Reddito, ecologia, riproduzione sociale

16 / 6 / 2020

L'intervento di Emanuele Leonardi, ricercatore presso il Centro di Studi Sociali dell’Università di Coimbra, al webinar "Reddito universale contro la crisi sistemica".

Il rapporto tra reddito di base e sfera della riproduzione sociale è fondativo, nel senso che lo stesso significato politico della rivendicazione del reddito di base emerge nel momento in cui va in crisi la società salariale. Questo ha compostato che l’accesso all’integrazione sociale e alla previdenza da un lato, ai consumi di massa dall’altro dipende dalla partecipazione alla sfera produttiva attraverso lo status di salariato oppure di imprenditore.

Nella crisi di questa società in cui la sfera della produzione viene messa in secondo piano (ovvero la produzione non è più parte del “patto fordista”) e sostanzialmente invisibilizzata, vediamo invece che, a partire dagli anni 70, i soggetti della riproduzione entrano stabilmente e attivamente dentro il circuito di formazione del valore. È in quel momento - nel momento in cui il valore si traduce non più soltanto nel tempo di lavoro, ma anche nel tempo di vita - che la rivendicazione di un reddito di base, che appunto visibilizza e remunera una forma di produzione di valore che tuttavia non viene considerata, acquisisce tutto il suo significato politico. 

Tutto ciò significa che la riproduzione crea valore mentre invece nel modello precedente ne era esclusa. Significa ad esempio che determinate caratteristiche fisiche tipiche della gestione della casa corrispondessero alle donne, dato che il piano del capitale sulle donne prevedeva che così fosse; ora invece le relazioni, gli affetti e tutta la sfera del linguaggio diventano caratteristiche fondamentali del mondo del lavoro.

Un esempio della produttività fuori dal tempo lavorativo è l'economia delle piattaforme dei big data, pensata proprio per noi stessi al di fuori del tempo di lavoro. Un’economia che produce profitti, in termini di informazioni e dati, che vanno poi a ingrassare le multinazionali del digitale ed è nel contesto storico del capitalismo delle piattaforme digitali neoliberali che il reddito di base acquisisce ancora più senso politico. 

Un’altra cosa abbastanza importante, nel pensare il rapporto riproduzione/reddito, è che la questione che il reddito non sostituisce ma completa la questione del welfare. Questo non significa che prima della crisi ci fosse un welfare e quindi una sorta di salario indiretto: i due piani rimangono presenti e la questione del reddito si da come una possibilità di articolare i due piani.

In un libretto che abbiamo pubblicato nel 2018 con Federico Chicchi per Laterza (Manifesto per il reddito di base, ndr), scrivevamo che il piano minimo di lotta allo sfruttamento, oltre al reddito di base, deve in qualche modo pretendere anche il salario minimo legale, la distribuzione dell’orario di lavoro e un tetto alle retribuzioni dei manager pubblici e privati. Il mio ragionamento, quindi, vuol mettere in luce come questi due punti si ri-configurano a partire dalla pandemia di Covid-19,all’interno della quale siamo costretti a vivere e a ragionare, come stiamo cercando di fare adesso. 

É stato, inoltre, da più parti sottolineato che questa pandemia è allo stesso tempo un evento eccezionale, un’eredità assoluta e un evento senza precedenti e dall’altro lato è un acceleratore di contraddizioni e disuguaglianze che erano già ben presenti nelle nostre attività prima che il coronavirus facesse la sua comparsa. Se prendiamo questo schema direi che il dibattito attuale attorno al reddito si distribuisce così: chi tende a mettere maggiormente in evidenza la continuità tra le disuguaglianze che già c’erano e quelle che viviamo oggi, sostanzialmente ritiene con buone ragioni che dal punto di vista strategico non si debba rimettere in discussione il ragionamento che è stato portato avanti, che abbiamo portato avanti collettivamente nell’ultimo quarto di secolo. 

Un esempio potrebbe essere la petizione del basic income italiano che chiede al governo italiano di estendere il reddito di cittadinanza, affievolendone la condizionalità in una prospettiva di lungo periodo. Io personalmente ho firmato la petizione e mi auguro che il governo prenda questa via.

Dall’altro lato ci sono coloro che si sono mossi a partire dal momento di eccezionalità della pandemia, quindi altrettanto legittimamente e con buone ragioni pure in questo caso. Faccio una piccola premessa, io non credo che le posizioni che sto elencando (e saranno tre) siano mutualmente incompatibili, credo anche che sarebbe molto intelligente trovare una convergenza e che sia anche relativamente semplice farlo, perché mi pare che la radice di fondo sia condivisa. 

Ebbene, coloro che hanno ragionato di un reddito di quarantena, o di un reddito di emergenza, non si ponevano una prospettiva del tipo “ci serve il reddito soltanto per questo periodo”, ma si sono posti il problema politico, più tattico che strategico, di ragionare su come far fruttare con la nostra azione l’emergenzialità in cui ci troviamo. Quindi abitare tatticamente l’emergenza per far passare una serie di ragionamenti che, per l’appunto, facciamo da decenni e che di certo non hanno esaurito la loro importanza. 

Del resto, che la situazione attuale sia straordinaria io credo sia confermato da due elementi, dal fatto che le due critiche principali che sono sempre state mosse al reddito di base oggi non tengono più. Ma non tengono più non soltanto per me e Federico Chicchi, che siamo favorevoli al reddito di base e che abbiamo lavorato per controbattere queste critiche, ma sono diventate moneta corrente per tutti nel mainstream.

Parliamo quindi delle critiche: la prima critica era quella di sostenere chi non fa niente e non partecipa alla discussione. Oggi, in questa situazione, appare molto chiaro che bisogna produrre di meno, bisogna che la produzione non sia più un imperativo sociale indiscusso. L’insubordinazione operaia che, attraverso lo slogan “prima la salute”, ha messo in dubbio la necessità della produzione per la produzione è un elemento maggiormente rilevante in questo scenario e credo che questa posizione vada articolata con le nostre riflessioni sul reddito. 

La seconda critica è quella che riguarda le risorse. Adam Tooze, che ha scritto un libro molto importante sulla crisi che si intitola “Lo schianto” sostanzialmente diceva: “guardate che il pacchetto di aiuti di due trilioni che il Congresso ha appena approvato negli Usa in realtà è un reddito di base e universale, per quanto temporaneo”. Quindi è chiaro che si tratta di una questione legata alla volontà politica. 

Una terza posizione, che mi pare essere così intermedia tra le due di sopra, ma parimenti compatibile con entrambe, è quella di chi prova ad approfittare dell’emergenza coronavirus per illuminare alcuni aspetti sul ragionamento del reddito di base che avevano ricevuto negli anni meno attenzione di quanto non meritassero, in particolare mi riferisco al rapporto tra reddito di base e crisi ecologica.

In questo gruppo io inserirei coloro che stanno ragionando sul cosiddetto “reddito di cura”, per esempio Stefania Barca e Giacomo Saliva. La prima fa notare nel suo articolo che il reddito di cura è inserito nel Green New Deal come momento fondante nella giusta transizione dell’economia verso una compatibilità ecologica e in particolare climatica; quindi il tentativo è quello di iscrivere la questione del reddito di base dentro la cornice politica e teorica della giustizia climatica. 

Dal canto di Giacomo Saliva il tentativo è quello di ancorare in modo materialistico le riflessioni sul reddito alle questioni biofisiche del lavoro di cura, quindi con una temporalità ciclica e scandita in maniera non astratta, da un lato GND e dall’altro orizzonte post crescita di Barca e Saliva.

Mi pare, infine, che sia interessante, per tentare di espandere ulteriormente il raggio di ragionamento del reddito di base alle questioni ecologiche, specialmente se consideriamo che ormai c’è ampio consenso sul fatto che la pandemia derivi dal modello di sviluppo capitalistico degli ultimi 40 anni, analizzare il modello capitalistico che interconnette capitale e ambiente sin dall'accumulazione originaria, e mi permetto di far riferimento ad un bellissimo articolo di Luca Cigna per Jacobin Italia in merito alla questione.