Parliamo di cadaveri, please

Utente: chicca
16 / 12 / 2013

Ho partecipato da poco a un festival dedicato al giallo. Ho assistito a un dibattito che parlava di infiltrazioni mafiose nelle città coordinato da un giudice, poi alla presentazione di un autore francese, che ha scritto un bel giallazzo ambientato tra Parigi e Tokio. La domanda che gli è stata fatta e che più mi è rimasta impressa è stata quella su Stendhal e Balzac e l’influsso che hanno avuto sulla sua scrittura. Un caso isolato, macché.

Salvo quando presento libri degli autori che curo, che sono per lo più autori di fantasy, i dibattiti cui partecipo hanno come tema il femminicidio, il destino del Pd, Berlusconi, l’innovazione, il rapporto tra psicanalisi e scrittura, i movimenti.

Che c’è di male?, direte voi che avete una coscienza civica e siete anche mediamente colti. Vi rispondo che prima di tutto questi dibattiti sono orrendamente pallosi. Secondariamente sono per lo più inutili perché non spostano una briciola di coscienza civile, anche perché chi ascolta un dibattito del genere di coscienza civile ne ha già parecchia (e anche di pazienza). In terzo luogo sono generici, perché gli scrittori di gialli, per quanto conoscano bene l’argomento, sono certamente meno esperti di chi lavora sul serio nel campo. Qualsiasi questurino ne sa di crimine e mafia molto più di qualsiasi giallista – pardon noirista che fa più fine – salvo che a scrivere sia un questurino o un giudice, cosa che capita molto spesso. E anche su Stendhal, un professore di liceo vi può fare una lezione migliore di quella che ho sentito da quel collega altrimenti degno. Quarto e ultimo punto: quand’è che posso confrontarmi su quello che davvero faccio, ovvero inventare storie con lo scopo principale di divertire chi mi legge?

Faccio un passo indietro, o più di uno, perché se no non mi capite davvero e pensate che stia sventolando solo la bandiera del disimpegno cazzone. Ho cominciato a scrivere gialli alla fine degli anni novanta ma frequentavo da un pezzo l’ambiente perché collaboravo con il Manifesto prima e Liberazione poi, scrivendo di narrativa di genere e pontificando sulla necessità del nostro paese di dare spazio alla produzione autoctona. I nostri “nemici”, a parte la critica d’ispirazione crociana, erano sostanzialmente due. Quelli venuti prima di noi, che avevano riempito edicole e cantine di gialli con vecchiette investigatrici, barboni geniali e patetiche imitazioni di Simenon, e quelli che stavano in quel momento al centro della scena, ovvero i letterati celebrati dalle accademie, che scrivevano del loro ombelico e di famiglie borghesi con corna e suicidi. Vi erano delle lodevoli eccezioni in entrambi i campi ma fidatevi, la situazione era questa, tant’è che le classifiche di vendita avevano regolarmente ai primi posti libri americani, perché i lettori italiani si erano da un pezzo rotti i marroni.

Mentre quello che scrivevamo cominciava a vendere, noi giustificammo il nostro successo dicendo che questo accadeva perché il noir parlava del presente, di quello che accadeva in Italia, delle nuove mafie, e lo faceva con un linguaggio mutuato sì dai maestri americani, ma con elaborazione locale e regionale. Qualcuno si spinse anche ad affermare che il noir era la nuova narrativa sociale. A parte l’ultima affermazione, tutto il resto, badate, era vero. Nei nostri libri si parlava davvero dell’Italia postmoderna, dell’avvento di Berlusconi, di repressione. Ma non perché il noir fosse il più titolato a parlarne – tutte le espressioni artistiche possono raccontare il presente (vi ricordate il Guernica di Picasso o i film di Pasolini?), ma solo perché molti di noi, al tempo, erano interessati all’argomento. Io venivo dai centri sociali, Lucarelli era uno storico mancato, Carlotto era un militante degli anni Settanta che aveva subito la repressione, De Cataldo un giudice, e molti di noi erano genuinamente di sinistra, dando al termine il significato che preferite. Ma a parte quello che eravamo, o quello che facevamo quando scendevamo in corteo, a noi piaceva raccontare storie. Inventare trame con cadaveri bizzarri e investigatori tormentati, perché ci piaceva far sussultare il lettore, spaventarlo, farlo ridere e piangere. Insomma, fare gli scrittori. A un certo punto della nostra storia, però, qualcosa è successo. Quello che era il condimento del nostro mestiere, anche una delle nostre motivazioni, è diventata la nostra etichetta e, soprattutto, uno slogan furbetto per vendere i nostri libri. E qui il gioco si è fatto estremamente noioso. Tutto è diventato narrativa sociale. Se in un romanzo moriva una donna il libro diventava una denuncia della condizione femminile, se moriva un magrebino era una spietata mappatura dello sfruttamento dei migranti. Chiunque scrivesse un noir doveva dire che era un’inchiesta, che sostituiva il giornalismo ormai morto e sepolto, che era un atto d’accusa.

Oggi gli scrittori di noir salgono in cattedra e trombonano (va bè, non tutti ma molti), come se stessero salvando l’Italia dal fascismo e dalla mafia. Si salvano solo quelli che fanno il giallo esoterico alla Dan Brown, Pinketts cha passa da un party all'altro e Faletti, che se ne sbatte le palle e va in giro a suonare il pianoforte. Di stile, di voce, di capacità di creare suspense e tensione non si parla quasi mai, se non nei corsi della Holden o alle premiazioni dello Strega. Dove quest’anno, guarda caso, ha vinto uno dei migliori noir di sempre, anche se Walter Siti non credo si proponga di salvare il mondo.

Insomma, io trovo la situazione asfittica e noiosa, e mi piacerebbe avere davvero che si facesse tutti un passo avanti, o indietro. Usciamo dal clichè degli impegnati. Lo si può essere senza scrivere libri, e si possono scrivere libri anche per il gusto di farlo. Almeno, per me è così. E se sabato vado a un dibattito al Centro Sociale Morion di Venezia lo faccio solo perché sono solidale con loro, come cittadino ed ex militante. Sulla politica ho poco da insegnare a chicchessia – pensate che per un certo periodo mi piaceva Sel, brr - ma terminato il dibattito, se qualcuno mi chiederà da dove mi vengono le idee sugli omicidi, la mia risposta potrebbe essere interessante.