Domenica 13 Ottobre C.S.O.Pedro – Via Ticino 5 Padova propone
A scuola di cittadinanza
Giornata a sostegno del progetto ”La Prima Scuola”
"La prima scuola" è un progetto legato al film "La prima neve" di Andrea Segre e ZaLab ed è sostenuto dalla casa di produzione Jolefilm e Parthénos Distribuzione.
E' un progetto di impegno civile pensato per contribuire all'importanza della scuola primaria pubblica italiana in un'epoca di tagli e disegualienze.
Durante la serata saranno con noi e interverranno:
ANDREA SEGRE, VINICIO CAPOSSELA, GIUSEPPE BATTISTON, PIERO SIDOTI, LA PICCOLA BOTTEGA BALTAZAR, TEMPO PERSO BAND e tanti altri.
Programma
dalle 16:00 in poi animazione, giocoleria e sport per i bambini con merenda e alle 17.00 Spettacolo teatrale “La Storia dei Colori” tratto dai racconti zapatisti del Sup Marcos
dalle 19:00 – APERITIVO
dalle 20:00 – Cena a buffet con i molti ospiti
Ingresso a sottoscrizione
In collaborazione con il Progetto Melting Pot Europa
La giornata è realizzata grazie a:
Ass.Razzismo Stop, Comitato Genitori ed Insegnanti per la scuola pubblica di Padova, Coordinamento Studenti Medi Padova, COBAS Scuola, az.agricola Bio Natura Franca, ciclofficina La Granata, osteria Fuori Porta, bar La Yarda, bar Il Municipio, pizzeria La Grande Bufala, coop.agr. El Tamiso, Ass Ya Basta!, ADL-COBAS, Comitato Lasciateci Respirare, Carlsberg Oreca, Altragricoltura Nord-Est, Comitato Due Si per l'Acqua Bene Comune, ristorante Donna Irene, La Capreria S.s agricola, Biojuna, az.vinicola Alla Costiera, Birra Olmo, palestra “I Cinque Elementi”, gelateria Pancera, patronato INAC Padova, Polisportiva San Precario, FIOM Padova, az.agricola Boscarolo Diego – spaccio El Tamiso Bagnoli, Ass, per la pace, enoteca Cortez, gelateria Friso, Ass. La Mimosa, coop. Sociale Equality, Giuristi Democratici, osteria L'Anfora, osteria Al Buscaglione, ALBA Padova , Azienda Agricola Fantin Pietro di Fantin Germano, Angoli di Mond, El forno a legna
www.sherwood.it seguirà l'evento in diretta
Per chi vuole contribuire portando cibi ed alimenti contatti alla mail mail [email protected] o al numero: 340.3100312 (Ermanno)
Inno della Prima Scuola
Intervista ad Andrea Segre a cura Progetto Melting Pot
Lo scorso 6 settembre al Festival del Cinema di Venezia è stato presentato “La prima neve”, il tuo nuovo film che ha raccolto applausi dalla critica, dagli addetti lavoro e dal pubblico.
Si tratta del secondo film dopo “Io sono li”
(oltre ad una lunga serie di documentari di successo). Questa volta
al centro della scena non c’è semplicemente la storia di qualcuno che
viene da lontano. Non si tratta insomma di un film che narra le vicende
dell’immigrazione, piuttosto, quella di “La prima neve”, ambientata nella Valle trentina dei Mocheni, è una storia che racconta uno spaccato di vita della nostra società.
Andrea Segre.
Si, in fondo il film racconta il rapporto con il padre, con i genitori,
con l’essere figli e con il rischio di perdere tutto ciò. Lo fa
certamente attraverso l’incontro tra uno “straniero” ed un italiano, ma
questa volta ho voluto inserire la figura dello straniero come presenza
“normale”, un elemento della nostra società che permette di confrontarsi
con temi più universali.
Questo non è un caso. Io credo molto nel fatto che siano proprio gli
incontri tra le differenze, di culture, di provenienze, di generazioni, a
dare la possibilità di superare i momenti di crisi. Ed è quello che
succede a Dani e Michele che nel film vivono due situazioni molto
pesanti, due ingiustizie intollerabili, come quella di avere una figlia
nata lo stesso giorno della perdita di sua madre, o quella di un bambino
orfano a nove anni dopo aver perso il padre molto giovane. Si tratta di
due situazioni drammatiche, due crisi molto profonde, che trovano però
un momento di svolta proprio nel momento in cui i due protagonisti si
incontrano nel loro essere diversi ma complementari.
E’ un caso un po’ portato al limite ma d’altra parte questo è quello che
fanno la letteratura, la narrativa ed anche il cinema, cioè il fatto di
cercare in storie particolari, a volte minoritarie, a volte minime,
delle tendenze, delle dinamiche profonde nelle relazioni umane. Ed è
quello che ho provato a fare anch’io in questa piccola valle del
trentino.
Un ’altra cosa che non sembra per nulla un caso è il fatto che tu abbia voluto collegare all’uscita di questo film un progetto che riguarda un tema centrale nella costruzione della nostra società, cioè quello della scuola, con il progetto La prima scuola che accompagna il film. La campagna per la sua promozione è già partita con la raccolta fondi per “regalare” progetti alle scuole di periferia che parlano il linguaggio dell’arte, della comunicazione e dell’integrazione.
Andrea Segre. La
prima neve è nato proprio a partire dai bambini, dal bambino
protagonista e da quelli con cui abbiamo lavorato non solo per costruire
il film ma anche per conoscere la valle. Io stesso sono andato in
questa piccola valle molto sconosciuta ed isolata ed insieme a loro sono
andato nei boschi, mi sono arrampicato sugli alberi, ho corso lungo i
torrenti, proprio per imparare a conoscere loro e quei luoghi. Così,
quando il film è finito ed abbiamo iniziato a ragionare sulla
distribuzione, è stato spontaneo chiedere alla produzione di pensare a
qualcosa che potesse continuare a lavorare con e per i bambini.
Ovviamente da cittadino e da genitore mi sono accorto di come la scuola
elementare pubblica negli ultimi anni sia stata costantemente sotto
attacco , non solo per i tagli ma anche per colpa di una forma di
discredito e di riduzione del suo valore all’interno della nostra
società nonostante si tratti di un’istituzione fondamentale. E la
principale discriminazione che subisce è proprio il fatto che sono
venute meno tutta una serie di attività pedagogiche che accompagnano la
didattica, oggi invece affidate alle risorse delle famiglie con la
conseguenze che nelle scuole in cui i genitori hanno disponibilità
economiche si producono queste attività mentre in quelle dove le
situazioni economiche dei genitori sono più difficoltose non si hanno
questo tipo di attività. Si tratta del crollo del significato
dell’istituzione pubblica.
Così unendo la centralità dei bambini nella realizzazione di questo film
a questa urgenza sociale e culturale, ci è sembrato necessario lanciare
questo appello e questo progetto.
La prima scuola è in questa prima fase una raccolta fondi per costituire
il fondo che poi sarà destinato da una commissione di esperti pedagoghi
, educatori e conoscitori del mondo della scuola per finanziare
progetti di integrazione dell’attività didattica , che utilizzino il
linguaggio artistico, del cinema, del video, ma anche del teatro, della
musica o altri, proprio nelle scuole elementari pubbliche di periferia,
in piccoli villaggi di montagna, in provincia o nelle vere e proprie
periferie metropolitane, perché è proprio lì che la discriminazione di
cui parlavo colpisce di più. Ma anche perché è in questi luoghi che si
sta costruendo il nucleo fondamentale del futuro del nostro paese, che
ha a che vedere anche con il tema del film, cioè quello della relazione
tra culture diverse . E’ in queste scuole elementari di periferia che si
sta formano la “nuova Italia”, quella delle tante culture, delle
differenze e degli incontri. Ovviamente buona parte di questi progetti
cercheranno di lavorare anche su questo tema.
L’urgenza di oggi quindi è quella di rendere possibile questo progetto e
noi, già dopo la presentazione del film, abbiamo avuto moltissimi
contatti dia parte di persone che sono rimaste colpite da questa idea e
che hanno voglia di collaborare e di renderla possibile.
Zalab, che insieme a Jolefilm e a Parthénos collabora a questo progetto, ha attivato un blog, laprimascuola.wordpress.com
che è un luogo non solo di raccolta delle donazioni ma anche di
racconto, denuncia ed informazione sul mondo della scuola per riattivare
questa attenzione.
Affrontiamo ora un altro tema che è quello che riguarda il tuo lavoro, l’ambiente in cui ti esprimi, quello del cinema.
Come il mondo della scuola anche quello del cinema vive un momento
particolare. Non mancano idee e talenti ma, come spesso ci siamo trovati
a discutere, il sistema cinema e più in generale il sistema della
produzione culturale in questo paese arranca.
C’è oggi una questione fondamentale che credo riguardi anche registi
come te che si propongono di portare temi reali e sociali all’interno
del grande schermo ed allo stesso tempo un nodo che riguarda il concetto
e la possibilità di produrre indipendenza culturale.
Qual’è a tuo avviso lo stato di salute del cinema italiano e cosa può
significare oggi indipendenza all’interno del mondo del cinema?
Andrea Segre.
Mi pare che la situazione sia molto chiara e lapalissiana soltanto che
lo strato di retorica che la copre è molto solido e compatto. Un esempio
credo permetta di capire molto bene cosa stiamo vivendo. Tutti noi
siamo abituati a sentir parlare del successo di un film ancorato
semplicemente alla quantità di soldi che è riuscito a produrre. Quello è
andato bene perché ha fatto sei o sette milioni, quell’altrocosì e così
perché ha fatto solo quattro o cinquecentomila euro. Ma queste cifre
non significano nulla, sono semplicemente la superficie di una retorica
comunicativa che coprono il sistema che ne rende possibile o
impossibile l’ottenimento. Un film come la prima neve, ma lo stesso vale
per il Sacro grà, che ha vinto il Leone d’oro, o Corpo celeste o Io
sono lì o altri film che hanno vinto premi e riconoscimenti di
altissimo livello in tutta Europa ed in tutto il mondo, non solo in
Italia, quando riescono a trovare cinquanta, sessanta o al massimo cento
sale per la proiezione hanno ottenuto già una grandissima possibilità.
Invece i film del mainstream commerciale, quelli che non vanno ai
festival, che non cercano alcun tipo di rapporto con la qualità ma
puntano esclusivamente allo spettacolo e che ripetono anche nella loro
produzione e nella loro scrittura, come peraltro gli stessi registi e
sceneggiatori ammettono, figure stereotipate, gusti omologati, modi
ripetuti di costruire una narrazione, affinché lo spettatore possa
consumarli rapidamente, quando hanno cento sale ne hanno poche.
Normalmente lavorano con una base di duecentocinquanta o trecento sale
almeno al momento dell’uscita, se non addirittura ottocento, novecento o
mille, come è accaduto per “i soliti idioti” lo scorso novembre.
Sembra banale dirlo ma, ovviamente, nel momento in cui si può contare su
questo numero di sale è possibile raggiungere un numero di spettatori
molto più alto e produrre gli incassi di cui parlavamo.
Se ovviamente
invece si dispone al massimo di cinquanta sale come è possibile
raggiungere gli stessi risultati? E’ impossibile.
L’incasso finale insomma è quello che determina il successo del film .
Ma è evidente che si tratta di una distorsione. E’ come se mettessimo a
confronto un fruttivendolo di quartiere ed un supermercato di un grande
centro commerciale e dicessimo che quest’ultimo funziona molto meglio
perché ha venduto due tonnellate di pomodori mentre il fruttivendolo è
riuscito a venderne solo venti chili.
Ovviamente tutti capirebbero che un confronto del genere non avrebbe alcun senso.
Nel mondo del cinema però questo confronto è quello su cui regge il
sistema, è lo strato di retorica che copre l’ingiustizia di base che fa
funzionare questo sistema e condiziona al tempo stesso i gusti del
pubblico.
Ora, ma era prevedibile già da tempo, cosa sta succedendo di drammatico? I il pubblico è stufo di vedere sempre gli stessi film per cui riduce il suo consumo di quella minestra che ha sempre lo stesso gusto. Quelle sale, in particolare le multisale che garantivano la base del potere del cinema commerciale, iniziano ad essere in crisi. Ed il cinema commerciale cosa fa?
Chiede soldi pubblici rivendicando il ruolo
educativo e culturale del cinema. Un po’ come se il centro commerciale
che vende tonnellate di pomodori, iniziasse ad avere una flessione nelle
vendite perché la gente è stanca di mangiare pomodori che hanno sempre
lo stesso gusto piatto e chiedesse allo stato di aiutarlo per vendere
più pomodori perché è importante.
Il cinema è un elemento fondamentale dell’educazione di un paese. Ma il
cinema è una cosa mentre lo spettacolo commerciale è un’altra.
Così come
il pomodoro omologato e magari modificato geneticamente del centro
commerciale è una cosa mentre quello biologico del fruttivendolo di
quartiere è un’altra cosa. Vanno controllati entrambi perché non è per
nulla scontato che chi produce in piccolo faccia cose buone, anzi, ma se
lo sta facendo con fatica e con il rispetto di alcune norme utili alla
nutrizione andrà aiutato e sostenuto a differenza di chi ripete l’errore
di omologare il gusto e per questo non ha più persone disposte a
consumare il suo prodotto.
Come nel caso del mercato biologico o delle filiere corte si sono create
numerose reti resistenza, che poi diventano reti di esistenza e
diritto, che hanno reso possibile la sopravvivenza in questo sistema di
un cinema di qualità e che rendono ancora possibile oggi diffondere e
distribuire i nostri film. Ma non per questo possiamo accettare che
queste reti siano l’unica risposta.
La risposta va ricercata da altre
parti e dovrebbe essere secca nel dire che questo tipo di distribuzione
uccide un pezzo di cultura fondamentale di questo paese. Non si tratta
di un’esperienza appena nata ma di qualcosa che peraltro ha
rappresentato anche per lungo tempo una ricchezza economica di questo
paese.
Se non si ottiene questa chiarezza ma invece si continua a dire che che
va sostenuta la commedia italiana perchè produce denaro, si continua ad
uccidere pezzo per pezzo un elemento fondamentale della nostra cultura e
della nostra storia.
Io cito sempre l’esempio di un ragazzino di quattordici anni che ad una
proiezione di “io sono li” ad udine si è alzato alla fine della visione
del film e di fronte a trecento compagni di scuola mi ha voluto
ringraziare non tanto per il film in sé, che può piacere o non piacere,
ma perchè diceva di non sapere dell’esistenza di questo tipo di cinema,
perché da quando aveva nove anni veniva portato al multisala del centro
commerciale a vedere ciò che veniva proposto dovendo abituarsi a quel
gusto.
A quel ragazzino ed ai compagni che lo hanno applaudito dobbiamo
garantire la possibilità di conoscere un altro pezzo della produzione
narrativa, culturale, etica ed estetica di questo paese.
Se non garantiamo questa possibilità è evidente che loro smetteranno di andare al cinema perché non potranno continuare a divertirsi con qualcosa che si ripete, che è sempre uguale. Prima o poi questa cosa finisce, inevitabilmente.
l'intervista è a cura di Nicola Grigion Progetto Melting Pot