in testa? Ancor meno per il generale Ganzer, condannato a 14 anni!, erede diretto di Dalla Chiesa e di Mori, con una bella genealogia di centro-sinistra.

Marchionne prova a ristabilire la disciplina nel settore produttivo, mentre la Marcegaglia comincia a definire sabotaggio gli scioperi di Melfi: contano entrambi sulla coppia disciplina-ricatto occupazionale (speriamo si sbaglino), certo sull’incertezza delle forze politiche di opposizione. La sacrosanta difesa dei diritti costituzionali a Pomigliano ricorda troppo la richiesta anni ’50 di far varcare alla Costituzione i cancelli delle fabbriche: per fortuna arrivò la ripresa delle lotte operaie a livello di produzione e organizzazione del lavoro.

Gli Usa ci mettono del loro, decisi a stoppare i giri di walzer berlusconiani con Putin e Gheddafi, l’adesione all’oleodotto Southstream e soprattutto un’eventuale simpatia italiana per il nuovo ruolo di supplenza che la Turchia sta acquisendo in Medio Oriente. Fin quando è la politica del cucù va bene, però non esageriamo. C’è pur sempre un prima e dopo Cristo, per dirla alla Marchionne, e la ricreazione è finita anche sullo scacchiere internazionale. Il prezzo finanziario e di sangue che ci tocca in Afghanistan lo dimostrerà e solo il Pd crede davvero che con il 2011 i nostri soldati torneranno a casa.

Due scuole di pensiero (per così dire) si fronteggiano. Quanti vogliono provare o fingere di provare a tener su Berlusconi, condizionandolo, e quanti sperano di stringere un patto scellerato sulla pelle del pagliaccio decotto. Altro che P3! I primi sono per una transizione morbida di qui al 2013 (quando ci sarà da assegnare anche la Presidenza della Repubblica) e tengono ora la golden share. Distinguiamo gli aspiranti velleitari che non contano nulla (Rutelli e Casini, buoni sono per ricattare i finiani) e quelli che contano (Tremonti e la Lega, non compattissima) e pertanto si riservano di mollare Cesare se l’operazione non trova i numeri o l’interessato si aggrappa tipo cozza al simulacro del potere assoluto. La seconda scuola al momento non ha punti d’appoggio in una crisi devastante del PdL e non ha i numeri, anche insieme ai finiani, per un’alternativa. E’ chiaro però che difficilmente il Pd potrebbe sostenere un governo di unità nazionale con dentro Cesare (e soprattutto Cesare non potrebbe accettare il voto dei “comunisti”) e altrettanto evidente che pure Fini non riuscirebbe ad avere un ruolo di leadership se non in tale seconda prospettiva. Del resto, in questa geometria variabile (dove la Lega è ben più determinante del Pd) solo Fini –nella sua perfetta e vacua rispettabilità– è un leader internazionalmente credibile, mentre Tremonti, con le sue ridicole pose da filosofo, le giravolte in teoria economica e la vocetta chioccia, non sembra all’altezza degli standard comunicativi ormai invalsi. Sarebbe invece un ideale uomo-ombra nella successione post-berlusconiana. Non variano invece i contenuti del dopo-Idi: austerità suicida, precarizzazione del lavoro, marginalizzazione dell’Italia nella divisione del lavoro e nell’iniziativa politica, assalto alla società della conoscenza. Si comincia subito con la riforma universitaria.

Torniamo al presente. Berlusconi dichiara che passerà agosto al lavoro per riorganizzare partito, governo e Italia. Good night, and good luck.

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