Fasten your seat belts

Perché Monti ha detto no alle Olimpiadi?

20 / 2 / 2012

  1. 1. L’immediato al No del governo Monti alle olimpiadi romane trova: Alemanno, il postfascista sindaco della città, sull’orlo di una crisi di nervi; le glorie sportive locali e nazionali esprimere parole di rimpianto ; le “ forze politiche” dividersi, dopo aver richiesto insieme il si ai giochi, tra chi loda il buon senso del presidente tecnico e chi non riesce a nascondere un evidente disappunto. Fin qui come da copione. Con una novità. A scorrere la possente rassegna stampa della potente Associazione dei costruttori romani (Ance) i tanti big romani del mattone tacciono. Nessuna esternazione degli associati accompagna infatti il comunicato di maniera che esprime: “rammarico per una opportunità mancata e preoccupazione per le previsioni non incoraggianti sui  tempi di uscita dalla crisi”. Un silenzio che lascia interdetti nel vedere quegli stessi conosciuti voraci appetiti sembrare non reagire a quello da sempre considerato come “cosa loro”: le grandi opere che, chi la città abita vive come colata e loro, ora, come rinuncia per quei “numeri magici” orgogliosamente esibiti, solo fino a poche ore prima, fin nell’anticamera di Palazzo Chigi: i 14 mila nuovi posti di lavoro e il balzo del Pil, tra il periodo compreso tra il 2013 e il 2025, stimato in oltre 17 miliardi. Ci sarebbe stato tanto da costruire, da “tirare su”, da aggiungere al tantissimo che si era iniziato a fare per altre manifestazioni sportive (per tutte i mondiali di nuoto) puntualmente “saltate” per ritardi dovuti -come è sempre stato e come sarebbe accaduto per i giochi- a costruzioni sovradimensionate e appesantite giorno dopo giorno dal crescere criminale dei costi. Fino all’inosabile rappresentato dall’ampliamento dell’aeroporto di Fiumicino (c’era pure questo) che avrebbe voluto dire: bruciare suolo agricolo per una superficie equivalente a 2400 campi di calcio.

  2. 2. Monti, alludendo alla attuale fase economica, ha chiosato: “ in fase di decollo non è il caso di slacciare le cinture”. Ma quel volo, per librarsi in aria, ha scelto di lasciare a terra, con i più (condannati perfino a spingere il velivolo a forza di sacrifici) anche i costruttori indicando, a costo di farsi dare del “ragioniere” da più d’uno dei suoi “sostenitori” in Parlamento, un evidente cambio di passo. Il Professore bocconiano sembra infatti voler dire no all’immagine, materiale e immateriale, della città così come si è andata rappresentando e proponendo nella sua veste post -fordista basata sulla tecnologia, sull’informazione, sulla creazione degli eventi. Dicendo No, alla realizzazione dello spettacolo delle Olimpiadi, Monti ha fatto in realtà tre mosse. La prima: ha detto che le città, così come sono, non possono più essere e che bisognerà ripensare al modello alla base della loro organizzazione economica e produttiva. Ha giocato d’anticipo - eccoci alla seconda mossa - puntando ad attaccare, ed è la prima volta che accade, l’idea stessa di urbanità e la sua rappresentazione nell’immaginario collettivo legato a quel modello in cui, fin’oggi, l’evento, sportivo o culturale, ha assunto un ruolo predominante nell’esperienza urbana contemporanea mobilitando strutture materiali, risorse finanziarie, capacità tecniche, per trasformare intere porzioni di città in luoghi per il consumo dello spettacolo. Cosa meglio di un Olimpiade, così come è avvenuto, almeno dall’edizione di Barcellona (1992) in poi, per fare del consumo di merci, di suolo urbano, di immagini, il fattore costitutivo dell’economia di una città? La quasi doppia vela di cemento dell’archi star di turno (lo spagnolo Santiago Calatrava) a ridosso della croce giubilare di Papa Wojtyla, da completare con solo (sic) altri 500 milioni di euro, era già pronta a divenire il simbolo olimpico di Roma. Così come è avvenuto per il “nido” di Pechino, i megamusei sparsi nel mondo, i grattacieli sempre più alti .

  3. 3. Non è stata però neanche la constatazione realista che non ce la si sarebbe fatta con il budget evidentemente sottostimato dal Comitato Olimpico o dei soldi aggiuntivi che non ci sono. Per divenire “Città Olimpica” non conta infatti il patrimonio impiantistico così come non conta per una “ Città Capitale europea della cultura” il patrimonio museale, monumentale, artistico. Per entrambi gli appuntamenti, vale la capacità di farli divenire l’invenzione per una nuova rappresentazione urbana generata dall’evento e dai suoi progetti di propaganda, indifferenti al luogo ed alla sua memoria. Entrambi distanti dagli abitanti che solo in pochi casi trovano benefici utilizzando quelle strutture come servizi o intercettando i flussi dei finanziamenti. E’ forse cambiata, dopo le Olimpiadi cinesi, il rapporto tra cittadini e diritti umani? Cosa è mutato in quei luoghi del mondo dove la cultura, diventando strumento della crescita economica, ha perso il proprio ruolo fondamentale nello sviluppo sociale della città? Marsiglia sarà capitale europea nel2013, pagando questo titolo, con i suoi sventramenti, con l’abbattimento di intere parti di città e il conseguente allontanamento di chi in quei luoghi viveva. Ulteriore dimostrazione che, con il crescere del valore della cultura nella formazione delle politiche urbane, viene a diminuire la disponibilità di cultura per sempre più vaste fasce della popolazione. Perché allora il no di Monti alle Olimpiadi romane, pensate come processo di una politica urbana basata sull’esclusione sociale e fattore d’ordine della realtà urbana? Per cercare di capirlo, o almeno proporre una prima del tutto provvisoria lettura, pensiamo alla rottura, da lui compiuta - al coperto di una ragione di opportunità di cassa “non me la sono sentita di lasciare dei debiti alle future generazioni” (troppo buono! grazie a nome dei nostri nipoti) - di quel fronte reso evidente e forte della crisi finanziaria, costituito dal mondo della finanza, dal settore immobiliare e dallo sviluppo urbano.

  4. 4. Monti si sente stretto nella gestione dell’ emergenza; vuole sapere in quale misura questa crisi porterà a ripensare il modello di sviluppo economico e territoriale. Per questo scarica in un colpo solo - un primo segnale – costruttori e sindaco, sospendendo almeno per un po’ chi vede nel costruire, nel cemento il solo modo che conosce per compiere operazioni di rendita. Il film è cambiato. Non si tratta più (o non solo) di pensare a riempire le città con operazioni immobiliari del tipo sperimentate nella ricostruzione dell’Aquila o in altri territori progettati dalle varie “cricche” o nelle deliranti demolizioni dell’edilizia pubblica vagheggiate per Roma da Alemanno ad erodere altro suolo agricolo. Si tratta di non ammettere per l’intero territorio alterità né dei luoghi né degli abitanti. Monti ha chiaro, a differenza di Alemanno e i suoi soci olimpici, che non c’è più bisogno di mascherare le operazioni di rendita con eventi culturali / sportivi per cui le città entrano in competizione l’una con le altre. Ci dice che le città espropriate dai mercati di ogni forma decisionale saranno sottoposte tutte in egual misura e al di là della loro dimensione alla continua presa di possesso sistematico del proprio patrimonio comune attraverso una forma di dispotismo che ha bisogno, anche dell’ urbanistica, per attanagliare, intorno ai nostri corpi, alla nostra stessa vita l’organizzazione del tempo e del lavoro che ci vogliono imporre. Lavora alla costruzione di un nuovo contesto dove impedire alla nozione stessa di giustizia sociale di diventare il motore della crescita urbana. Ha capito che con la battaglia per i beni comuni, si punta a intendere lo spazio non solo come luogo fisico, ma quale insieme di relazioni, di culture immateriali, di spazi sociali esistenti all’interno della città. Ci sarà tempo per consolare chi oggi si sente mancare il terreno sotto i piedi per aver perso l’occasione costruttiva. Sarà più facile dopo lo spavento di questi giorni convincerli che non c’è più bisogno di progetti; con le dismissioni in atto tutto sarà a portata di mano, sola ingegneria finanziaria. Più difficile sarà convincere i movimenti a dare retta al segnale lampeggiante di fasten your seat belts.