Rebetiko Capossela

Un'intervista a Vinicio Capossela in occasione della prima data del Rebetiko Gymnastas Tour. L'artista, in questo pezzo, spiega la scelta di iniziare questo tour dal CS Rivolta di Marghera (VE)

2 / 11 / 2012

Leggi la recensione di Rebetiko Gymnastas di Vinicio Capossela su Sherwood.it

Domani a Marghera inizia il tour italiano. «È musica di porto, si canta il desiderio di qualcosa che non c’è»

Risse emotive, piatti rotti, urla alla luna, porte a cui si va a bussare senza telefonare prima. Abbracci a ottomani, coltellate al cuore, fumo, tosse, amore, morte». Vinicio Capossela spiega con questo elenco, che sa di esistenza bohémien, quello che ci si deve aspettare dalla tournée indoor di «Rebetiko» che prenderà il via, domani sera, dal Rivolta di Marghera (ore 21.30, info www.rivoltapvc.org).

«Suonare in maniera "rebetika" significa suonare a faccia scoperta, dare spazio a quanto di anticonvenzionale c’è in noi. Avere intimità con il nostro dolore, con la nostalgia, con la rabbia, con la sete di vita - spiega Vinicio Capossela - attraversare la sofferenza invece che evitarla, farla propria. Abbiamo scelto di iniziare dal Rivolta, perché è un luogo di liberazione, di stimolo alla consapevolezza, perché insomma è vicino al rebet, parola che viene dal turco "rebet", ribelle, ma anche dal veneziano "rebelo"».

Perché proprio il rebetiko, e non il fado o il tango ad esempio?
«Sono musiche che hanno in comune questa prossimità all’assenza, alla risacca. Musiche di porto. Musiche in cui si canta il desiderio di qualcosa
che non c’è. Una mancanza. Il "guapo" del tango dell’inizio non è molto diverso dal "mangas" del rebetiko degli anni 20-30. Anche il flamenco, la morna, il blues afroamericano hanno una storia simile. Il rebetiko però ha una cadenza diversa. Porta a un precipizio più profondo. Ha una violenza, una pesantezza più incisiva. Le canzoni hanno una verità che le rende attuali ancora oggi tra i giovani greci che preferiscono la rabbia alla paura».

Colpo di fulmine o amore nato dopo un lungo corteggiamento?
«Certe musiche ti accompagnano, ti fanno ritrovare parti di te. A me fa ritrovare una parte di gioventù. C’è stato il colpo di fulmine, però non è stato un amore clandestino consumato in fretta e poi dimenticato. È una musica lontana, perciò come i parenti lontani, vive di separazioni e ritrovamenti. Di abbracci e di addii. Però sai, che come i parenti d’America, che da un altra parte c’è e ti dà gioia pensare di ritrovarla».

Ma allora quanto durerà la vostra «storia d’amore»?
«In queste musiche è sempre questione di vita o di morte. Credo che questa storia arriverà viva fino alla morte».

C’è una canzone su tutte che vorrebbe aver scritto lei?
«"Atakti", "l’indisciplinata", Ribelle Vinicio Capossela: al Rivolta parte il tour «indoor» del nuovo album «Rebetiko» di Markos Vanvakaris. Inizia dicendo "avrei voluto dirti tante cose... e se non ce la facevo, ah mi potessero tagliare la lingua!". Ecco, le stesse cose avrei voluto dirle io».

Che cosa è per lei Venezia?
«Ognuno ha una sua geografia a Venezia. Venezia offre luci e ombre per tutti. Per me Venezia è sempre stata marcia dalle fondamenta. La notte che si decompone e si sperde tra i rivoli di umanità che ci incontrano e ci abbandonano nei canali, nelle calli, e poi ci lasciano soli all’alba, quando rimangono i gabbiani e il richiamarsi dei vaporetti, come nel finale del Viaggio al termine della notte di Celine».

Quando vedremo «Rebetiko», il documentario diretto da Andrea Segre con lei protagonista?
«Il film vuole essere una riflessione sulla vita, nel tempo della crisi del modello economico vigente, a mezzo di una musica "vera", come il rebetiko. Andrea ha una grande preparazione intellettuale, un comune amore per i Balcani e una sincera militanza, che lo fa sentire attratto per le frasi a spray scritte sui muri, farsele tradurre e scoprire perle come: "c’è gente così povera che tutto quello che ha sono i soldi. Il film è in corso di montaggio, e dovrebbe essere pronto per febbraio».

E sul Festival di Sanremo ci sta facendo un pensierino?
«Ho molti altri pensieri in questo periodo. Sta arrivando tra noi Manolis Papos e la sua banda».

In un futuro molto lontano, deciderà di abbandonare la musica come ha fatto, ad esempio, Ivano Fossati?«Non credo che sarò io a deciderlo. Se succederà non credo che vorrò fare un tour dove ogni concerto viene dichiarato l’ultimo. Non so, mi pare come volere assistere al proprio funerale. E poi bisogna sempre fare ogni concerto come se fosse l’ultimo».

Francesco Verni

Tratto dal Corriere del Veneto dell'1 novembre 2012