OltrEconomia Festival 2017 - Corpi in conflitto

2 / 6 / 2017

“Corpi in conflitto” è il titolo della terza giornata dell’OltrEconomia Festival, che quest’anno è partito proprio da una riflessione collettiva sull’influenza esercitata dal sistema economico sul corpo e sui territori. I corpi delle donne, dei migranti, dell’ambiente sono da un lato gli elementi su cui si fondano le strategie di accumulazione contemporanea, dall’altro le basi di un riscatto soggettivo e collettivo. Gli stessi corpi martoriati, dalla violenza di genere e del capitale, sono gli stessi che lottano per l’alternativa, proprio a testimonianza delle ambivalenze che attraversano la società contemporanea.

Nel corso della mattinata l’assemblea di genere del Centro Sociale Bruno ha organizzato un workshop dedicato alla costruzione di un «kit sui diritti e sull’accesso alla salute delle donne migranti». Questo appuntamento ha visto la partecipazione di varie realtà dell’associazionismo e di movimento, tra cui uno spazio di salute popolare. Il laboratorio ha costruito una bozza che nei prossimi mesi verrà completata ed illustrata in una forma grafica, tale da renderne i contenuti immediati, semplici e fruibili come risposta a bisogni di salute. Indagando, e cercando di socializzare le pratiche, sulla questione dell’accesso alla salute per le donne migranti si è discusso anche sulle questioni generali legate all’accesso differenziale ai servizi sanitari, che si esprime in base al genere ed alla cittadinanza. Conoscere i diritti è un primo passaggio fondamentale per rivendicarli ed obiettivo del “kit” è esattamente quello di fornire strumenti alle donne affinché possano conoscere il contesto normativo e di servizi in cui si trovano per decidere al meglio sui propri corpi.

La conferenza pomeridiana, dal titolo “Un altro genere: rapporti di forza e superamento delle disuguaglianze”, ha provato a sciogliere i nodi relativi alle modalità con cui un sistema economico fondato sulle diseguaglianze investa il tema della «costruzione del genere». «Dedichiamo la conferenza ad Ayse Deniz Karacagil, combattente turca morta sul fronte siriano combattendo a fianco dei combattenti curdi, ma anche a Jesus Patricio Martinez detta Marichuy, la candidata indigena zapatista alle prossime elezioni presidenziali messicane» dice Francesca Caprini nell’introduzione.

Raffaella Baritono (docente, curatrice di “Femminismo senza Frontiere”) ha focalizzato il suo intervento sulla nascita, a partire dagli anni ’70 e ’80, in seguito alla crisi economica ed ai mutamenti strutturali del capitalismo, del femminismo transnazionale. È in questo contesto che germoglia una differenza tra il femminismo «del nord del mondo», orientato a ragionare sulle identità e sui desideri, e quello «del sud del mondo», che rivendicava fortemente giustizia sociale. Allo stesso tempo nascono connessioni e scambi tra queste due macro-visioni, che hanno trovato un terreno comune nella lotta contro la dimensione riproduttiva del capitalismo. Il movimento femminista transnazionale ha individuato per primo il ridimensionamento del potere degli Stati nazione, appannaggio dei grandi organismi sovranazionali. Lo spazio globale è diventato così l’ambito dove le lotte per i diritti civili e quelle per i diritti sociali si sono ricomposte. L’attuale ripresa del conflitto femminista in tutto il mondo, che ha avuto nella giornata dello scorso 8 marzo una delle espressioni più importanti degli ultimi decenni, ha come retroterra proprio questa intuizione e queste connessioni.

Patrizia Fiocchetti (scrittrice, responsabile area immigrazione di Coop Noncello Pordenone) ha messo in evidenza l’importanza della lotta delle donne nel “mondo arabo”, che rappresenta uno dei motori dell’emancipazione femminile contemporanea. Le combattenti curde del Rojava hanno mostrato al mondo quanto sia fondamentale il ruolo delle donne nei processi rivoluzionari, proprio perché l’accesso alle risorse e la redistribuzione della ricchezza sono diventate parti integranti della loro stessa lotta di liberazione. Il femminismo curdo rappresenta forse la parte più visibile di una ripresa del conflitto delle donne in tutto il mondo arabo, che in questo momento si colloca in una posizione avanzata all’interno di tutto il panorama femminista mondiale. Ma non l’unica. La lotta contro il fondamentalismo islamico, che ha costruito proprio sull’oppressione di genere il proprio manifesto ideologico e religioso, fa sì che «la questione femminile non sia più sociale o culturale, ma rappresenti un terreno riconosciuto di lotta politica».

Intervista a Patrizia Fiocchetti

Il ruolo storico delle donne nelle lotte globali contro la guerra e per la promozione della pace è stato trattato da Luisa Del Turco (docente, referente Centro Studi di Difesa Civile). Nel corso degli anni si  è passati da una funzione meramente umanitaria, «che richiamava in parte il ruolo stereotipato della “crocerossina”», ad una funzione estremamente politica, che è stata riconosciuta anche da una risoluzione dell’Onu del 2000. Questa richiama esplicitamene il “ruolo attivo delle donne nella costruzione della pace”. «Ovviamente ci sono interessi anche di carattere militare dentro questa risoluzione, ma quello che ci interessa è leggere la sua natura politica, che centralizza nella figura della donna un ruolo attivo nei processi di costruzione di pace e che ha avuto il merito di aprire una riflessione mondiale sul rapporto tra dimensione di genere e risoluzione dei conflitti internazionali».

Federico Zappino (filosofo, attivista transfemminista queer) ha provato innanzitutto a risolvere l’equivoco per il quale «se il femminismo viene spesso inteso come un insieme di teorie e lotte che hanno a che fare con l’emancipazione da una serie di oppressioni materiali, la prospettiva trans-femminista-queer viene spesso intesa invece come “meramente culturale”». Talvolta questi nuovi movimenti sociali, emersi tra gli anni ’80 e ’90, sono stati accusati dai teorici del marxismo di aver dissipato il concetto di classe. Questo equivoco si è tramandato fino ai nostri giorni, al punto che siamo soliti leggere la questione della violenza di genere come questione esclusivamente culturale legata al «mancato riconoscimento» (di dignità, di valore, di diritti civili), che nulla avrebbe a che fare con le condizioni materiali di vita. In realtà, l'analisi trans-femminista-queer della violenza di genere può offrire molti strumenti utili alla critica dei meccanismi di produzione e riproduzione del capitalismo. In questo senso, Zappino propone di rifiutare la dicotomia tra l'oppressione culturale e l'oppressione materiale, in favore di un'interdipendenza. L'imposizione di un genere in termini binari ed eteronormativi è infatti l’atto culturale che segna l’origine della vita, la produzione differenziale delle soggettività in termini di privilegio e di abiezione, e, di conseguenza, il principio che presiede alla definizione e alla naturalizzazione materiale di ciò che conta come "produzione" e di ciò che conta come "riproduzione", innestandosi nei meccanismi stessi di divisione del lavoro e di produzione di valore.

Intervista a Federico Zappino