Milano, 15 ottobre: seme di una protesta permanente

Utente: Indie81
16 / 10 / 2011

Da diverso tempo si è capito che le manifestazioni imponenti in Italia possono finire male. Ieri, nella giornata mondiale degli indignados, Roma è stata probabilmente la piazza più partecipata al mondo. Circa mezzo milione di ragazze e ragazzi si sono riappropriati delle strade per gridare al paese e a tutta Europa che difenderanno ad ogni costi i beni comuni, lo stato sociale, i diritti sul lavoro, per chi ce l’ha, contro gli attacchi incrociati di BCE, FMI, banche e agenzie di rating. Ma quel grido, lucido e potentissimo, è stato malamente strozzato. Frange violente (neri, infiltrati, entrambe le cose o gente molto ma molto incazzata?), chiamati con la solita incauta leggerezza black bloc, e polizia impreparata e mal governata hanno impedito una degna conclusione della manifestazione. Fin da subito e nelle prossime ore tutto il dibattito verterà su questioni di ordine pubblico e i soliti vergognosi tromboni politici (cui prodest), con tutta la stampa nazionale a seguito, si sentiranno automaticamente esonerati dal confrontarsi con i contenuti della protesta.
A Milano ieri, con un millesimo dei ragazzi e delle ragazze che hanno invaso Roma, forse si è riusciti a realizzare a livello embrionale almeno una parte dei propositi che aveva animato il bel corteo della Capitale. Tutti gli indignati che, per diverse ragioni, non sono potuti salire su uno dei tanti pullman notturni per Roma, si sono concentrati in piazza Duomo intorno alle 14 e 30. È stata un’iniziativa spontanea, priva di un qualsiasi coordinamento, nata dall’urgenza da parte di pochi e subito condivisa da molti di rendere una testimonianza attiva della propria indignazione, anche se lontani dalle piazze nevralgiche del mondo.
Fin dalla prima ora ci siamo resi conto che per quanto pochi avremmo potuto occupare una buona fetta della piazza. Abbiamo formato un cerchio attraverso un cordone umano e abbiamo messo in centro i cartelli preparati all’ultimo minuto. Con i pochi fotoreporter presenti abbiamo iniziato a fissare qualche immagine di quello spettacolo del tutto imprevisto. Nessuno aveva portato un megafono adeguato, si faceva fatica a recuperare lo scocth necessario a tenere fermi i cartelli ma la voglia di tirare fuori nuove idee era nell’aria. Per molti di noi non era più sufficiente un semplice presidio, bisognava farsi vedere. Così ci siamo mossi in un corteo spontaneo. Mentre avanzavamo compatti ci guardavamo continuamente alle spalle per assicurarci di non esserci dispersi. Non stavamo perdendo pezzi. Lungo via Orefici eravamo diversi decine. La polizia, in attesa di ordini dall’alto, ha deciso di sbarraci la strada. Poi si sono mossi, provando a scortarci fino a meta. Ma non eravamo una scolaresca in gita. Ci siamo fermati e compattati, con l’intenzione di entrare in piazza Affari a modo nostro. Gridando, i più anziani col pugno chiuso alzato, “hasta la victoria!”, i più giovani “noi la crisi non la paghiamo” e tutti quanti in coro, di fronte al volto gelido della borsa, “ladri! Ladri! Ladri!”.
Dopo una mezz’ora abbiamo deciso di tornare indietro, confrontandoci di continuo su come proseguire la marcia. In Cordusio ci siamo fermati. Molti di noi hanno deciso di sedersi e bloccare il traffico per almeno un quarto d’ora. Poi è girata la voce che in Duomo succedeva qualcosa. Ci siamo alzati controvoglia e siamo andati a vedere di persona. Si era formato un nuovo presidio. Una ragazza parlava tramite un vero megafono, qualcuno aveva piantato una tenda e portato dei sacchi a pelo. Tutti i cartelli erano fissati per terra con lo scocth e per chi aveva sete c’erano bottiglie di acqua minerale. Era il massimo che si poteva fare in poche ore. Alcune ragazze hanno iniziato a girare pazientemente per raccogliere il più possibile contatti. L’idea basilare era quella di creare una rete stabile, anche sul web. Adesso però eravamo lì, diverse decine, molti seduti per terra, altrettanti in piedi. È cominciato un dibattito aperto a interventi spontanei. Studenti, precari, operai, pensionati. Ciascuno ha condiviso la sua esperienza e cosa ne pensava di questa crisi. La voce di chi parlava andava e veniva a intermittenza ma abbiamo ascoltato tutti quanti, pieni di interesse ed empatia. Abbiamo chiuso le giacche, decisi a resistere al freddo calato insieme al sole. Cinquanta dei più tenaci hanno deciso di rimanere accampati, gettando il seme di una protesta permanente che, se attecchirà, non dovrà avere complessi di inferiorità rispetto a quella nata il 15 maggio a Puerta del Sol, Madrid.

Paolo Tardugno