Democrazia e autonomia?

Riflessioni da Napoli sulle elezioni di Giugno

13 / 5 / 2016

Per forza di cose nell’ultimo mese si è aperto un dibattito pubblico attorno alle amministrative che stanno coinvolgendo moltissimi comuni in tutta Italia, stimolato evidentemente da alcune esperienze europee che – aldilà delle specificità – fotografano la potenzialità ricompositiva e conflittuale del territorio istituzionale. In estrema sintesi: se il capitalismo prova a liquidare la democrazia, allora anche la rappresentanza politica diventa terreno di lotta. A partire da queste intuizioni, che guardano all'esperienza di Barcellona così come a quella dell'autogoverno dei cantoni del Rojava, si pongono alcune domande.

Che ruolo giocano i movimenti all’interno delle amministrazioni comunali? Quali spazi si sono aperti per animare conflitto sociale anche a partire dell’attraversamento delle istituzioni? 
Dal momento che abbiamo scelto di impegnarci, come organizzazione politica, in maniera attiva rispetto a questa tornata elettorale, evidentemente non possiamo esimerci dal prendere parola su questo tema. Questa scelta, infatti, pur essendo in linea con una prospettiva politica precisa che caratterizza la nostra azione ormai da dieci anni, si inscrive in un'analisi di fase peculiare, riguardo alla quale ci interessa sottolineare più le discontinuità che non la coerenza con il nostro modo di intendere il lavoro sulla metropoli.


Proprio per questo ci pare che fare un discorso omogeneo, avulso dalle specificità territoriali non agevoli la discussione e ne mistifichi i contenuti. Per noi, infatti, il processo partenopeo non può che rappresentare un’anomalia poco comparabile a quello che sta succedendo in altre città del paese. Napoli resta la città in cui l'alternativa di massa al renzismo non si traduce in una mediazione al ribasso con i soggetti storici della rappresentanza a sinistra (partitici e sindacali), ma come connessione diretta con la struttura sociale della città.


Quello che pensavamo dell’esperienza comunale degli ultimi 5 anni lo abbiamo descritto ampiamente in un testo che pubblicavamo alcuni mesi fa. Evidenziavamo allora luci e ombre di un’amministrazione che aveva rotto ogni schema che avevamo conosciuto rispetto alle istituzioni cittadine.

Non staremo a ripeterci con lo stesso livello di approfondimento rispetto all’analisi della giunta de Magistris, tuttavia ci sono comunque elementi da mettere in luce ancora una volta. 
L’ultima amministrazione non stata perfetta, e ha presentato dei limiti importanti, in particolar modo nei primi tre anni dall’insediamento di Luigi de Magistris. Il coinvolgimento di alcuni pezzi di società, incarnati dal magistrato ed ex assessore Narducci, configuravano un’idea di governo molto distante da quella che avevamo immaginato, la gestione di Napoli si andava infatti caratterizzando su pratiche e parole d’ordine che troppo spesso concedeva sconti al giustizialismo e al securitarismo, con scarsissima attenzione ai dispositivi di inclusione da mettere in campo nei confronti delle marginalità del nostro territorio.

Allo stesso modo una prima disastrosa gestione della vicenda bagnolese, una solo parziale assunsione delle questioni legate alla tutela dell’ambiente e a un modello di gestione alternativo del ciclo dei rifiuti e una disattenzione quasi totale rispetto alle esigenze delle periferie, sostanziavano i nostri dubbi sull’operato del sindaco. Negli ultimi due anni invece la storia di questa amministrazione ha finito per capovolgersi. Al netto di alcuni limiti amministrativi - ma quale giunta meridionale, negli anni del fiscal compact e del pareggio di bilancio per gli enti locali non ne ha? - soprattutto dopo la sospensione di de Magistris da sindaco, la giunta ha lavorato per avvicnarsi alle istanze dei movimenti sociali e delle fasce subalterne della città. Pensiamo, ovviamente, al ruolo conflittuale che l’amministrazione napoletana ha assunto nei confronti di Renzi, in particolar modo sulla questione del commissariamento di Bagnoli (arrivando a disertare le cabine di regie organizzate dal governo), al conferimento della cittadinanza onoraria ad Abdullah Ocalan, il potenziamento della raccolta differenziata accompagnato dall’opposizione alla costruzione di una nuova discarica a Chiaiano e di un inceneritore a Ponticelli, la valorizzazione degli spazi occupati e in generale alle esperienze di autogestione cittadina e il tentativo di affrontare l'emergenza abitativa delle periferie napoletane al di fuori di logiche clientelari.

Attorno a questo cambio di passo si sono stretti pezzi di città alla cui sinergia non possiamo che guardare con grandissimo interesse. Comitati ambientali e per il diritto all’abitare, pezzi del sindacalismo conflittuale e di base, coordinamenti di disoccupati e precari, il mondo sano dell’associazionismo e molteplici esperienze di lotta hanno scelto di far parte dell’esperienza che si andrà formando per i prossimi 5 anni, rappresentando un patrimonio di politico immenso per l’organizzazione del conflitto sociale in città, che si assume di strappare pezzi di sovranità alle istituzioni locali. In questo senso arriviamo all'appuntamento di giugno come si arriva ad una sfida.

Luigi de Magistris individua in città uno spazio politico, genericamente legato al dissenso e al rifiuto del clientelismo partitocratico. Questo spazio politico – nonostante la progressiva assunzione, da parte dell'amministrazione, di temi cari ai movimento sociali - resta aperto, sfrangiato, problematico. La sfida è quella di lavorare perché dentro questo spazio significante trovino uno spazio egemonico le battaglie per i diritti civili e sociali che animano le più importanti esperienze di resistenza della nostra città. Rispetto a questa sfida è insufficiente proporsi come "sorveglianti esterni", all'interno di una postura antagonista estranea al momento elettorale e, semplicemente, vigile su un operato che non si prova a determinare: è il protagonismo delle istanze che, dal basso, si raccolgono attorno ad alcune candidature individuate all'interno di assemblee popolari e comitati di base che ci interessa.

Quello che abbiamo accennato nei paragrafi precedenti a questo ci sembra uno scenario assolutamente diverso rispetto a quello che si è configurato negli altri comuni italiani.

Auguriamo ovviamente il meglio a chi a partire dai movimenti si è messo in gioco per le elezioni amministrative, ma come abbiamo già detto in passato non ci interessano le sperimentazioni artificiose che mettono insieme pezzi riciclati della sinistra istituzionale italiana, con le dirigenze dei sindacati e di un certo tipo di associazionismo.

Questo non per vizio ideologico o nostalgie destituenti (ci pare che la nostra scelta lo dimostri e, anzi, chiarisca ancora meglio il senso tutto politico delle perplessità che abbiamo espresso rispetto a certi ambiti): semplicemente, ci pare che l'idea di partire dalla centralizzazione di accordi tra differenti pezzi di ceto politico (espressione che usiamo senza alcuna connotazione negativa) per poi far discendere da lì ipotesi di coalizione territoriale siano totalmente inefficaci.

Ci interessano piuttosto laboratori, come quello napoletano, che mettono seriamente in discussione le governance neoliberali e che maturano idee di città differenti a partire delle istanze nate dal basso, per le strade, nei comitati, nelle esperienze di autogestione e autogoverno. Ed è per un laboratorio come questo che abbiamo deciso, come abbiamo già fatto 5 anni fa, di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, di presentare la candidatura di due dei nostri compagni e di assumerci la responsabilità di sfidare le istituzioni locali a concretizzare un tipo di ragionamento che non può rimanere embrionale, ma deve realizzarsi nei prossimi 5 anni, per fare di Napoli un’esperienza ribelle, costituente e conflittuale.