#Sherwood15 - Da Kobane all'Europa: guerre, fondamentalismo, rivoluzione

I video del dibattito di lunedì 15 giugno

17 / 6 / 2015

In tante e tanti hanno preso parte al primo dibattito dell'edizione 2015 dello Sherwood Festival a Padova. Un appuntamento che, attraverso le parole di Murat Bay - attivista e giornalista curdo - ha portato la platea direttamente ai confini tra Turchia e Siria e nella città di Kobane, insieme alle donne e agli uomini che quotidianamente combattono contro l'islamo-fascismo del Califfato Nero. Michele Giorgio - giornalista e corrispondente de Il manifesto - ha ricostruito la genealogia dello Stato Islamico e ha disegnato i contorni dei progetti egemonici che si stanno sviluppando nella regione mediorentale, dove la resistenza della Rojava diviene una possibilità per i tanti popoli che vivono in quei territori. Infine Sandro Mezzadra - Docente di Scienze Politiche, collettivo Euronomade - racconta il carattere destituente e permanente della guerra intesa come dispositivo di governabilità. Come essa si sviluppa nel grande medio oriente e come entra nei territori occidentali, statunitensi ed europei. E come, in questo scenario, la creazione di un soggetto collettivo che parli di autogoverno e libertà sia un'esperienza a cui siamo, tutte e tutti, chiamati.

Introduzione di Marco Sandi - Rojava Calling, Laboratorio Occupato Morion

“Riprendo una frase di Sandro Mezzadra da un suo editoriale del 2014 ”Kobane è sola?”. Oggi possiamo rispondere, no, non è sola. Ci siamo avvicinati alla questione di Kobane e della Rojava, apprendendo dal main stream delle esecuzioni e dei massacri compiuti dall’Isis, e avendo negli occhi le immagini delle migliaia di persone che cercavano di fuggire attraverso il confine turco-siriano. Ma non ci interessava la notizia, siamo scesi a quel confine per esprimere un’informazione di parte e per conoscere più dall’interno quella che riteniamo una vera e propria rivoluzione. I principi fondanti del confederalismo democratico ci parlano di democrazia dal basso, di inclusione e rispetto delle minoranze etniche e religiose, di uguaglianza di genere e di ecologia. Ci parlano di superamento dello Stato-Nazione, di autonomia e autogoverno.”

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Intervento di Murat Bay - Giornalista e attivista curdo a Suruç e Kobane

“Inizio questo mio intervento con una notizia bellissima, le forze resistenti curde hanno preso Tel Abyad, molto importante per la regione Rojava e per il Cantone di Kobane. 

Come giornalisti e fotoreporter abbiamo scelto di produrre un’alternativa ai media main stream nel raccontare ciò che sta accadendo a Kobane e in Rojava.

Nel 2014 è stata pubblicata la Dichiarazione della Rojava e dopo questa lo Stato Islamico ha cominciato a bombardare Mossul. Qui l’Isis ha acquisito molte armi e hanno iniziato a attaccare la Rojava. Ma non ha compreso di stare attaccando un popolo con un’idea forte di alternativa e di autogoverno.

La maggior parte delle popolazioni sono emigrate da Kobane senza avere più nulla, a Suruç la situazione era drammatica, è diventata una città di campi di rifugiati. 

La resistenza di Kobane è durata 133 giorni. I guerriglieri e le guerrigliere che stavano alle montagne si sono uniti a quelli che combattevano in città, e questo è stato il punto nodale della guerra. YPG e YPJ hanno combattuto insieme e hanno cambiato le sorti di Kobane, la resistenza era in tutte le strade e in tutte le case. 

Anche nei territori turchi le popolazioni si sono organizzate in cantoni, studiando e praticando il confederalismo della Rojava. In Rojava cambiano le strutture e si crea un’alternativa, contro il patriarcato, per la democrazia. Kobane ha testimoniato che Isis non è invincibile, che la forza delle donne è importante e che il potere del popolo è determinante. Quando Kobane è stata liberata eravamo al confine con i compagni italiani che ringraziamo per esser stati a nostro fianco fin dall’inizio. Non dimenticheremo mai questa solidarietà.”

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Intervento di Michele Giorgio - Giornalista, corrispondente per Il Manifesto dal Medio Oriente

“Quando si parla dello Stato Islamico spesso, nel main stream italiano, si tende a descrivere questo gruppo di decine di migliaia di persone come un’entità che sembra venuta da un altro pianeta. In realtà lo Stato Islamico è l’emanazione di un disegno che parte da paesi come le petro-monarchie del Golfo e la coalizione tra Arabia Saudita e governo turco di Erdogan. Questa alleanza si è realizzata per l’obiettivo comune di cambiare la faccia al Medio Oriente che non deve più dare possibilità a minoranze ed etnie di realizzare i loro progetti di autonomia ma dev’essere sottomesso ai sogni egemonici di Erdogan e del Wahabismo, espressione più radicale dell’Islam che domina in Arabia Saudita ed è, a livello teorico, molto simile al Salafismo dello Stato Islamico.

L’IS è un’organizzazione che nasce da una scissione di Al Qaeda ed ha un compito preciso, impedire l’unità nazionale dell’Iraq e il predominio sciita da una parte e frantumare il territorio siriano dall’altra, per realizzare un Medio Oriente dominato da due forze, Arabia Saudita e Turchia, e in seconda battuta  dal piccolo gigante Qatar. 

La resistenza del Rojava e del popolo curdo è stata una resistenza a un disegno egemonico che ha dato un esempio importante ad altri popoli della regione, un esempio rivoluzionario di liberazione dei popoli oppressi, anche se nella regione mediorientale molti hanno guardato anche con indifferenza alla lotta del popolo curdo. La stessa popolazione palestinese, divisa tra Abu Mazen - che segue le direttive USA - e Hamas  - che sembra seguire le forze islamiste di Qatar e Arabia Saudita,  non ha sostenuto la resistenza curda. Spero che il popolo curdo non faccia gli errori del popolo palestinese, legato da diverse corde,  ma sappia rappresentare un modello di resistenza, di abnegazione verso le aspirazioni che porta avanti da molto tempo. Che sappia rappresentare la possibilità della realizzazione di lotte che vengono da lontanissimo e che tanti, troppi, popoli della regione sembrano aver dimenticato.”

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Intervento di Sandro Mezzadra - Docente di Scienze Politiche, collettivo Euronomade

“Due parole per contribuire a collocare la straordinaria vicenda di Kobane all’interno della fase della globalizzazione capitalistica  che stiamo vivendo e che è molto diversa da come l’avevamo conosciuta e contestata negli anni ’90 e 2000. Un elemento fondamentale che emerge sempre di più è l’indebolimento della capacità egemonica USA nonostante abbia il controllo di territori in tutto il mondo, anche attraverso le basi militari. Credo sia importante tener presente l’indebolimento della capacità egemonica USA anche per capire l’importanza di uno spazio come quello del medio oriente dove si giocano equilibri fondamentali. Il progetto descritto da Michele Giorgio di un medio oriente dominato dall’asse saudita e turco è certamente diverso dal progetto statunitense, anche se forse compatibile nel medio periodo. Ma se guardiamo al gran numero di progetti egemonici che si giocano nel grande medio oriente vediamo come la guerra sia destinata a caratterizzare quell’area del mondo molto a lungo. Qualifica il discorso sulla guerra permanente, che è diversa da come immaginata dagli strateghi neoconservatori del Bush junior. Ha carattere destituente, mette continuamente in discussione assetti politici, sociali ed economici consolidati. Mette continuamente in discussione confini consolidati. Senza essere in grado di proporre degli scenari di ricostruzione. La guerra si pone come forma di governabilità di interi territori e popolazioni. Un dispositivo di governabilità dove sfumano i confini tra attori statali e privati. In questo scenario va ancora più apprezzata la resistenza costituente del Rojava, dall’interno di una situazione segnata drammaticamente dalla guerra, che non è cominciata dall’offensiva dello Stato Islamico ma ha radici lontanissime. Si è aperto un orizzonte costituente, si è costituito un soggetto collettivo capace di autogoverno nel segno della libertà e dell’uguaglianza. E’ un’esperienza attorno a cui siamo chiamati a reinventare il linguaggio dell’internazionalismo che non può vivere di miti ma deve tradurre esperienze del Rojava nei nostri territori.”

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Conclusioni con Murat Bay