Considerazioni sulle piazze degli Indignados

Una generazione a cui hanno tolto troppo e che adesso vuole tutto

2 / 6 / 2011

 Ci avete tolto troppo, adesso vogliamo tutto: sta scritto all’ingresso di Calle Alcalà, su un Manifesto di Juventud sin Futuro a due passi da Puerta delSol. Potrebbe stare in Grecia, in Italia o in Tunisia.

L’enorme vitalità e l’energia che le mobilitazioni in tutta la Spagna hanno espresso in queste settimane aprono immediatamente alcuni punti di riflessione, attorno alle prospettive, alla genesi e agli sbocchi politici possibili. Sicuramente questo non è altro che un tentativo di sviluppare alcune considerazioni a partire dall’incontro con gli studenti di Juventud sin futuro e dai quattro  giorni passati a Madrid nella fase più alta della mobilitazione degli indignados a Puerta del Sol. Innanzitutto il carattere immediatamente diffuso sul territorio nazionale è un aspetto non scontato in Spagna per quanto riguarda i movimenti sociali in rapporto al territorio e alle rivendicazioni sul terreno dell’indipendentismo: ma l’elemento sicuramente più interessante è il richiamo immediato e forte ad alcune tra le esperienze più significative di conflitto contro la crisi.

In primo luogo l’Islanda, storia taciuta dai media che ha suscitato grande attenzione sia tra gli attivisti sia tra chi gestisce a suon di tagli e indebitamenti la crisi economica e gli interessi delle multinazionali, della finaza, delle banche. Un paese che non ripaga il debito, pur se la piccola Islanda, è pur sempre un problema. O forse, una sperimentazione di soluzione, riappropriazione, disvelamento della reale violenza del potere della finanza.

Ma anche l’italia (con il book block alla testa del corteo di Juventud sin futuro del 15 maggio), le rivolte di Londra, quelle greche; centrale l’immaginario di Piazza Tahir, delle rivolte e dei processi rivoluzionari in Maghreb, sensazioni e rimandi che balzano agli occhi di chiunque si avvicini a Purte del Sol, senza lo spettro dell’emulazione e della riproduzione tout-court di un modello prestabilito ma a partire dal senso profondo di una battaglia per la democrazia reale. I diritti formali oltre che quelli sostanziali sono una delle rivendicazioni delle mobilitazioni maghrebine: in Spagna, lo slogan Democràcia Real Ya scompagina il piano e a fronte dei diritti formali già esistenti e apre immediatamente lo scontro attorno alla questione dei processi reali di decisione e di liberazione. Democrazia reale vuol dire immediatamente rifiuto e denuncia della corruzione come meccanismo insito nei processi di governo della finanza, rifiuto del bipartitismo che non consente alternative e costruzione di un immaginario altro.

Liberazione dalla classe politica, dai banchieri, dagli imprenditori:  un misto di antipolitica e radicalità, in mezzo migliaia di persone non più disposte a cedere ai ricatti. Dopo due settimane di occupazione della piazza adesso le assemblee popolari si sono spostate nei quartieri, nelle università si discute su come costruire il rilancio delle mobilitazioni, mentre i primi atti del nuovo governo di destra in Catalunya sono le infami cariche violente dei mossos d’esquadra contro i manifestanti a Barcellona. Violenze ed impotenza in questo caso vanno assieme, perché in migliaia si riprendono la piazza costringendo la celere a lasciare la piazza, piena di feriti, di rabbia e di indignazione rafforzata che va oltre i confini e rilancia in tutta Europa le ragioni della lotta degli indignados.

In questi giorni intanto riesplode la questione greca, e piazza Syntagma diventa immediatamente la piazza degli indignati greci, come Puerta del Sol lo è per la Spagna: un paese indebitato,così come indebitati sono migliaia di famiglie e di giovani, una classe media che secondo gli stessi dati Istat in vari paesi d’Europa diventa sempre più proletaria, povera, ricattabile. La Grecia che ha vissuto anni di rivolte studentesche,di sciopero generali e di rifiuto delle misure di austerity, e che dunque parla immediatamente a tutti noi.

Una Spagna che vede crollare impietosamente il modello Zapatero, propaggine di quella esperienza progressista dei socialisti in Europa: ad un inizio di governo che sul tema dei diritti civili e del rapporto con i movimenti e la società civile aveva costruito il suo successo sulle destre, la successiva  gestione della crisi a suon di tagli ha spalancato gli occhi di migliaia di giovani cresciuti tale promesse della Spagna in crescita e ritrovatisi poco dopo con il 45 per cento di disoccupazione, lo smantellamento del welfare e del sistema formativo. Chiedono lavoro, giovani spagnoli laureati e disoccupati, o disoccupati e basta, e molti rilanciano le campagne per il reddito; chiedono la messa al bando della corruzione ( No hay pan por tanto chorizo cantano nelle piazze), e al tempo stesso una riforma della legge elettorale contro il monopolio Psoe/Ppe.

Praticano una nuova forma di politica e di democrazia, e dicono “No alla politica”, costruiscono migliaia di assemblee che decidono poco ma in cui sembra davvero,come ho già scritto, più importante parlare, partecipare, sentirsi protagonisti: le contraddizioni di una piazza incredibilmente viva balzano agli occhi, ma sicuramente questa esplosione di desideri e di indignazione non potrà essere messa da parte, da nessuno,in Spagna come nel resto dei paesi che hanno seguito con attenzione quelle voci. Perché sono le nostre voci. Migliaia e migliaia di giovani, altri meno giovani che però guardano alla rabbia e alla forza delle nuove generazioni quasi con speranza.

Le piazze indignate devono anche fare i conti con la pesante vittoria elettorale della destra. Non inaspettata, eppure problematica: ma quelle piazze si sono situate immediatamente oltre, non perché disconoscono il problema ma perché tentano di aprire una nuova strada, in mezzo a mille ambivalenze, questioni da affrontare, divergenze che emergono ed emergeranno, come avviene in qualunque spazio che propone una democrazia altra, reale, vera.

Le piazze indignate aprono immediatamente l’interrogazione politica attorno alle prospettive da costruire a partire dall’indipendenza, dall’autonomia e dalle forme nuove di organizzazione dei movimenti, alla concretezza dei bisogni e dei desideri  di milioni di persone contro la violenza e l’assenza di libertà determinata dalla finanza, dalla Banca centrale europea, dai Marchionne di turno.

Come trasformare le piazze degli indignati e le università in mobilitazione in dimensione di programma di rivendicazioni, organizzazione e conflitto diffuso nello spazio euromediterraneo? Come effettivamente tradurre in pratica dell’alternativa quelle sperimentazioni di alleanze, quelle pratiche diffuse e quei discorsi comuni che ormai dilagano nei vari paesi?

Una scommessa che gli studenti e i precari in Spagna stanno giocando, perfettamente coscienti della portata della posta in palio, che riguarda lo spazio euromediterraneo in pieno, così come guardiamo tutti con attenzione ai processi rivoluzionari in Tunisia, tanto quanto ai punti di blocco che ovunque incontriamo. E’ all’altezza di questi problemi che occorre ragionare, dentro i conflitti e le istanze di milioni di persone sequestrate dalla crisi, che senza paura, come scritto sullo striscione di Puerta del Sol, rialzano la testa.