Al via tagli e premi previsti dal DL 180

L'altro volto del merito

I numeri dell'Università italiana e del suo declino

25 / 7 / 2009

Cari Rettori, avete voluto la bicicletta, ovvero il DL 180? E adesso pedalate!

Il 7% al merito, ivi prefigurato, adesso lo scontate come ripartizione al ribasso dei mantenuti tagli inesorabilmente previsti dalla tremontiana 133/2008. Il fallimento clamoroso del 3-2 ha portato l’Italia nelle ultime posizioni dell’UE allargata per numero di laureati (19% della classe d’età 25-34 contro una media del 30% e il 40% delle raffrontabili Francia, Spagna e Inghilterra), con sintomatiche sperequazioni interne (19% dei maschi e 23% delle donne, 9% di provenienza da famiglie non laureate, 60% da genitori laureati contro una media europea di 1 a 2); inoltre, contro tutte le scommesse del Bologna Process la riforma ha prodotto solo 945.000 studenti in regola con il percorso rispetto a 1.776.000 iscritti. Ripetenti e fuori corso sono passati dal 27% del “permissivo” 1980-81 al 47% del rigoroso 2008-2009.

I laureati sono in calo del 2% sull’anno precedente. La corsa al rimedio è subito cominciata: l’incidenza della spesa Università-Ricerca sul Pil, che due anni fa era dello 0.85% (contro una media europea doppia e del 2,6% negli Usa) è ulteriormente calata (su un Pil in caduta libera). In termini assoluti il 2010 vede un taglio di oltre 700 milioni di euro –circa il 10% del trasferimento pubblico. Al 2012 i tagli del Ffo ammonteranno a un ulteriore 7% –il solito numero magico delle fiabe horror! La redistribuzione “meritocratica” agisce dunque su cifre tagliate e da tagliare ulteriormente. Siamo nel pieno della logica per cui la formazione invece di essere un investimento (come per Obama, per esempio, che ha stanziato 40 miliardi di dollari) diventa una spesa da ridurre. 

Poco ci sarebbe da aggiungere all’editoriale di Uniriot scritto a caldo sulle prime notizie, se non un paio di aggiornamenti e qualche precisazione tecnica, man mano che emergono nuovi dettagli. 

Primo aggiornamento: Francesco Brancaccio si era giustamente interrogato sulle reazioni di Frati, l’ineffabile Rettore della Sapienza, pesantemente penalizzato con un –2,11%. Bene, le reazioni sono arrivate, indignate ovviamente, non con l’ottima riformatrice Gelmini, ma con i suoi attempati e infidi funzionari addetti alla valutazione e nominati dai precedenti ministri (ah, se Mussolini sapesse quello che fanno i gerarchi!). E poi c’è il sociale, cazzo il sociale! I fuori sede (sempre nel cuore del Magnifico), la situazione socio-economica delle famiglie che determina la dispersione degli esami, i parametri per le aree depresse, il peso delle nobili facoltà umanistiche (evidentemente il bilancio di Medicina è stato già scaricato sul Policlinico). Aggiungiamo che Frati ha fatto il possibile per almeno uno dei parametri richiesti per la didattica: «la limitazione della pratica non virtuosa della proliferazione di corsi ed insegnamenti non necessari e affidati a personale non di ruolo». Infatti ha passato alcuni di loro in ruolo, peccato si trattasse di parenti. 

Secondo aggiornamento: Giavazzi, ancora Giavazzi! Felice come una pasqua, s’intende, ma anche lui preoccupato. Riconosciuto alfine, dopo “quattro anni in cui chi a quell’esercizio si dedicò con passione fu deluso e deriso” (Corriere del 25.7). Però quei criteri non sono proprio perfetti, per esempio l’aggancio (per la ricerca) ai progetti approvati in sede nazionale non è un capolavoro di trasparenza, dato che chiunque lavora all’università conosce benissimo la scarsa trasparenza e gli arbitri diciamo “baronali” del Civr, anche la distribuzione selettiva agli –atenei poi diventa a pioggia nei Dipartimenti. Quisquilie, comunque il vero problema è che «nessuna riforma salverà le nostre università se queste rimarranno senza risorse. Con i tagli confermati nel Dpef molte università a novembre chiuderanno. La scelta è del ministro dell’Economia: o rinuncia ai suoi tagli, o ha il coraggio di proporre un innalzamento delle rette pagate dalle famiglie. Oggi può ancora scegliere; a novembre, quando gli atenei bruceranno, potrà solo pagare per spegnere l’incendio». Ipotizziamo che le fiamme si leveranno alte anche nel caso di innalzamento delle rette.

Infine qualche briciola tecnica. La riforma dei concorsi, già anticipata in altri tesi, consiste sostanzialmente nello sblocco di quelli già avviati (un contentino agli affamati già in ruolo), senza far cenno della ben più impegnativa e costosa abilitazione nazionale e a un dispositivo di assunzioni di nuovi ricercatori; inoltre viene confermato il monopolio degli ordinari nelle commissioni di concorso. Una classica battaglia contro il baronato! L’Anvur viene finalmente messa in funzione (dopo due anni di sabotaggio) e subito svuotata, visto che la classifica degli Atenei è orfana di referenti e precipuamente affidata a criteri di risparmio gestiti dalla burocrazia ministeriale. Misteriosi restano i requisiti minimi di docenza e di iscrizione studentesca per l’attivazione dei corsi.

Qui probabilmente si “salvaguarderà” l’autonomia universitaria lasciando agli Atenei la scelta fra tagliare tutto e non ricevere incentivi (ovvero subire maggiori tagli) del Ffo. E non si tratta solo di corsi e sedi staccate (della cui proliferazione sono responsabili esclusivamente le ambizioni accademiche e il ricorso delle forze politiche locali al voto di scambio), ma di soppressione o riaccorpamento delle Facoltà in Scuole (come previsto dalla futura legge sulla governance) e della drastica riduzione e concentrazione dei dottorati. Tutto il meccanismo della riproduzione universitaria viene aggredito e soffocato, concedendo compensativamente un incremento del precariato. L’aumento delle tasse è sottinteso, la pioggia delle borse di studio rinviata. Anche dei prestiti d’onore, con il vento che tira, si parla poco.

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