Indonesia, Malesia, Filippine, i tre paesi principali di quello che geograficamente è definito l’arcipelago malese, nel sud – asiatico. Una zona, che come altre in Asia, è ricca di fermenti di protesta sociale e mobilitazioni di massa che hanno avuto rilievo oltre i loro confini.

L’arcipelago ribelle

Lotte operaie e sviluppo, uno sguardo sulla Malesia.

11 / 2 / 2014

Indonesia, Malesia, Filippine, i tre paesi principali di quello che geograficamente è definito l’arcipelago malese, nel sud – asiatico. Una zona, che come altre in Asia, è ricca di fermenti di protesta sociale e mobilitazioni di massa che hanno avuto rilievo oltre i loro confini. Si parla di un’area che oltre ad avere un’unità geografica, è stata attraversata da quella che è stata la prima bolla speculativa finanziaria nel mondo, quella delle “tigri asiatiche”.

Ne parla in un capitolo Naomi Klein, nel suo “Shock Economy”, dal titolo, “Lascia che bruci. Il saccheggio dell’Asia e “la caduta del secondo muro di Berlino””. “In Asia – scrive l’attivista e ricercatrice americana – fu la crisi finanziaria del 1997 – 98 – paragonabile per gli effetti devastanti, alla Grande Depressione, a trasformare, aprendo a forza i loro mercati, le cosiddette Tigri Asiatiche in quella che il New York Times ha definito “la svendita per cessata attività” più grande del mondo”.

Ma in questi anni ultimi anni di crisi finanziaria globale, nell’arcipelago malese, sono cresciute organizzazioni e movimenti di protesta che reagiscono al loro stato di cose imposto dal neoliberalismo, e che camminano con piedi che si erigono su una storia passata di lotte da non trascurare. Nelle interviste sono riportate le considerazioni di importanti attivisti che testimoniano le lotte di paesi come appunto la Malesia, dove nel 2011 nello stesso periodo delle primavere arabe, la gente è scesa in piazza, ed oggi sono aperti diversi fronti di lotta, dell’Indonesia, dove sono stati organizzati i primi importanti scioperi dopo decenni, e le Filippine, dove nel 2009 è nato un partito molto attivo nelle proteste dell’anno appena passato. 

Apriamo, quindi, uno spazio di riflessione e discussione proponendo 3 interviste a militanti impegnati nelle lotte operaie e sociali del Sud Est asiatico. Cominciamo con la Malesia, ne parla Julius Choo Chon Kai.

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In Malesia, sono molti i fermenti politici attivi, per una reale democrazia e contro il capitalismo predatore: intervista a Julius Choo Chon Kai, 35 anni di Penang, editorialista della rivista “Sosialist”, membro del Partito Socialista delle Malesia ed attivista nelle battaglie presenti nel paese.

La Malesia oggi: quali sono alcuni dei problemi maggiori del paese attualmente?

Il razzismo e la politica razziale e religiosa sono le maggiori questioni ed ostacoli esistenti in Malesia, utilizzate dalle classi dominanti a partire dall’età della colonizzazione, per dividere e comandare, in un paese che comprende tante etnie. Le disuguaglianze socio – economiche sono molto pesanti in Malesia, dove la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi. Questa situazione deriva da quando nel 1970 la classe dirigente ha promosso la Nuova Politica Economica, che ha dato vita ad una classe di capitalisti cleptomani clientelari. Il governo ha iniziato ad attuare le politiche neo – liberiste a partire dal 1990, privatizzando la maggior parte dei servizi pubblici che sono andati nelle mani dei soliti amici. Il regime si è da allora affidato a leggi repressive per reprimere ogni opposizione, ma negli ultimi anni stiamo assistendo alla perdita di un po’ di controllo da parte sua, in favore delle rivendicazioni della popolazione.   

Quali sono alcune importanti battaglie oggi in Malesia?

Alcune delle battaglie che si stanno svolgendo, che hanno visto molti attivisti scendere in strada, sono le seguenti: la campagna contro la Good and Service Tax (GST), la tassa sui beni ed i servizi, conto il governo che ha pianificato di introdurre una tassa regressiva che costringe le classi più povere a pagare per salvare i profitti di quelle ricche. Stiamo preparando una manifestazione molto importante per il prossimo primo maggio su questa questione; la campagna contro la costruzione di mega dighe  che nello stato del Sarawak ha distrutto l’ambiente ed il sostentamento delle popolazioni indigene che vivevano in quei luoghi. Molte popolazioni indigene sono state costrette a lasciare i luoghi dove hanno vissuto da sempre; la campagna contro il TTPPA, The Trans Pacific Partnership Agreement, un accordo tra vari paesi in base al quale le aziende multinazionali provano a controllare ogni cosa per i loro profitti. Questo porterà un impatto negativo sui piccoli contadini, sui prezzi dei medicinali, e porterà a nuove privatizzazioni.

Qual è l’orientamento delle forze politiche al governo attualmente?

L’attuale governo è un governo che domina a partito unico e che basa la propria politica sulla riproduzione di un sottile sentimento razziale, saccheggiando la ricchezza dei territori per favorire i propri compari.  Il governo sta lavorando a stretto contatto con grandi capitali stranieri e nazionali, e farà di tutto per proteggere i loro interessi.  Il partito nazionalista malesiano ha dato prova di forti politiche repressive nel corso del 2011 (nello stesso periodo in cui scoppiarono le primavere arabe), quando manifestazioni di decine di migliaia di persone hanno attraversato il paese per la richiesta di una democrazia reale. Ci furono migliaia di arresti. Prima di quelle manifestazioni, alcuni attivisti del partito socialista malese sono stati arrestati a sessanta giorni di carcere con l’accusa di voler rifondare il partito comunista ed abbattere la monarchia.

Qual è la storia del Partito Socialista della Malesia?

Il Partito Socialista della Malesia (Parti Sosialis Malaysia – PSM), è stato fondato nel 1998 da vari gruppi organizzati provenienti dalle comunità di base. Questi gruppi erano stati coinvolti in alcune battaglie contro gli sgomberi forzati degli occupanti delle case nelle città, la paga minima per i lavoratori, i diritti per le libertà di organizzazione. Per molto tempo essi hanno camminato insieme costituendo una coalizione di forze di base. Poi la decisione di costituire un partito, data l’assenza di un’organizzazione politica che fosse in grado di rappresentare le rivendicazioni dei lavoratori e delle fasce sociali più svantaggiate. Le lotte portate avanti dal partito si fondano su obiettivi cardine come la partecipazione vera e dal basso, in modo che chiunque possa prendere parola, la giustizia sociale, la solidarietà e la difesa dell’ambiente.

Intervista e traduzione a cura di Mattia Gallo.

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