"Niente da dimenticare". Lotta Continua raccontata da Guido Viale

29 / 3 / 2023

Alcune settimane fa, nella sede storica di Radio Sherwood, a cura del centro studi e documentazione Open Memory, è stato presentato il libro Niente da dimenticare. Verità e menzogne su Lotta continua (Edizioni Interno4, 2023) con l’autore Guido Viale, saggista e sociologo soprattutto per le cose sempre molto argute che scrive su tematiche ecologiche, e non solo. Ma Guido Viale è noto anche per essere stato uno dei dirigenti di Lotta Continua, una storia che ha sempre rivendicato come si evince dallo stesso titolo del libro in questione - “Niente da dimenticare” - iconico per certi versi.

La storia di Lotta Continua raccontata da Viale ha un forte connotato torinese, perché ne ricalca innanzitutto lo spirito operaio, fortemente radicato nella grande fabbrica che già negli anni Sessanta stava iniziando a evolversi, a fondersi quasi con la metropoli. Ma in “Niente da dimenticare” emerge anche il carattere nazionale di Lotta Continua, il merito di avere non solo interpretato quel grande cambiamento che aveva scosso la società italiana prima del lungo ’68 e durante, rappresentandone “lo spirito più genuino”, come scrive lo stesso autore. Allo stesso tempo il debito morale nei confronti di quell’organizzazione che in molte e molti hanno, è profondamente legato a un’influenza che si è protratta nel tempo, come ben dimostra la seconda parte del libro, quella che si concentra sulla vendetta dello Stato.

Perché un libro su Lotta Continua in questa fase storica?

Guido Viale, schiettamente, fa presente come il libro doveva uscire durante il 50° anniversario dell’omicidio del Commissario Calabresi, e dunque nell’anno non appena trascorso, il 2022: un anno che, per via delle varie ricorrenze storiche, è stato costellato di rimandi a quegli anni attraverso la miriade di documentari trasmessi e articoli scritti.

Il focus principale della ricostruzione storica era stato dapprima incentrato sull’analisi dei documenti di Adriano Sofri che aveva personalmente seguito i suoi nove processi a carico, con lo scopo di dimostrare la menzogna e la grandissima inconsistenza di quelle accuse.

Quel che fu chiaro subito a tutti fin da subito è che risultava davvero ‘singolare’ attribuire a Lotta continua la responsabilità dell’omicidio di Calabresi, dato che, proprio in quel nevralgico momento storico, l’organizzazione stava per risultare “vincitrice” di due processi fondamentali, tra cui quello intentato proprio dal Commissario Calabresi e quello in cui invece, da persona offesa, Calabresi diventava imputato per l’omicidio di Giuseppe Pinelli, quest’ultimo intentato invece da Licia Pinelli.

C’è una frase dirimente sulla quarta di copertina del libro di Viale, appartenente all’avvocato difensore di Leonardo Marino, ex militante di Lotta continua e accusatore di Sofri, Bompressi e Pietrostefani. Tale avvocato dichiarava platealmente che la condanna di Sofri era stata sicuramente frutto di un equivoco, e che la sua condanna fu dovuta solamente al fatto che avesse difeso la cultura del ‘68.

Ma parlare solo dell’artefatto processo ai danni di Sofri non rendeva giustizia a quegli anni di lotte, mobilitazioni, libertà, di conquista. Ed è per questo che Viale ha inserito nella sua opera di ricostruzione storica differenti materiali, al sol fine di narrare al meglio quel che fu – realmente – quella grande organizzazione

“Prendiamoci la città”, uno slogan che poi – come scrivi – è diventato una “linea politica”.

Lotta continua era presente in tutta Italia ed attraversava eterogenee categorie di persone: dagli operai, agli studenti, ai carcerati. Questo movimento nasce a Torino con l’incrocio di due movimenti di massa, da un lato gli studenti, dall’altro gli operai e le lotte spontanee scatenatesi nelle officine di Mirafiori che all’epoca era una vera e propria grande città, contando infatti oltre 55mila dipendenti.

Il ’68, si può dire che è stato il primo movimento globale dal basso, ma cos’è che ha mosso tutte queste persone? Tutto partì da quella lotta denominata “contro l’autoritarismo accademico”, un antiautoritarismo che però caratterizzava chiunque, investendo fabbriche, caserme, ospedali, tutti inveivano contro quello che era la gerarchia. Neutralizzare la gerarchia significava conquistare uno spazio di libertà nel proprio luogo di studio, di lavoro etc.

Quel che avvenne in quegli anni può essere rinominato come un grande processo di conquista della felicità. Non cercavamo la “libertà di” o la “libertà da” ma la “libertà con”, una felicità pubblica che si acquisisce con una lotta condivisa.

Quasi tutti gli operai presenti a Torino provenivano dal sud Italia o addirittura da altri parti d’Europa. Quel che è certo è che, data la loro condizione migrante, non avevano niente: né casa, né famiglia, né una donna, erano principalmente uomini che vivevano spesso in solitudine e nella disperazione. Lotta continua ebbe il merito di creare un contesto di solidarietà emotiva, fondata sui sentimenti e su una forza ‘amicale’, uno spazio da vivere per tutti e per sentirsi “parte di”. È in questo contesto in cui si colloca lo slogan “Prendiamoci la città” che attraversò all’epoca il movimento di tutta Italia con lo scopo di occupare case, con servizi d’ordine all’opera e utilizzando sovente la forza.

L’interconnessione studenti e operai

Studenti ed operai erano due realtà non antagoniste ma radicalmente diverse: basti pensare come gli studenti universitari erano – per la natura dei loro studi – di per sè proiettati in posizioni di comando, rispetto agli operai. Gli studenti universitari dal canto proprio stavano già vivendo un incontro tra uomini e donne, mentre invece gli operai erano fondamentalmente solo e solamente uomini.

Gli studenti portavano senza dubbio ad enorme meraviglia e curiosità negli operai.

Gli studenti e le studentesse arrivavano ai cancelli delle fabbriche e, dall’altro lato, gli operai si raccontavano. Il senso di appartenenza faceva sì che tutti si sentissero meno soli, con tale opera di socializzazione Lotta continua diventava forte, nonostante una struttura organizzativa alle spalle davvero ‘debole’.

C’è chi ha descritto Lotta continua come “uno stato d’animo”, una frase che teneva a sottolineare l’inconsistenza organizzativa più che a tesserne le lodi. Tuttavia, non può che essere una descrizione veritiera di quello che fu.

Lotta continua e la controinformazione

Il giorno dopo la strage di Piazza Fontana, Lotta continua era davanti le fabbriche ad effettuare volantinaggi e fare informazione adeguata su quel che era realmente successo. Non è un segreto infatti che quando è arrivata la notizia della strage, molti operai esclamarono “Era ora”, perché quell’avvenimento, in un contesto di fibrillazione politica, rappresentava un momento di sfogo contro il padrone.

Lotta continua lavorò molto anche per spiegare e creare controinformazione ai giornali che narravano mistificazioni. L’informazione scorretta è soprattutto frutto degli anni 70, a partire dalla definizione “anni di piombo” che proveniva da una prescrizione in tedesco atto a significare “anni plumbei”, anni scuri.

Soltanto negli anni ‘80 si cominciò a specificare che quegli anni dovevano dividersi idealmente in due parti: da un lato gli anni del tritolo dato che, fino al 1974, vi era una strage all’anno ad opera dei fascisti con appoggio di servizio segreti (le persone orbitavano nell’MSI di Almirante, ex direttore del giornale La difesa della Razza, dalla quale poi è discesa Alleanza Nazionale e oggi Fratelli d’Italia). Curioso come le persone oggi al Governo sono gli eredi della strategia stragista.

Nel 1974, dopo l’assassinio di due funzionari dell’MSI, si fanno cominciare gli anni di piombo, anche se, nella storiografia ufficiale, tutti i 12 anni del periodo sono stati unificati in anni di piombo.

La vendetta di Stato

Lotta continua fu immediatamente identificata come colpevole dell’omicidio Calabresi. Ma il tentativo di compromettere l’organizzazione iniziò anche prima del 1972 (anno della morte del Commissario), quando la procura di Milano aveva cominciato ad accumulare decine di testimonianze false od illegali anche sfruttando la cd. stagione dei pentiti, in cui tanti - per ridurre la propria pena - accusavano falsamente i compagni. Fu la stessa Corte di Cassazione, tuttavia, a dichiarare tali atti di indagini non ricevibili.

Il tema dell’ambientalismo e i limiti dei movimenti degli anni ’60 e ’70.

Infine, l’ambientalismo non era un tema centrale di Lotta continua, tutt’al più si parlava di nocività della fabbrica e della nocività stessa di stare in fabbrica. In giro per il mondo c’erano all’epoca degli studiosi e degli scrittori che avevano affrontato il tema ambientale in maniera più radicale, ma per tutto il tempo che questi movimenti erano attivi e creativi in Italia, l’ambientalismo è stato del tutto trascurato e tenuto ai margini. L’esempio maggiore da fare sta in Alex Mangher, un militante straordinario alla quale era affidata la capacità relazionale con gli altri movimenti che non aveva mai messo in discussione il tema ambientale. Dopo Lotta continua, però, è diventato uno dei maggiori ambientalisti in campo europeo.

Era quindi non un limite personale ma probabilmente dell’organizzazione stessa, che distoglieva lo sguardo da date tematiche.

La cultura del ‘68 era esclusivamente antropocentrica, e forse addirittura androcentrica, soprattutto per l’apporto operaio che era esclusivamente maschile. Quello che veniva teorizzato, in termini ideologici e teorici Marxisti leninisti, era la lotta contro l’autoritarismo, una lotta che per sua natura era contro il potere, in un orizzonte che vedeva solo il rapporto tra gli esseri umani in cui il mondo esterno non esisteva se non come mero sfondo.