Reggio Emilia alla rovescia: Dinamiche del graffitismo contemporaneo in territorio reggiano

17 / 4 / 2015

Dinamiche del graffitismo contemporaneo in territorio reggiano Rhiot Se vi capita di fare un giro nei dintorni di Reggio Emilia e vi muovete attraverso le strade di campagna che portano a Parma, potreste incrociare Campegine: un paese che di tanto in tanto si sente nominare nei racconti sulla resistenza. Nelle vicinanze di Campegine visse infatti la famiglia dei fratelli Cervi, uccisi per rappresaglia durante la seconda guerra mondiale. Quella dei Cervi era una famiglia contadina che come tante altre prima della guerra prese parte alla trasformazione del sistema agricolo passando dalla mezzadria all’affitto dei campi. In Emilia, questa trasformazione avvenne anche grazie ad organizzazioni come cooperative, case del popolo, leghe di resistenza: strumenti organizzativi che divennero basilari nelle lotte per il rinnovo dei patti agrari e che portarono ad un effettivo miglioramento delle condizioni di vita nel mondo agricolo. Nel caso vi trovaste da quelle parti consiglio anche di fare un giro nella zona industriale del paese che, pur non esistendo al tempo dei fratelli Cervi, racconta un altro pezzo di storia della nostra terra. Qui potete trovare i caratteristici capannoni in cemento armato che - in modo del tutto onesto - contestualizzano l’atmosfera bucolica che stavate inutilmente cercando e restituiscono il senso di essere persi in un’eterna periferia suburbana. Se, nonostante tutto, decideste di addentrarvi nell’esperienza e imboccaste via Kennedy, potreste rimanere colpiti da un’ulteriore svolta estetica inaspettata: a fare da contraltare alle linee squadrate dell’architettura industriale si incrocia ad un tratto un enorme murale di 280 metri quadri con sfondo giallo a pois rossi. Il murale che potete osservare copre interamente la facciata di un capannone. Quando l’ho visto mi ha colpito, oltre che per le dimensioni, per il contrasto tra la precisione nella cura dei particolari e la scelta di soggetti dal tratto istintivo; mi ha fatto pensare a una pittura tribale di epoca moderna. Su internet si legge che il dipinto ‘The invention of time’ è stato realizzato nel tempo record di 36 ore da un graffitaro californiano conosciuto in arte col nome di ‘Zio Ziegler’. In un’intervista, Ziegler racconta di aver dipinto al MoMa di New York, di aver graffitato la sede di Facebook, di aver disegnato una linea di scarpe streetwear e di aver dipinto per altre decine di ‘mecenati’, tra cui uno che si fece pasticciare la macchina abbandonandogliela in giardino. E’ curioso pensare queste cose mentre si gira nella zona industriale di Campegine: luogo ignorato dai più, che tuttavia nasconde al proprio interno un murale già definito da alcuni ‘un santuario dell’arte contemporanea’. Mi è capitato poco tempo fa di ritrovare una foto del graffito ‘The invention of time’ sulla pagina dello spazio Gerra, mentre ne leggevo la programmazione per il 2015. La foto era affiancata dal titolo di una mostra: ‘DO U C ME?/ 4-6 settembre’. Leggendo, ho scoperto che si tratta di una due giorni collegata ad un premio di streetart promosso da un’azienda del territorio e rivolto agli istituti scolastici di Reggio Emilia e della regione. Il premio include la realizzazione di opere grafiche inedite sui muri della stessa azienda con l’idea di realizzare “una sorta di mostra d’arte a cielo aperto dove ognuno è un visitatore”. La ditta che promuove l’evento si chiama Snatt ed è la stessa sui cui capannoni Ziegler ha realizzato il gigantesco murale. Se fate un giro sul sito di Snatt noterete che il murale di Ziegler si inserisce all’interno di una sperimentazione chiamata ‘Snattlab’. Nelle parole del board di progetto Snattlab si costituisce come “un’officina di idee, un laboratorio di discussione, di confronto, di ricerca e di sviluppo di tutto ciò che può essere realizzabile ed utile per l’azienda e le persone, la qualità del tempo e della vita di ciascuno. Per l’ambiente, per l’arte, la cultura personale e generale [...] una condivisione di intenti in divenire.” Nel sito è possibile consultare un ‘diario di bordo’ virtuale in cui si racconta nel dettaglio l’esperienza formativa che l’azienda ha portato avanti in collaborazione con le scuole. Il tema del concorso “I Vestiti di Kronos” si ispira a quello trattato dal murale di Ziegler: verte sul passare del tempo e sull’evoluzione dell’abbigliamento nel corso degli anni, sul cambiamento nella concezione dei canoni estetici e nella moda nel corso della storia dell’uomo. I primi incontri con i ragazzi delle scuole erano infatti accompagnati da un video (accessibile da Youtube) che racconta ‘The invention of time’ con un linguaggio giovanile e che ricorda alcuni video di graffiti presenti nella rete. Attualmente, il progetto è giunto al termine e a settembre le idee migliori saranno presentate allo spazio Gerra in un evento dedicato all’arte di strada. Mentre leggevo le informazioni relative a Snattlab riflettevo sul modo in cui graffiti intersecano i rapporti sociali del nostro territorio. Mi sono reso conto che di fronte avevo una serie di istantanee provenienti da ambiti diversi legati al mondo dell’educazione, del mercato dell’arte e dei rapporti lavorativi. Quando ho cercato di ricomporre i pezzi mi sono accorto di aver fatto un percorso, alquanto discrezionale e soggettivo, che si lega ad un’altra storia della periferia industriale emiliana. Questa si svolge nello stesso paese dei fratelli Cervi, nella stessa azienda e parte circa quattro anni prima che Ziegler realizzasse ‘The invention of time’. Se vi fosse capitato di fare un giro in via Kennedy nel novembre 2010, più o meno all’altezza da cui oggi potete osservare l’enorme graffito, avreste incrociato degli operai in sciopero fuori dai cancelli di Snatt. La ditta è una delle più grandi aziende di logistica del nord Italia per quanto riguarda il settore abbigliamento, calzature e accessori; i suoi capannoni fungono essenzialmente da magazzini per la gestione e la movimentazione delle merci. Dentro ai capannoni lavorano operai che non sono dipendenti diretti di Snatt, ma di cooperative che hanno in appalto la gestione del servizio di facchinaggio. Nel novembre 2010 questi operai stavano presidiando i cancelli di ingresso dell’azienda dopo aver improvvisamente ricevuto notizia della rescissione del contratto tra Snatt e Gfe (Gruppo Facchini Emiliano), la cooperativa per cui lavoravano. La rescissione del contratto era stata comunicata unilateralmente da Snatt qualche giorno prima dell’inizio del presidio e giungeva al culmine di una trasformazione interna che avrebbe segnato la storia della Gfe. Era infatti accaduto durante l’estate che i soci lavoratori avessero approvato un cambiamento relativo alle condizioni contrattuali vigenti nella cooperativa. Le modifiche stabilivano l’applicazione integrale del contratto nazionale logistica firmato dai principali sindacati. Sino ad allora il contratto era da tempo applicato in deroga, il che comportava un salario orario lordo inferiore ai 7 euro (arrivando in alcuni casi anche a retribuzioni di 3,90 euro netti all’ora) e scarse tutele in caso di infortunio, malattia e maternità. Nell’autunno erano improvvisamente nate due nuove cooperative di logistica (Emilux e Locos Job) che, immediatamente dopo la rescissione del rapporto tra Snatt e Gfe avevano riassorbito una parte dei 500 lavoratori di quest’ultima. Le coop. applicavano il contratto 83 nazionale UNCI: una soluzione contrattuale non sottoscritta dai principali sindacati che nella sostanza riportava i lavoratori alla scarse tutele precedenti la modifica dei rapporti lavorativi all’interno di Gfe. Al presidio era immediatamente seguito un ricorso presentato in tribunale dai 185 lavoratori che avevano rifiutato di essere riassorbiti dalle nuove cooperative. La tesi avanzata era essenzialmente che Snatt avesse rescisso il rapporto con Gfe in maniera illegittima, concedendo la gestione del ramo logistico a soggetti cooperativi non dotati di autonomia propria, ma creati quasi esclusivamente per soddisfare le esigenze del committente. Esigenze che, in questo caso, supportavano l’applicazione di un contratto nazionale meno dispendioso, sebbene questo garantisse anche minori tutele per i lavoratori. In corrispondenza con la presentazione del ricorso si era verificata un’escalation nei toni della vicenda e nell’aprile dell’anno seguente alcuni ex dipendenti avevano intrapreso uno sciopero della fame e della sete. In relazione allo sciopero Silvia Piccinini, avvocato di Snatt, aveva rilasciato un’intervista in cui accusava i sindacati di mandare allo sbaraglio gli operai, di criminalizzare le imprese, di voler influenzare i giudici e di comportarsi come Berlusconi. Silvia Piccinini era all’epoca anche presidente dell’assemblea provinciale del Partito Democratico, nonché responsabile interna del dipartimento giustizia, ma dichiarò che la lettura in chiave politica anziché legale delle proprie dichiarazioni era pura strumentalizzazione. Nella gestione della vicenda, in attesa della sentenza del tribunale, era intervenuta la politica. Ad un primo incontro negoziale tra i rappresentanti di Snatt e dei sindacati, le Centrali Cooperative, il vicepresidente della provincia Saccardi e l’assessore regionale alle attività produttive Muzzarelli, quest’ultimo aveva inserito a verbale che tra gli elementi essenziali per risolvere la questione c’era l’applicazione del CCNL sottoscritto da Cgil Cisl e Uil, nonché la riassunzione dei 185 lavoratori al momento esclusi. Snatt aveva chiesto come presupposto per raggiungere un accordo il congelamento della causa giudiziaria in atto contro la società. L’adozione di un verbale comune in cui i partecipanti concordavano di voler procedere con i negoziati aveva portato alla sospensione dello sciopero della fame. Contemporaneamente, 449 lavoratori dipendenti e soci di cooperative operanti in appalto si erano costituiti in giudizio a sostegno di Snatt. Un accordo fu comunque raggiunto al tavolo del 14 luglio 2011 84 [la prise de la Bastille]. Il verbale riportava che Snatt aveva individuato la possibilità di collocare al lavoro, previa loro messa in mobilità, parte dei soci lavoratori Gfe: l’assunzione rimaneva comunque condizionata al ritiro della causa in tribunale. Le Centrali Cooperative si impegnavano a segnalare con priorità gli eventuali soci Gfe non ricollocati alle imprese proprie associate. L’ultimo punto riportava che Snatt logistica, nel rispetto della propria autonomia imprenditoriale, si sarebbe adoperata per ottenere dai propri appaltatori l’impegno ad un percorso di allineamento alle condizioni economiche del CCNL firmato da Cgil Cisl e Uil, entro il 31 dicembre 2012. Poco dopo, il 20 luglio [la grande peur], il tribunale di Reggio si era espresso a favore della legittimità dell’appalto esistente tra Snatt e le cooperative che avevano sostituito Gfe. Al 31 dicembre 2012 nessuna delle cooperative che lavoravano per conto di Snatt aveva adottato il CCNL indicato nell’accordo, mantenendo il contratto UNCI. In compenso, lo stesso mese, era nato Snattlab. Quasi un anno dopo, un decreto del ministro Zanonato aveva revocato il riconoscimento dell’UNCI quale associazione nazionale di rappresentanza del movimento cooperativo sostenendo che la stessa non risultava essere più in grado di assolvere efficacemente alle funzioni di vigilanza sugli enti cooperativi associati. Nel gennaio 2014 è stato annunciato che tre cooperative reggiane operanti nel settore hanno adottato il CCNL richiesto dai lavoratori Gfe (nel frattempo messa in liquidazione). Ad oggi, meno di 40 dei 185 lavoratori che promossero la vertenza sono stati reintegrati al lavoro attraverso i canali indicati nell’accordo; le cooperative che si occupano del settore logistica per conto di Snatt continuano ad applicare il contratto UNCI. E’ stato realizzato un graffito gigante e sono state coinvolte le scuole per un progetto di ‘Street Art’ sul cambiamento dei canoni estetici nel corso della storia dell’uomo. Stasera stavo finendo di scrivere questo intreccio di storie e ripensavo alle diverse trasformazioni che stanno attraversando il nostro territorio. Mi chiedevo quanto, dei collegamenti che mi è capitato di fare, sia il frutto di orientamenti di valore che precedono la lettura della realtà. Mi chiedevo se sia plausibile raccontare una storia in questo modo e se altri trovino sensata questa narrazione dei fatti. Mi facevo domande che forse non presupponevano risposte. Ad un certo punto è tornato a casa il mio coinquilino, un writer odiato dai più. Mi ha chiesto cosa stavo facendo,  allora ho colto l’occasione per testare i miei dubbi e gli ho raccontato un po’ di quello che ho scritto qui. Ha ascoltato tutto in piedi vicino alla tavola con gli occhi socchiusi. Quando ho finito mi ha guardato e mi ha detto: “Fanculo a tutti”. Ci ho riflettuto e gli ho risposto: “Sì, però ogni tanto occorre scrivere qualche pagina di parole per spiegarlo perché sennò alcuni non capiscono”. “Meglio così” ha concluso senza pensarci un attimo. 

Reggio Emilia alla rovescia