Produzioni e comune

16 / 12 / 2014

Circa un anno fa si apriva su diversi portali di movimento un dibattito dal titolo “La narrazione mancante”.

Dibattito che dopo anni di silenzio riprendeva in mano due tematiche molto importanti, da un lato la narrazione e dall'altro la produzione culturale negli spazi sociali e occupati provando a tenerle assieme.

Dibattito che è ripartito e non si è limitato solo al web.

Dopo un anno mi piacerebbe portare avanti un pezzo di quel ragionamento è concentrarmi sulla produzione culturale.

Il processo culturale nasce e parte indubbiamente dalle intelligenze e dagli investimenti di tempo e forza da parte degli artisti in primis ma si espande grazie ad una serie di soggettività individuali e collettive che permettono che il lavoro dell'artista diventi fruibile.

Da mesi mi interrogo su una questione: E' possibile, utile e sensato, pensare e ragionare sopra una “produzione culturale” capace di fare esodo dalle logiche del capitalismo ma che contemporaneamente sappia fare i conti con la realtà del mondo che ci viviamo?

Cosa voglio dire? Voglio dire viviamo in una società capitalista, anzi nella crisi di alcuni assiomi del capitalismo, detto questo possiamo pensare a una struttura che facendo i conti con la realtà sappia diventare alternativa e percorso indipendente che liberi la cultura dal dipendere dall'accettazione del mercato e la filiera della produzione ad essa associata dalle logiche dal capitale?

Cosa intendo per fare esodo dalle logiche del capitale?

1- Liberare gli artisti dal dover nella loro creazione tener conto delle logiche del capitale per vedere prodotto il loro lavoro, o comunque tener conto delle regole del capitale per veder riconosciuto il loro lavoro

2- mettere in discussione la logica di guadagno individuale, dove individuale s'intende ogni livello della filiera produttiva, a discapito di tutto quello che gravita attorno. Trovando formule di riconoscimento economico fisso, modulabile in percentuali variabili in base all'andandamento della produzione

3- creare una struttura capace di essere competitiva con i grandi omologatori del settore e che quindi possa far scegliere da che parte stare

4- La produzione culturle è un lavoro e per questo occorre riconoscere che ogni livello della filiera produttiva deve poter vivere con dignità di quello che fa.

La filiera parte dagli artisti e attraversa tutti quei ruoli e funzioni necessarie: dai fonici, agli stampatori, dai tipografi ai grafici, dai macchinisti ai correttori di bozze, dai registi agli elettricisti, dai promoter (con il termine si può indicare sia il singolo organizzatore d'eventi così come il collettivo o associazione) ai driver e così via.

5- Fare cultura e partecipare alla filiera della produzione cultura è si un lavoro ma è anche un'azione sociale di altissimo profilo, azione collettiva svolta da tutti coloro che concorrono alla sua realizzazione. 

Per questo penso che sia interessante ragionare su come possiamo creare una “produzione culturale” capace di diventare alternativa e creare indipendenza, anche perché con un po' di arroganza penso che tante strutture indipendenti e capaci di fare esodo dalle logiche del capitale non solo indeboliscano il paradigma che ci domina ma soprattutto contribuiscono alle creazione di una differente cultura politica e sociale. Quindi sappiano essere strumento di non omologazione.

Ovviamente il discorso è difficile perché la “produzione culturale” è argomento ampio che attraversa le mille discipline dell'arte e del bello, per questo penso che solo una discussione collettiva e un dibattito ampio possa avere l'ambizione di tratteggiare un percorso comune.

Non so se “produzione culturale” sia il vero oggetto del ragionamento o sia semplicemente la risposta in struttura di un tema più ampio che si potrebbe addirittura chiamare “comune della cultura” o “cultura nel comune”.

Le domande sono tante, i punti di osservazione molteplici, la necessità di trovare sguardi obliqui che affrontino l'argomento, se ritenuto interessante e necessario, nella sua complessità e trasversalità anche. Mi fermo qui, perché la risoluzione del quesito originario “E' possibile, utile e sensato, pensare e ragionare sopra una “produzione culturale” capace di fare esodo dalle logiche del capitalismo ma che contemporaneamente sappia fare i conti con la realtà del mondo che ci viviamo?” e delle sotto domande che possono nascere è possibile solo in un confronto e dibattito collettivo. Solo le tante intelligenze in confronto possono trovare soluzioni a problemi complessi.