S01E05 - Reti globali. Sense8 e l'individuo che non esiste

Lo show delle Wachowski è stato cancellato nonostante l'originalità

8 / 6 / 2017

"Labels are the opposite of undestanding" (Nomi Marks)

Le sorelle Wachowski sono piene di sorprese, si sa. Fin dai tempi di Matrix concetti filosofici moderni e contemporanei sono stati distillati a colpi di ambientazioni, scene d’azione mozzafiato e un copione i cui dialoghi non sono mai assomigliati ai classici film da “piacchiatutto”. Chi non ha apprezzato almeno il primo capitolo della trilogia di Matrix, con i calci a mezz’aria di Trinity e le contorsioni di Neo in un mondo che richiama il dubbio iperbolico di Cartesio rispetto alla realtà, possibile creazione di un genio maligno? Allo stesso modo si può dire della realizzazione di Sense8 e le sue brillanti due stagioni. Ma nessuno si sarebbe aspettato che il colosso della produzione Netflix decidesse di cancellare la serie senza un apparente buon motivo, vista la viralità e il successo della sua diffusione. Le sorelle non hanno ancora rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale nel merito, di conseguenza non è dato sapere se la cancellazione sia stata una decisione congiunta tra produttore e registe oppure un fulmine a ciel sereno. Quello che è sicuro è il livello di malcontento e di delusione dei fan e dei principali attori, i quali hanno intasato twitter con l’hashtag #RenewSense8. L’affetto per la serie non si è espresso casualmente, ma ha ragioni da vendere se pensiamo all’innovazione tecnica e ai concetti filosofici, politici, sociali che contiene. 

La generazione interconnessa

Come noto, Sense8 si centra sulla vita di otto persone che improvvisamente, grazie ad un parto fisico-metafisico della madre Angelica (Daryl Hannah), diventano psicologicamente e fisicamente interconnesse. I sensate, ossia i protagonisti della serie, possono entrare nella mente dei loro “fratelli e sorelle di sciame” in qualsiasi punto della terra si trovino, possono parlare tra loro, sono in grado di esperire le stesse emozioni e percezioni sensibili, oltre che trasmettersi a vicenda le loro conoscenze e capacità fisiche, dalla lingua parlata fino alle tecniche di arti marziali. Così la dj di origini islandesi Ryley Blue (Tuppence Middlenton) che mette musica elettronica nei pub di Londra si trova improvvisamente catapultata in una Chiesa nella periferia di Chicago nella mente del poliziotto Will Gorski (Brian J. Smith), il quale si sveglierà in un letto di un ospedale di San Francisco pronto per andare in sala operatoria perché vivrà lo stato mentale della hacker transessuale Nomi Marks (Jamie Clayton). Nel frattempo Carpheus Onyango (Aml Ameen e, dopo, Toby Onwumere) è alla prese con una delle tante bande armate che derubano i cittadini poveri di Nairobi, in Kenya, e sarà tempestivamente aiutato dalla fiera combattente sudcoreana Sun Bak (Doona Bae), costretta a seguire le direttive dell’incompetente fratello nella gestione dell’azienda di famiglia e a gareggiare clandestinamente negli incontri di arti marziali. Proprio in uno dei suoi momenti di sofferenza psicologica per la situazione che vive, mischierà il suo stato mentale con quello dell’attore messicano gay non dichiarato Lito Rodriguez (Migel Angel Sivlestre), impegnato nelle riprese del suo ultimo film. In una casa farmaceutica di fama mondiale in India, invece, lo sguardo di Kala  Dandekar (Tina Desai) rimarrà incantato da Wolgang Bogdanow (Max Riemelt), ugualmente impressionato dalla vista della ragazza mentre sta seduto in un ristorante di Berlino. 

I mondi si contaminano, i personaggi entrano nelle relazioni quotidiane che ognuno di loro ha nella propria città, esplorano le preoccupazioni e i limiti reciproci, iniziano a conoscersi e a dedicarsi l’uno all’altro, ricorrendo spesso al mutuo aiuto. Dal momento della nascita del loro cluster (che può essere tradotto con “gruppo” e anche con “sciame”) le esperienze soggettive perdono il loro carattere individuale, essendo percepite da tutti, e la ricchezza dei dati sensibili viene compresa nella molteplicità delle categorie di ogni membro con le loro peculiari sfumature culturali e biografiche. I personaggi fanno parte di uno sciame perché in qualsiasi momento il loro essere fisicamente un corpo singolare e irripetibile si determina e si sviluppa nella relazione con gli altri membri, proprio come fa un’ape nei confronti delle compagne di alveare. Non è quindi un rapporto che si basa su una differenza statica, immobile, tra persone che semplicemente si trovano ad essere collegate: da quando viene stabilita la loro connessione intrapsichica, la particolarità incarnata da ciascun personaggio si muove, diventa dinamica, cambia continuamente grazie all’apporto dell’altro. Potremmo dire che prima del singolo esiste questa trama di relazioni, la quale prende corpo in un personaggio specifico solo in base alle scelte contingenti rispetto a quale mentalità adottare, quali elementi culturali fare propri, quali dubbi e quali paure ascoltare, con quali persone rapportarsi. Molto più di mille parole rendono questo senso le immagini della scena del compleanno dei protagonisti e dell’orgia psico-fisica nella quale si trovano tutti mischiati tra loro e i relativi partner. Qualcuno potrà dire che chi scrive ha speso troppo tempo a pensare mettendo un po’ del transindividuale di Simondon in bocca alle sorelle Wachowski. Potrà pure non esserci un aspetto squisitamente ontologico nella scrittura della serie, però non si può negare l’occhio attento alla realtà generazionale dei giovani, o quanto meno ad una sua parte consistente. Gli otto sensate, tutti trentenni, sono infatti la rappresentazione di un mondo che, sebbene tocchi delle sacche parziali e non rappresentative di tutta la generazione dei millenials sparsa per il mondo, è indubbiamente sempre più connesso. Non si parla solo della conoscenza di lingue, culture e avvenimenti di tutt’altra parte del globo, bensì di come questa costante interconnessione – con tutti i suoi chiaroscuri – fornita dalla rete e dai social non sia il semplice risultato di uno strumento: è in tutto e per tutto una rivoluzione antropologica che intacca le facoltà cognitive e le prospettive politico-sociali degli individui. Come può vivere un attore l’ansia per una possibile fine della sua carriera per aver dichiarato la sua omosessualità di fronte ad una persona che, per essere donna, lotta da una vita intera? Che tipo di empatia si può arrivare ad avere quando ci immedesimiamo nella condizione di una donna trans? Come ci si deve sentire sapendo che desideriamo un mondo irraggiungibile perché siamo imprigionati nella nostra casa? Come si valutano le proprie scelte dopo aver esperito che in un’altra città, anche senza scegliere affatto, si può rischiare la vita per un semplice spostamento con dei mezzi di locomozione? Sono solo alcune delle nuove maniere di pensare che il mondo interconnesso ci consegna.

I fantasmi della subalternità

Gli otto protagonisti devono interfacciarsi con le discriminazioni, il potere, il pregiudizio, le gerarchie sociali della loro comunità. Ogni contesto ha i suoi e nessuna società è rappresentata come la terra promessa della libertà (nordica e occidentale) contro le barbarie dell’intolleranza (orientale e meridionale): una donna si sente costretta, nonostante i suoi studi, a sposare un uomo che non ama per essere accettata socialmente in India, così come in Corea una manager decide deliberatamente di prendersi le responsabilità del fratello perché non avrebbe infangato il nome della famiglia, non essendo mai stata pubblicamente menzionata dal padre; una donna trans subisce discriminazioni nella friendly San Francisco contemporaneamente ad una dj londinese, sminuita nel suo lavoro per essere donna e trattata come la proprietà di altri. Un giovane è estromesso dalla famiglia dopo aver sempre subito violenze e per la sua sopravvivenza è costretto ad invischiarsi nel mondo della criminalità organizzata nella “civile” Berlino. Il ragazzo proveniente dalla baraccopoli di Nairobi sa fin dalla sua nascita che solo le persone ricche sopravvivono e che gli oppositori politici espongono quotidianamente la loro vita alle armi da fuoco del malaffare. Nell’apertissimo e progressive mondo del cinema un attore omosessuale vede sfumare la sua carriera nei film d’azione perché, una volta dichiaratosi, dovrà per forze ricoprire parti stereotipate di tutt’altro genere. Ognuno vive, con diverse intensità, le relazioni di potere che i loro contesti impongono sull’esistenza. Questi fantasmi costanti che abitano nelle loro teste, e che troppo spesso si concretizzano in sofferenza fisica e psichica, sono il contraltare della differenza, sia questa di razza, genere, classe o orientamento sessuale. Le Wachowski narrano un mondo ingiusto posizionandosi sia all’esterno che all’interno di questo. Entrambe le registe sono, infatti, due donne transessuali: Lana, che ha compiuto la transizione anni fa, ha pensato al personaggio di Nomi (una donna transessuale che ha una relazione sentimentale lesbica con un’altra donna nera) sulla base della sua esperienza personale; Lily, invece, non ha potuto seguire direttamente la seconda stagione proprio perché stava attraversando il periodo immediatamente successivo all’operazione. La sensibilità marcata rispetto alla posizione delle donne arriva di conseguenza, riuscendo a trattare tematiche come la maternità e il parto, nonché l’empowerment femminile. Proprio su questo punto il personaggio di Sun, giocando molto sullo stereotipo della ragazza orientale kick-ass, unisce il feticismo per le scene acrobatiche di combattimento con una forza femminile che non si piega davanti a niente. Oltre a questo, non possiamo non scorgere la critica velata ad Hollywood e all’immaginario veicolato dai maggiori colossi della produzione cinematografica nella vicenda di Lito. 

Lo stigma imposto alla differenza è, più metaforicamente, rappresentato dalla trama narrativa. I sensate sarebbero, scopriamo nella seconda stagione, una razza a sé stante rispetto all’homo sapiens. Da quando se ne è scoperta l’esistenza un’organizzazione, inizialmente pensata per proteggere i sensate, ha iniziato a cacciarli sia per paura che possano usare pericolosamente i loro poteri, sia per sfruttarne le abilità. Più volte questo atteggiamento, tutto politico e volontario, viene spiegato con la paura atavica dei sapiens rispetto a tutto ciò che ignorano o che non conoscono, alla loro incapacità di entrare in empatia con altri esseri umani e comprenderne la forma di vita mettendola al pari della propria. Insomma, i sapiens peccherebbero della mancanza della interconnessione di cui parlavamo prima o, anche in presenza dei mezzi per averla potenzialmente, della loro volontà di non praticarla. 

Ma la differenza in Sense8 non è rappresentata solo attraverso le lenti delle passioni tristi e dello stigma. La differenza riveste tutta la sua caratterizzazione eversiva, non viene annullata in compatibilità o in pura passività: è quella forma di vita che vuole prendere voce, che vuole emergere nello spazio pubblico, per la cui affermazione bisogna lottare. Solo così è possibile uscire dalle maglie delle etichette e delle categorie che imprigionano intere possibilità dell’esistenza umana.

Il qui è il mondo

Ci sono anche dei motivi tecnici per guardare Sense8. Le sorelle Wachowski hanno davvero sfidato la catena di produzione cinematografica creando dei set in otto città diverse, facendo viaggiare cast e crew per filmare ogni scena, dovendo spesso ripetere una stessa scena da un’angolazione differente e in una location diversa. Non per niente, le riprese sono state costose e hanno richiesto un’enorme quantità di tempo. In ogni caso, lo spirito globale della serie si è riflettuto sulla scelta degli attori, tutti provenienti più o meno dalle città in cui si ambienta la vicenda, con molti attori che non parlano l’inglese come lingua materna. Proprio come nel mondo globalizzato, la lingua inglese è quella comune, anche se si riconoscono i vari accenti di provenienza degli attori; l’uso dell’inglese è, inoltre, giustificato nella serie come lingua comune perché tutti i sensate possono acquisire le conoscenze linguistiche di coloro che fanno parte dello stesso cluster. Per non parlare, poi, delle spettacolari scene d’azione di sparatorie, esplosioni, combattimenti corpo a corpo – proprio come ci hanno abituato a vedere le Wachowski. 

Purtroppo lo show è finito, probabilmente perché stava iniziando a costare troppo al colosso Netflix, anche se tuttora non è possibile capire bene il perché del taglio proprio di questa serie. Possiamo sperare nella prossima sorpresa delle Wachowski?