Viaggio musicale nell'Inghilterra in rivolta

Post-millennium tension

11 / 8 / 2011

Bristol 1996. Tricky pubblica il suo terzo album, “Pre-millennium tension”, che forse non è il suo lavoro più significativo sul piano strettamente musicale, ma è senz’altro quello che più di ogni altro sintetizza l’epopea del Bristol-sound, uno dei fenomeni più intriganti dell’Inghilterra post-teacheriana.

Il Trip hop di Portishead, Massive Attack e Lamb, la Bristol-psycho di Flying Saucer Attack, Movietone, Laika, Moonshake e Third Eye Foundation, la drum and bass deforme di Roni Size definiscono una scena complessa e variegata, pronta a contaminare tutta la Gran Bretagna ed a varcare i confini della terra  di Albione.

Ritmi cadenzati, bass-line morbide e circolari, sonorità oniriche che rimandano al Kraut ed allo space-rock, ma anche al decadentismo dei Cabaret Voltaire, che qualche lustro prima esprimevano il declino della fabbrica, rovistando tra i primi ruderi industriali di Sheffield. Il suono di Bristol è il suono dell’Inghilterra portuale convertitasi precocemente al post-fordismo, si distribuisce nei flussi della metropoli diffusa decentrandosi da Londra, Manchester o Liverpool, si forgia in quello spirito rurale riemerso in seguito all’espulsione di tanti lavoratori e lavoratrici dai principali centri minerari del Paese.

Le tensioni di fine millennio che sono condensate dentro la scena bristoliana sono le tensioni della prima generazione che ha impattato la precarietà, che uniscono la rabbia e la frustrazione per una vita sempre più in preda dei deliri del mercato, con quell’ottimismo ingannevole frutto di un capitale globale che proietta l’immagine di un’espansione inarrestabile (e artificiale). Tensioni intimiste e primordiali, meno schiette di quelle che dall’altra parte dell’Atlantico si stanno esprimendo dentro la scena grunge, il post hardcore fugaziano, il post rock di Chicago e Louisville e che entro pochi anni esploderanno nel movimento cosiddetto no-global, che avrà il suo esordio proprio nella città di Cobain.

Londra 2010. Agli inizi di novembre decine di migliaia di studenti assediano Westminster e Millbank Tower, manifestando un dissenso radicale rispetto alla riforma del sistema dell’istruzione che prevede un sensibile aumento delle rette e soprattutto lo smantellamento definitivo del sistema di Welfare per gli studenti, sempre più costretti a piani organici di indebitamento individuale per garantirsi il diritto a studiare. “Free education now” scandisce il primo atto del London Burning anni 10, un nuovo modo di ribellarsi dentro la crisi che decreta l’inizio di una stagione di lotte caldissima per l’Europa e per tutto il Mediterraneo.

Londra 2011. Dopo l’uccisione del ventiseienne Mark Duncan da parte della polizia avvenuta nel quartiere medio-borghese di Tottenham, un’ondata di tumulti e sommosse si propaga in tutti i quartieri del North London. A distanza di ventiquattro ore tutti i sobborghi londinesi sono attraversati da riots, ed anche i quartieri più vicini alla City si sollevano. Dopo due giorni tutta la Great London brucia, dopo tre le rivolte assaltano Manchester, Birminghan, Liverpool e Nottingham. England Burning atto secondo.

La rivolta viaggia su twitter e facebook, come già accaduto in Tunisia, Egitto, Siria e Yemen. Si, la Tunisia. Questa è la Tunisia d’Europa. Altro che banlieue (con tutto il rispetto per le rivolte parigine!), altro che bande di hooligans e mods. Le fiamme inglesi del 2011 assomigliano molto di più a quelle del 1649, quelle della prima testa coronata che cade (letteralmente!) su suolo europeo, buttata giù da quella borghesia rivoluzionaria che nei decenni seguenti comincerà a governare il mondo, ma anche da contadini ed operai manifatturieri che avevano fame di pane e giustizia sociale. Le fiamme inglesi del 2011 assomigliano ad una rivoluzione.

Afro-caraibici, indonesiani, maghrebini, irlandesi, autoctoni, giovani compresi tra i venti ed i trentacinque anni, provenienti dai sobborghi ma anche dalla City, studenti, disoccupati, ma anche laureati e plurititolati. La loro rabbia è indirizzata verso le grandi catene di distribuzione, principalmente quelle di materiale elettronico e tecnologico, segno evidente di una voglia di conquistare il diritto a pretendere, a desiderare, ad osare. E’questa carta di identità trasversale e poliedrica, che sta facendo impallidire Cameron e tutti i governanti europei e non solo.

L’onda meticcia che sta facendo esplodere l’Inghilterra è parte di quella generazione, di quel corpo sociale multiforme che più di tutti sta subendo i tagli ai servizi, al sistema di sussidi, all’istruzione. Mentre i governi di tutto il mondo sono messi in ginocchio dalla speculazione sul debito pubblico, dopo aver per anni foraggiato un modello in cui crisi e rendita si autoalimentano, nelle strade inglesi assistiamo non ad una semplice rivolta, ma ad un archetipo di cambiamento radicale.

Il pedigree culturale di questo corpo meticcio e ribelle è rappresentato da quella musica che spopolava nei sobborghi di South London intorno alla metà dello scorso decennio. La indicavano come l’edere diretta delle pre-millennium tension di Tricky & Co. ed in poco tempo si è affermata come fenomeno globale. Si chiama dubstep ed ha il suo primo manifesto nell’album omonimo di Burial, uscito nel 2006, che descrive in pieno le tensioni del nuovo millennio in una metropoli soffocante ed ossessiva, densa di radioattività sociale e carica di passioni incontrollabili. Una polveriera.

Dentro questa polveriera prende forma un suono che ha le sue coordinate in un beat fatto di aritmie e controtempi ed in bassi cupi e dirompenti. Un suono prodotto da un bios che vive la frammentazione sociale, la schizofrenia dei mercati e dei governi, la rabbia che diventa eccedenza e voglia di lottare. Un suono che esprime la voglia di riscatto dei sobborghi, ma anche la smania di rivincita dei tanti lavoratori dequalificati della City.

Il dubstep (o la dubstep che dir si voglia) è il paradigma della contemporaneità perché è nato dal bisogno di contaminare e contaminarsi, di manipolarsi dentro stili e tendenze nuove, di intrecciarsi con la fluidità e la fugacità delle musiche del terzo millennio. Questo reticolato di pulsioni e di passioni produce narrazioni musicali che sanno essere fumose e claustrofobiche come la Londra di Burial, ma anche decise e sincopate come il sound danzereccio di Skream. Articolate e sperimentali (Vex’D), ma anche semplici e dirette (Benga). Calde e suadenti (Kode 9) o ancora glaciali e riflessive (Distance).

Nel corso degli anni questo ricchissimo tessuto sonoro ha incrociato altri scenari che il post-millennium tension ha generato in Inghilterra ed in particolare sulle rive del Tamigi. La Uk garage, nata dalle ceneri della minimal house dei primi anni Duemila, che ha trovato in El-B un profeta impareggiabile. Il grime di Terror Danjah e Cooly G, capace di fondere le ritmiche dubstep con l’urgenza espressiva dell’hip hop. Lo Uk funky, che sintetizza gli stilemi più trendy del modern funk con divagazioni soul, in una miscela che tiene dentro soluzioni popular alla Katy B, ma anche affreschi radicali ed espressionisti alla Flying Lotus. Per finire l’incontro più recente con la chillwave che, partendo dai capolavori di Demdike Stare e Salem, apre ancora infinite possibilità di indagine e sperimentazione.

In questo combo di scenari e tendenze si fa luce un’idea di musica e di arte che esonda da qualsiasi schema del passato e si riflette nella voglia di cambiamento che eccede la contemporaneità della crisi. Il dubstep si propone sempre più come musica e cultura del desiderio, e i desideri sono i più grandi motori delle rivoluzioni.

burial night bus

Skream Listenin' To The Records On My Wall

Vex'd nails

Benga Better

Kode 9 Green sun

Distance Mistral