Due milioni e 200 mila firme chiedevano che il popolo colombiano potesse esprimersi contro le privatizzazione delle risorse idriche. Ma il parlamento ha detto “no”: il reportage di Enzo Vitalesta, dalla Colombia

Oscura acqua chiara

I due specchi della Colombia

27 / 9 / 2010

Un popolo luminoso quello colombiano, contro lo Stato, il governo, il parlamento, i paramilitari, le grandi corporazioni, i ricchi latifondisti, i narcotrafficanti, le potenti istituzioni finanziarie internazionali. Un lista dei cattivi tanto lunga quanto la serie di omicidi politici senza colpevoli che da più di cinquanta anni insanguina il fiume Magdalena. 

Di ritorno dalla Colombia invitati l’8 e il 9 settembre al III Foro internazionale dal Sindacato dei lavoratori delle imprese Colombiane che gestiscono l’acqua, l’impressione è quella di un Paese dai due volti. Quello oscuro, del potere, della morte e della privatizzazione. E quello luminoso della gente piena di speranza e voglia di cambiare questo paese in cui i difensori dei diritti umani sono bersaglio dei paramilitari,l’impunità regna sovrana e la democrazia si azzera nell’antro buio di una legalità illegittima. 

I movimenti latinoamericani riuniti a Bogotà, convocati dall’agguerrito sindacato delle imprese dell’acqua SINTRAEMSDES, hanno denunciato l’atto perentorio con cui il Parlamento colombiano ha messo la parola fine al processo referendario iniziato dai movimenti in questo Paese. Due milioni e 200 mila firme chiedevano che il popolo colombiano potesse esprimersi contro le privatizzazioni e salvare la maggior parte degli acquedotti, che ancora sono gestiti dalla sferapubblica o dalle comunità locali, dal così detto Plan Agua, una sorta di processo involutivo, molto simile a quello italiano, che nel giro di un anno dovrebbe stringere nella morsa privatizzatrice la totalità delle imprese dell’acqua. Ma il parlamento ha detto “no”, il processo referendario in Colombia non può essere attuato malgrado la Costituzione lo preveda, perché la procedura prevista alla fine si risolve, ad arte, in un labirinto senza via di uscita. 

Allora le comunità del Cauca, di Santander, l’impresa pubblica di Bogotà, gli indigeni U’wa di Boyaca, i sindacati latinoamericani, e anche il Forum italiano dei movimenti per l’acqua insieme a Yaku, si sono uniti in una singola voce per chiedere democrazia e convocare un mobilitazione generale in un Paese in cui, è bene ricordarlo, più di 4 milioni di persone sono state allontanate dai loro territori, ricchi di acqua e di materie prime, dalla violenza dei paramilitari al soldo di biechi interessi imprenditoriali. Ma i “desplazados” della Colombia dopo l’atto del Congresso sono decuplicati. 40 milioni di cittadini, un’intera popolazione è stata strappata dalla democrazia e dai beni comuni con la violenza scritta di un atto parlamentare. Per questo la Commissione interecclesiale Justicia y Paz, l’organizzazione Censat Agua Viva, insieme a Yaku hanno deciso d’intraprendere un cammino, non solo simbolico, proprio dove l’acqua è più oscura, nei territori degli agrocombustibili, dello sfruttamento minerario, del petrolio e delle grandi opere infrastrutturali. 

Dove i paramilitari vorrebbero con il sangue imporre la paura e togliere la speranza. E proprio in quei luoghi in cui l’oscurità è più oscura, si accende la miccia di nuovo mondo possibile, in cui le comunità dei desplazados, oltre ai territori, potranno riprendersi anche il controllo di quegli spazi decisionali e di democrazia legati alla riappropriazione dei beni comuni. Il progetto “Agua Justizia y Paz” vuole ridare acqua “chiara” ad alcune piccole comunità del Cauca, della Valle del Cauca, del Putumayo, e di Huila. 136 famiglie, circa 1500 spogliate di tutto. A parte la dignità che tengono ben stretta alla loro memoria e ai loro territori che aiuteremo a recuperare.

http://www.yaku.eu/primapagina_articolo.asp?id=1541