"#Overthefortress. Raccontare le migrazioni" a Sherwood 2016

11 / 6 / 2016

Si è svolto giovedì 9 giugno il dibattito “Over The Fortress. Raccontare le migrazioni”, primo di una serie di appuntamenti di approfondimento tematico all’interno di Sherwood Books & Media. L’incontro, curato e moderato da Stefano Bleggi di Melting Pot Europa, ha visto confrontarsi diversi giornalisti indipendenti. Oggetto della discussione è stato il rapporto tra migrazioni e spazio mediatico, sia rispetto alle singole vicende dei migranti che attraversano la Balkan Route sia dentro una lettura complessiva del fenomeno.

La campagna Overthefortress è riuscita a trasformare il sentimento comune di indignazione in progettualità. Proprio grazie al racconto di questa esperienza sono emersi nel dibattito diversi punti di vista soggettivi, in grado di costruire narrazioni positive attorno al tema delle migrazioni e non solamente la mappatura della disperazione che è spesso il cuore del sensazionalismo mediatico maistream.

Tommaso Gandini, attivista overthefortress, è stato tra i pochissimi a raccontare, attraverso Melting Pot, lo sgombero di Idomeni visto dall’interno. Quell’area di confine tra Grecia e Macedonia si è profondamente trasformata in questi ultimi mesi, sia in seguito al blocco dei migranti ed alla successiva costruzione del campo autogestito, sia dopo lo sgombero di quest’ultimo. Il vuoto di Idomeni rappresenta una macchia indelebile per l’Unione Europea e per il governo greco. Dopo lo sgombero infatti, delle 9000 persone presenti al campo, solo 5000 sono state registrate nei campi governativi. Circa 4000 persone mancano all’appello: alcuni sono stati rimpatriati, alcuni hanno scelto di andare in Turchia (paese tutt’altro che sicuro per i rifugiati), altre persone sono letteralmente sparite. Chi è riuscito a raggiungere i campi governativi si trova in una situazione ai limiti della vivibilità, spesso molto peggiore di quella di Idomeni. Le condizioni igienico-sanitarie sono davvero precarie (in uno dei campi ci sono 1.100 persone senza docce) e l’accesso ai giornalisti è vietato. Per questa ragione è importante sostenere progetti come No Border Radio, legato alla campagna Overthefortress, che serve a monitorare in modo indipendente cosa accade in Grecia e quali siano i reali effetti dell'accordo tra l'Unione europea e la Turchia.

Pio D’Emilia, di Sky tg 24, ha insistito sul fatto che il dibattito sulle migrazioni deve essere portato nella società civile. «Appena ho iniziato a seguire i primi flussi massicci nello scorso agosto, mi sono subito reso conto che si trattava di un fenomeno di proporzioni bibliche». Il piano umano per un giornalista che segue le vicende delle migrazioni si intreccia immediatamente con le narrazioni, Pio D’Emilia ha raccontato di essersi affezionato ad una famiglia di siriani, incrociata durante la prima grande ondata migratoria della scorsa estate. Ha attraversato insieme a loro il confine tra Serbia ed Ungheria in maniera illegale e successivamente li ha accompagnati prima a Vienne e poi a Monaco, dove sono stati messi su un treno per il Nord della Germania. Mesi dopo la famiglia è riuscita a trovare un sistemazione a Kiel.  «E’ necessario rendere pubblico il fatto che ce la si può fare» conclude Pio D’Emilia, «oltre che rendere visibili tutte le violazioni che l’Europa sta compiendo sul tema dei diritti e su aspetti che in tanti pensavamo fossero comunemente acquisiti».

Ernesto Milanesi, giornalista de Il Manifesto, ha partecipato alla carovana overthefortress a Idomeni, tenutasi durante il periodo pasquale. Per il giornalista si è trattata di un’esperienza umana prima ancora che professionale. Tanti giornalisti sono abituati a narrare a distanza, e stando seduti sulla scrivania, le vicende dei migranti. Il lavoro fatto sul campo da tanti giornalisti indipendenti, insieme a volontari ed attivisti, ha mostrato al mondo che per narrare le migrazioni bisogna seguire e monitorare le rotte, capire e raccontare la vita nei campi, vivere insieme a loro speranza, rabbia, delusioni e sogni. Milanesi sposta l’attenzione all’Italia ed in particolare al Venero, dove ci sono profughi che vivono in condizioni disperate nelle strutture d’accoglienza, vittime di un sistema di business e malaffare. «Vale la pena entrare in queste strutture, fare una costante opera di informazione e monitoraggio».

(per inconvenienti tecnici non è disponibile il video dell'intervento di Ernesto Milanesi)

Elisa Dossi, giornalista freelance, ha incontrato per la prima volta gli attivisti overthefortress alla manifestazione del 3 aprile al Brennero, contro la chiusura della frontiera italo-austriaca. In quel momento ha deciso di unirsi alla campagna e partire, insieme ad alcuni di loro, per Idomeni. Il suo obiettivo è stato quello di essere parte attiva  del progetto No-border wi-fi, una parabola che ha dato la possibilità ai profughi presenti al campo di connettersi ad internet. Elisa ha girato un video documentario in cui racconta la vita ad Idomeni, le paure e le speranze dei profughi, la tenacia degli attivisti che li sostengono. Il documentario si conclude con appello di un ragazzo che dice «l’Europa deve guardare quello che accade a Idomeni».

Federico Sutera, fotografo che spesso ha raccontato la vita dei vari campi per rifugiati, in diverse parti d’Europa. Il ruolo della fotografia, ed in generale delle immagini, è stato essenziale per mostrare al mondo gli aspetti più intimi di quello che sembra diventato il fenomeno più significativo del mondo contemporaneo: le migrazioni. L’immagine di Aylan, il bimbo siriano trovato morto sulla spiaggia di Bodrum (Turchia), ha contribuito a cambiare la percezione di tanti europei rispetto alle persone che bussavano alle porte del nostro continente. Federico Sutera ha deciso di andare a Idomeni dopo lo sgombero del campo di Calais. «A Idomeni vedere persone in fila per il pane, nell’Europa del 2016, è una cosa estremamente raccapricciante». Le immagini di disperazione viste nel campo sono però spesso state surclassate dalle immagini di speranza. Quello che insegna Idomeni è il fatto che è necessario  lavorare insieme per garantire a queste persone un futuro degno.

Sebastiano Canetta (giornalista free lance) ha messo in luce diversi aspetti del sistema d’accoglienza tedesco, approfondito dopo una permanenza a Berlino. E’ sempre più percepibile una situazione bifronte, che da un lato ha visto in pochi mesi l’affermazione di una solidarietà dal basso molto radicata (buona parte dei berlinesi ha accolto a casa loro circa un migliaio di persone), dall’altro un’estremizzazione della xenofobia e della pratica dell’intolleranza. Negli ultimi mesi si conta infatti in Germania una media di un centro d’accoglienza al giorno dato alle fiamme. La politica ambivalente di Angela Merkel scontenta sia chi chiede più accoglienza, sia chi vorrebbe chiudere totalmente le frontiere. Nonostante tutte le ipocrisie e le contraddizioni del governo tedesco, per la prima volta la Germania ha approvato una legge sull’integrazione, grazie soprattutto alle spinte esercitate da quel pezzo di società civile che pratica e diffonde una cultura dell’accoglienza.

Alla fine del dibattito Pio D'Emilia ribadisce l'arretramento, sul piano etici e politici, dell'attuale classe dirigente europea rispetto a quella dei "padri fondatori".