“Queer. Storia culturale della comunità Lgbt+”. Report del talk con Maya De Leo e Antonia Caruso a Sherwood Festival

19 / 7 / 2022

Giovedì 14 Luglio presso lo Stand Media e Produzioni di Sherwood Festival si è tenuta la presentazione del libro Queer. Storia culturale della comunità Lgbt+ di Maya De Leo edito da Einaudi. Al talk, che ha toccato tematiche come l’attivismo e la militanza queer in chiave storica e contemporanea, ha partecipato anche Antonia Caruso, attivista transfemminista che si occupa anche di comunicazione, formazione, editoria e politica trans, fondatrice della casa editrice indipendente “Edizioni minoritarie”. L’incontro è stato moderato da Gaia Righetto. Durante la presentazione sono state introdotte alcune questioni fondamentali per comprendere al meglio come ci si dovrebbe muovere nel momento in cui ci si riconosce attivistə transfemminstə e queer.

Per iniziare Gaia Righetto chiede alle due ospiti di inquadrare da un punto di vista storico e successivamente in chiave contemporanea, quali sono le relazioni tra i movimenti rivoluzionari queer e i movimenti più riformisti che guardano soprattutto alla cultura del diritto. Si fa riferimento in particolare a ciò che sta succedendo in molte città italiane attorno alla costruzione dei Pride, si evidenziano in questo ambito delle spaccature tra coloro che interpretano il Pride in chiave rivoluzionaria (ricordando che “Stonewall was a riot”) e chi invece vede il Pride come un simbolo svuotato di contenuti (si pensi alla presenza di brand come Coca-cola durante alcune parate).

Risponde Maya De Leo:«Nel mio libro ho tentato di mostrare come questa frizione è presente già dall’800 in cui un primo emancipazionismo omosessuale si caratterizza come una presa di parola di alcuni soggetti privilegiati, uomini in linea con i profili normati della mascolinità del tempo che leggevano l’omosessualità come qualcosa di virile. Anche nel corso del ‘900 i margini per una presa di parola erano limitati e schiacciati dalla necessità di aderire alle convenzioni relative alla norma di genere e alla rispettabilità borghese».

In questo scenario sembra che i moti di Stonewall arrivino come una rottura di una tradizione lontana. In realtà, come viene analizzato dai lavori di Massimo Prearo (politologo che ha studiato la storia del movimento Lgbt+ italiano), fu la “stagione rivoluzionaria” ad essere una parentesi in questo cammino riformista e moderato. Proprio lui evidenzia come ogni anno nel mese del Pride ci si ritrovi davanti a questa frizione perché la rivolta di Stonewall viene immaginata come il momento in cui tutto cambia, come la prima volta in cui la comunità Lgbt+ reagisce.

Questa è in realtà una narrazione estremamente semplificata, infatti c’erano già state in passato altre rivolte negli Stati Uniti, proprio come quella di Stonewall. Maya De Leo spiega come ogni narrazione di Stonewall sia la costruzione di una genealogia contesa. L’autrice nel suo libro cerca di superare la dicotomia della rivoluzione in contrapposizione ai diritti, ad esempio parlando della crisi dell’Hiv come lutto collettivo che colpisce la comunità Lgbt+ e spinge a ripensare ad alcune richieste relative: diritto di famiglia, riconoscimento delle relazioni queer. La faccenda è molto complicata e il mese del Pride mette la comunità di fronte a questi irrisolti, tra le persone queer ci si chiede: “Da dove veniamo? Qual è il nostro progetto politico?”

Antonia Caruso autrice del libro “Lgbtqia+ mantenere la complessità” edito per Eris Edizioni, interviene in questo discorso complesso, sostenendo che ci sia bisogno di uscire da una visione dicotomica in cui si contrappone: politica dei diritti e politica rivoluzionaria. «Evidentemente la politica rivoluzionaria non ha funzionato e la politica dei diritti è molto fragile. Quest’ultima è molto soggetta al contesto: sebbene ci possano essere degli obiettivi molto chiari questi si possono andare a scontrare con l’opposizione posta in essere dalla società civile o da chi sta al governo. Il punto critico di una politica dei diritti è che questa va ad agire sul singolo diritto senza tener conto di tutto il resto, mentre il limite dell’approccio rivoluzionario è che all’enunciazione della rivoluzione non segue poi la sua attuazione»

A fare della rivolta di Stonewall un evento così importante è stato il contesto politico-sociale della New York degli anni ‘70. Bisogna ricordare però che prima di questa rivolta ci sono stati moltissimi altri tentativi di ribellione che non hanno avuto lo stesso impatto, si pensi alla rivolta della Compton’s Cafeteria di San Francisco nel 1966. Importante è evidenziare come queste rivolte abbiano dato vita a nuove pratiche, come la proposta politica del mutualismo e del mutuo aiuto. Un esempio è il progetto “STAR” di Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson, creato subito dopo i moti di Stonewall, questa era un’associazione informale in cui Marsha e Sylvia svolgevano il lavoro di sex workers e con i soldi ricavati mantenevano le altre persone della comunità.

Secondo Antonia Caruso ciò che è succeduto a Stonewall (come il progetto “STAR”) è ancora più importante della rivolta in sé. «Anche oggi c’è bisogno di sviluppare delle pratiche di mutuo aiuto provenienti dal basso che vadano a creare una nuova coscienza di interdipendenza e co-responsabilità all’interno della comunità Lgbt+ ma anche tra persone queer e persone cisgender ed eterosessuali».

Caruso conclude il suo intervento aggiungendo che le questioni interne alla comunità Lgbt+ sono molteplici e le personalità che appartengono alla comunità hanno richieste molto diverse - si pensi ad esempio alla questione del matrimonio egualitario rispetto a quella della patologizzazione trans o della questione intersex – ed è molto difficile tenere insieme tutte queste istanze, soprattutto sul piano dei diritti.

La seconda domanda posta da Gaia Righetto si interroga su come il capitale e il mercato siano riusciti a utilizzare e a infiltrarsi all’interno delle questioni riguardanti le personalità queer. Come scrive Maya De Leo nel suo libro: “Il primo momento in cui c’è stata una concessione di diritti e di visibilità alla comunità Lgbt+ è stato il momento in cui il mercato ha compreso che questa era un potenziale bacino di consumatori, era per questo importante farli emergere.”. Antonia Caruso su Jacobin scrive: “chi lotta per i diritti civili e soprattutto per i diritti Lgbt+ è un target di mercato già pronto che ha già dei lavori precisi da utilizzare nel marketing”. La dimensione del mercato, del marketing e del rainbow washing risultano quindi centrali e intersecate alla questione dei diritti.

Maya De Leo spiega che nel suo libro alla domanda: “Perché proprio la rivolta di Stonewall segna un momento di rottura e di cambiamento?”; una delle risposte date è che sussiste un legame tra l’importanza data ai moti di Stonewall e il potere d’acquisto che in quel periodo venne riconosciuto ad una parte della comunità Lgbt+. Nel contesto della rivolta una parte della comunità Lgbt+ (soggetti cisgender, maschi, bianchi, appartenenti ad una classe medio-alta) stava ottenendo attraverso il suo potere d’acquisto, degli spazi di libertà e di affermazione. In questa chiave anche la rivolta del 28 Giugno 1969 viene letta come un’affermazione del proprio diritto a consumare in uno spazio pubblico. «Io sono sempre un po’ dubbiosa, mi piace puntualizzare rispetto a questo tipo di lettura che il mercato è sicuramente intrecciato con il processo di emersione delle soggettività Lgbt+ ma in generale il mercato e il consumo si intrecciano con il genere. Il “terreno” del genere è attraversato dai rapporti di potere quindi è normale che anche il consumo sia attraversato da modelli di genere e dalle soggettività che cercano di chiamarsi fuori da questi profili normativi».

L’autrice cita il libro “The sex of things” di Victoria de Grazia ed Ellen Furlough, in cui si descrive l’inizio dell’intreccio tra genere e consumo di massa a partire dal 800, dall’avanzare del capitalismo. In generale tutti i percorsi di costruzione di genere sono attraversati da queste tensioni, si intrecciano con le politiche di consumo e con la produzione. La retorica delle soggettività queer “figlie” del mercato che tende spesso a riproporsi, è falsa.

Antonia Caruso aggiunge che il consumo degli oggetti è una questione fondamentale nella costruzione dell’identità. A partire dalla proliferazione dei mass media si è creata una società “dello spettacolo” e “dell’immagine”. Le lotte Lgbt+ sono strettamente connesse alla costruzione di un’immagine. In questo senso, come Caruso scrive su Jacobin, così come gli slogan politici diventano dei payoff pubblicitari dagli anni ‘60, oggi anche uno slogan femminista risulta vendibile come un payoff. In questo contesto è fondamentale tener conto del tema dell’immagine, dell’icona, che riduce la complessità delle questioni e allo stesso tempo dà al capitalismo degli oggetti già pronti da vendere.

L’ultima domanda posta alle due ospiti riguarda la questione della lingua. Righetto cita bell hooks in “Elogio del margine”: “la lingua è anche un luogo di lotta”. Si chiede alle autrici di ragionare insieme sulle potenzialità della lingua, sulla necessità di modificare la lingua anche rispetto a quelle che sono state le cornici sempre più ampie dell’elaborazione teorica degli ultimi anni, e sulla difficoltà di comprendere ciò che si dice.

Maya De Leo nel suo libro ha cercato di rendere la centralità della questione della lingua attraverso la scrittura, ha utilizzato i termini propri di ciascun contesto, mettendo distanza tra i soggetti che hanno vissuto in diversi contesti storici. Spesso la diversità linguistica segnala una diversità di tutto un sistema di genere e di riferimenti culturali.  «Ho descritto quelle che erano le persone che hanno dovuto parlare la lingua del potere, per poi riappropriarsene, forzarla e rovesciarla. Le innovazioni linguistiche e gli l’input che negli ultimi tempi sono stati lanciati attraverso il linguaggio: la “u”, la schwa, l’asterisco; sono soluzioni fondamentali. A lezione spesso mi si chiede quale di queste sia la formula giusta, la formula giusta in realtà non c’è, con l’utilizzo di queste innovazioni non si vogliono dare soluzioni, si vuole segnalare un problema». Questa lotta con il linguaggio insegue tutta la storia della comunità Lgbt+, il cercare di sovvertire il linguaggio del dominio, del potere, si tratta di un processo di riappropriazione estremamente complesso.

Antonia Caruso aggiunge come da un punto di vista rivoluzionario, l’accessibilità del linguaggio sia un punto centrale, sarebbe auspicabile che chiunque riuscisse a comprendere ciò che si vuol comunicare. Le nuove parole vanno di pari passo con le nuove identità che si vengono a creare, sembra fondamentale poter utilizzare un glossario in questo contesto. Purtroppo, però molta della rielaborazione teorica si trova “nelle mani” dell’accademia e non è quindi accessibile a tuttə. Si tratta anche di un problema di tipo professionale, infatti per elaborare una teoria è necessario avere un supporto economico, è chiaro quindi come ci siano alcune condizioni intellettualmente privilegiate che permettono i tempi, i modi e l’accesso a certi testi, al di fuori di questi ambiti non accessibili.