In America si mettono le basi per far sparire la "neutralità della rete"

18 / 1 / 2014

Ci eravamo già occupati di segnalare quel che sta succedendo in America intorno a quella che viene definità "neutralità della rete", ovvero l'insieme di regole messe a punto tre anni fa dalla Fcc (Federal Communications Commision) che dovrebbero garantire uguale accesso alla rete.  Una sentenza del distretto di Columbia ha dato ragione alla Verizon sancendo la possibilità che la rete non sia uguale per tutti. Dipenderà da chi sei e da cosa paghi.

Un tema, di per sè globale, che si affaccia anche in Europa che dovrà discuterne nei prossimi mesi.

Per saperne di più vi proponiamo due articoli, tratti dal Manifesto e da Wired.

Primo Stop alla neutralità della rete di BenOld da il Il Manifesto 16 gennaio 2014

Bat­tuta d’arresto per il dispo­si­tivo di regole messo a punto dalla «Fede­ral Com­mu­ni­ca­tions Com­mis­sion» (Fcc) sta­tu­ni­tense sulla cosid­detta net-neutralità, cioè la garan­zia che ogni infor­ma­zione che viaggi su inter­net debba essere gestita indi­pen­den­te­mente dal con­te­nuto che vei­cola e dai soldi pagati a chi for­ni­sce la con­net­ti­vità. Il rego­la­mento, chia­mato signi­fi­ca­ti­va­mente «Open Inter­net Order», è stato varato dopo anni di lavori della com­mis­sione fede­rale per diri­mere le richiese di chi soste­neva e sostiene che ogni dato deve essere trat­tato alla pari di altri, garan­tendo così la neu­tra­lità della Rete; dall’altra la tesi di molti for­ni­tori di con­net­ti­vità che chie­de­vano di dif­fe­ren­ziare la velo­cità di tra­smis­sione in base a cri­teri monetari.

I due «fronti» hanno visto con­trap­po­sti asso­cia­zioni dei diritti civili, ma anche molte imprese che hanno il loro «core busi­ness» nell’aggregare dati e con­te­nuti (Goo­gle, ad esem­pio), dall’altra agguer­rite mul­ti­na­zio­nali delle tele­co­mu­ni­ca­zioni che pun­tano ad acqui­sire clienti dispo­sti a pagare molto di più dei canoni usuali per evi­tare le attese di rispo­sta su Inter­net. A fer­mare il rego­la­mento della Fcc una sen­tenza della corte di appello del distretto di Colum­bia, che ha accolto un’istanza di Veri­zon, che con­si­de­rava l’equiparazione delle società di tele­co­mu­ni­ca­zioni a società di ser­vizi infor­ma­tivi un «abuso di potere». Secondo le leggi ame­ri­cane, chi for­ni­sce ser­vizi di infor­ma­zioni non può ope­rare nes­suna discri­mi­na­zione e pri­vi­le­giare que­sto o quel cliente. Per Veri­zon, invece, le società che garan­ti­scono la con­net­ti­vità alla Rete que­sto sarebbe un «abuso di potere» per­ché limita la loro atti­vità. I giu­dici hanno accolto que­sta tesi. Imme­diata la rea­zione delle asso­cia­zioni dei diritti civili, che hanno chie­sto alla Fcc di modi­fi­care il rego­la­mento, sal­va­guar­dando comun­que il prin­ci­pio della net-neutrality.

Neutralità della Rete, cosa cambierà per gli Usa da Wired

Storica sentenza di una corte d’appello del District of Columbia: via libera alla Rete a due velocità, scardinati i principi dell’internet libera stabiliti dalla Federal communications commission tre anni fa. Cosa può imparare l’Europa da questa svolta

No alla Rete uguale per tutti. Una corte d’appello del District of Columbia ha segnato un importante precedente giurisprudenziale per gli equilibri mondiali della democrazia online accogliendo un ricorso del colosso statunitense delle telecomunicazioni Verizon contro Netflix. La sentenza sconfessa le regole stabilite dalla Federal Communications Commission in vigore dal 2010: nell’Open internet orderdi obamiana ispirazioneè di fatto messa nero su bianco la neutralità della Rete quale vettore libero e aperto alla concorrenza. Ma soprattutto da considerarsi come ambiente non limitabile. La sentenza demolisce questa concezione, dando semaforo verde agli operatori e fornendo loro l’opportunità di architettare offerte particolari che includano velocità di connessione diverse e un certo numero di porte aperte o chiuse al Web. In altre parole: siti, contenuti e servizi da differenziare in base a quanto paghi di abbonamento. Un po’ come accade con le pay tv, con dei pacchetti diversificati. O magari, nella più estrema delle ipotesi, nessun pacchetto.

Gli Stati Uniti piombano dunque dall’avanguardia – almeno teorica – nella protezione della Rete alla retroguardia più inquietante. Proprio tre anni fa la Fcc aveva deciso di tutelare il futuro di internet, e dunque di parte dei processi d’innovazione, proteggendola dagli interventi degli operatori. Di quello scheletro legislativo rimane in piedi solo l’obbligo alla trasparenza, e cioè la necessità di dichiarare ai clienti e alle aziende come viene gestito il traffico, gli estremi commerciali e le prestazioni offerte. Dopo la sentenza di Washington, però, tutto il resto cede di fronte alle pressioni del mercato. Cioè l’aspetto più legato alla libertà di movimento in Rete, che non deve (doveva) essere troppo differenziata in base alle offerte scelte dai clienti né tantomeno subire il blocco alla fruizione di servizi o contenuti web di qualche tipo, purché legali ovviamente, compresi quelli della concorrenza. Divieti più light per il comparto mobile, ma pur sempre esistenti. In realtà agli operatori era già data l’opportunità di spingersi più in là, proponendo alcuni “servizi specializzati” già consentiti, ma a patto che non incidessero su una piattaforma di partenza uguale per tutti.

Insomma, via libera alla pacchettizzazione dell’offerta e accesso completo al Web in bilico. In base, oltre tutto, a un principio che è ancora più importante della stessa decisione. Il fatto, cioè, che secondo la corte Usa gli internet service provider non possono più essere tagliati fuori dalla gestione dei contenuti della Rete. Insomma, la decisione stabilisce che sono nello stesso tempo operatori di rete (quindi infrastrutturali) ma anche di contenuti (quindi, di fatto, editoriali). E possono dunque ritagliare quella sterminata offerta che è internet in base ai parametri di velocità ma anche di servizio e contenuto concessi agli abbonati.

La commissione federale può ora appellarsi o accogliere i rilievi e preparare un nuovo regolamento. Rimane il fatto che la decisione rappresenta un bel campanello d’allarme per l’Europa. Proprio lo scorso settembre la commissaria europea Neelie Kroes ha presentato il nuovo pacchetto di misure per il mercato delle telecomunicazioni, l’ormai noto Connected Continent: Building a Telecoms Single Market. Lì dentro, oltre a molti aspetti legati al roaming internazionale o alla portabilità della Sim da operatore a operatore, c’è anche un capitolo importante dedicato proprio alla neutralità della Rete. Le nuove norme proposte, che dovranno passare il vaglio di Parlamento e Commissione, hanno mosso una montagna di critiche alla commissaria olandese e al suo staff. Motivo? L’introduzione, un po’ com’era nel regolamento della Fcc appena bocciato (o meglio, superato), della possibilità per gli operatori di stipulare accordi con i fornitori di contenuti per offrire servizi particolari, di qualità. E diversificati (video in streaming, offerte per settori specifici e così via). Il tutto, però, senza toccare un accesso aperto a “Internet senza restrizioni”.

Anche da noi, dunque, Europa come Italia, le compagnie che forniscono accesso alla Rete spingono (e continuano a fare lobbying in questi mesi a Bruxelles) per creare un nuovo mercato. Magari non proprio un’internet 2.0 riservata a chi potrà o vorrà pagare di più ma certo l’idea è quella di allargare il più possibile quella possibilità già inclusa nella bozza di riforma del mercato Tlc per dare vita a una Rete nella Rete. D’altronde le tariffe calano e i player puntano sui servizi affamati di banda (streaming musicale, giochi, chiamate, file sharing), quelli che tirano di più online, lasciando a chi non può o non vuole pagare le macerie del Web. Come dire, da una parte autostrade digitali veloci e pulite con aree di sosta da sogno, dall’altra disastrate strade provinciali in cui incanalare tutti gli altri. Difficile che succeda? Per ora la presidenza greca del consiglio Ue ha derubricato dibattito e approvazione della riforma. Chissà che anche questa grana non debba toccare a Enrico Letta.