Da Comune-info

Mettere in comune la cultura

Si chiama #apparecchioper ed è una rete di saperi e di mezzi per la produzione culturale messa su da spazi come Macao (Milano), Sale Docks (Venezia) e L’Asilo ex-Filangieri (Napoli), ma di fatto ramificata su tutto il territorio italiano.

10 / 3 / 2014

Chi lo ha detto che non è possibile sperimentare relazioni diverse, hanno pensato i promotori, non fondate sulla competizione, l’isolamento, l’alienazione e la mercificazione del lavoro? La loro capacità di “mettere in comune” il fare teatro, musica, cinema, ma anche biblioteche, laboratori artigianali e autoformazione è già uno straordinario laboratorio culturale aperto, in cerca ora di sostegno.

Come fai se vuoi costruire una sala prove, una sala cinema, un’area di coworking, un laboratorio serigrafico, un palcoscenico, e qualsiasi altra cosa ti serva per lavorare? Hai bisogno come minimo di attrezzature, spazi, energie, competenze, idee, tempo, soldi. Partendo da zero, sembra impossibile. Forse, ti sarebbe d’aiuto un #apparecchioper parlarne con altre persone, far circolare conoscenze, mettere in comune mezzi di produzione, entrare in relazione: insomma, trovare o inventare i pezzi mancanti e gli spazi dove mettere in atto e condividere i tuoi desideri. Da qui, ossia dai bisogni concreti di lavoratrici e lavoratori della cultura e delle arti contemporanee, prende avvio la costruzione e l’attivazione di una rete di saperi e di mezzi di produzione innescata da centri di ricerca e di arte indipendenti e ramificata non solo sul territorio italiano, con alcuni caposaldi come Napoli, Catania, Palermo, Roma, Venezia, Milano, ma connessa a realtà di movimento e collettivi artistici che operano a livello transnazionale.

#apparecchioper –aprire –da-di-sotto è il progetto di una piattaforma on line e off line che amplifica e potenzia queste pratiche condivise, proposto dai centri di ricerca e di arte indipendenti S.a.L.E. Docks a Venezia, L’Asilo a Napoli e Macao a Milano, e selezionato tra i primi quaranta progetti per la seconda edizione del premio di 100.00 euro per la cultura Che Fare2 indetto da Doppiozero). Questi spazi sono luoghi di produzione artistica in continua trasformazione, accessibili liberamente, attraversati da percorsi teorici e pratiche condivise di ricerche e di sperimentazioni che intrecciano diversi ambiti della cultura e del lavoro, dall’arte performativa alla musica, dal teatro al cinema, dall’architettura alla letteratura, dall’economia alla pedagogia, inserendosi nel tessuto urbano come catalizzatori di socialità attivate da nuove forme di creatività e coproduzione dove confluiscono i molteplici linguaggi delle arti contemporanee.

Cultura: messa in comune dei mezzi di produzione

Qui progetti, seminari, produzioni artistiche e performative sono la messa in atto di processi di partecipazione aperta, basati sull’auto-organizzazione, sul confronto assembleare e sulla condivisione sia dello spazio, e della cura costante che esso comporta, sia dei mezzi di produzione e del loro potenziamento. Le forme aperte di condivisione e di progettazione, nonché i temi politici affrontati nelle pratiche e nei processi di teoria-azione, hanno allargato il ventaglio della discussione e incrementato la messa in comune di competenze e strumenti, estendendosi oltre confine. La trasversalità dei contenuti, delle esperienze e dei linguaggi, ha messo a nudo le ragioni dei conflitti aprendo il confronto sul campo anche a enti di ricerca e istituzioni culturali, dai musei alle università, dando vita a tavoli di discussione allargata che coinvolgono centri sociali, comitati di quartiere, associazioni, e singoli abitanti. L’intento, spiegano in questi spazi sociali e culturali, è scardinare le logiche verticistiche che hanno portato all’erosione dei diritti di cittadinanza attiva, favorendo il dilagare di una crisi sociale, prima ancora che economica, imposta dal sistema capitalistico fondato sulla competizione, l’isolamento, l’alienazione e la mercificazione del lavoro come valore di scambio piuttosto che valore d’uso.

Del resto, la storia dei centri di cultura e di arte indipendenti e del loro “fare-rete” ripercorre le mobilitazioni e le lotte per la restituzione del territorio alla dimensione pubblica dell’abitare che, attraverso la liberazione di spazi dismessi, cosiddetti “vuoti urbani” o “spazi bianchi”, sedimenti della storia e dell’architettura di una città, lasciati a deperire o sottratti all’uso pubblico dalla speculazione edilizia e finanziaria, innova le pratiche di riuso come processo bottom-up che produce cultura attraverso l’auto-organizzazione del lavoro.

Accade a Milano, Napoli e Venezia

Macao si manifesta alla città di Milano con la liberazione della Torre Galfa, eccellenza dell’architettura moderna del dopoguerra e simbolo dello sfruttamento pecuniario del territorio milanese, in disuso e congelata da oltre un decennio nel patrimonio immobiliare della famiglia Ligresti. Qui sono nati i tavoli di studio, di lavoro e di sperimentazione sui diversi linguaggi delle arti contemporanee, oggi attivi nello spazio dismesso dell’ex-Borsa del Macello in via Molise 68, en edificio esemplare del Liberty a Milano, situato in un quartiere ad alta densità abitativa, molto diversificata per culture, condizioni di lavoro e di reddito, un tempo zona annonaria della città, non lontana da quell’area ancora incolta dove avrebbe dovuto trovare compimento il progetto della BEIC (Biblioteca europea di informazione e cultura).

 

L’ex Asilo Filangieri a Napoli (foto, incontro con Wu Ming 1, ottobre, 2013), ex sede del Forum delle Culture, dal 2 marzo 2012 è uno spazio aperto dove lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale danno vita a un centro di produzione culturale, mettendo in pratica una diversa fruizione del bene pubblico, non più basata sull’assegnazione ad un determinato soggetto privato, ma aperto a tutti quei soggetti che lavorano nel campo dell’arte e della cultura e che, in maniera partecipata e trasparente, attraverso un’assemblea pubblica, condividono i progetti e coabitano gli spazi.

 

S.a.L.E. Docks è uno spazio indipendente per le arti visive e sceniche nato a Venezia nel 2007 da un gruppo di attivisti provenienti dall’esperienza dei centri sociali, che si sono riappropriati dei Magazzini del Sale, da tempo in disuso nel cuore di Venezia, per rovesciare i processi di privatizzazione del bene comune artistico, ponendo l’accento sugli interrogativi che oggi riguardano le relazioni tra lavoro/cultura/economia. Perché a grandi capitali investiti nella cultura corrisponde una precarietà endemica? Perché ad una radicalità sempre più spesso rappresentata non consegue alcuna trasformazione reale? Perché arte, finanza e rendita immobiliare sono così fortemente intrecciate?

Teatro, musica, cinema, biblioteche, laboratori artigianali, autoformazione e creative commons

La rete dei centri di produzione artistica indipendenti è un’alternativa concreta alla crisi del lavoro e della produzione culturale proprio perché è fondata sulla riappropriazione di spazi comuni, sul mutualismo, la cooperazione, il libero accesso e la condivisione delle conoscenze. In questi spazi sociali viene proposto ad artisti, musicisti, ricercatori, studenti, cineasti, teatranti… di accedere liberamente negli spazi attrezzati per incontrarsi, progettare, realizzare e condividere l’esperienza del proprio lavoro. In molti di questi spazi coesistono e si intersecano teatro, danza, musica, cinema, archivi e biblioteche, laboratori artigianali, autocostruzione per abitare, autoformazione e creative commons. In un momento in cui l’accesso alla cultura come diritto e welfare è sempre più limitato anche dalle politiche pubbliche, la rete è il luogo dove le persone si auto-organizzano per garantire in modo cooperante il diritto a conoscere e a esprimersi.

Ma come funzionano in pratica l’accesso e l’uso dello spazio e degli strumenti e quali sono le ricadute effettive sul lavoro? Con il libero accesso e la messa in comune di attrezzature, spazi, allestimenti, competenze, se si desidera produrre qualcosa, si ha il vantaggio di abbattere parte dei costi e aumentare i redditi diretti. Sulla piattaforma è possibile verificare se vicino ci sono spazi aderenti al progetto messi a disposizione gratuitamente. Oppure se c’è uno spazio che dove essere ospitato in residenza. O se c’è uno spazio dove predisporre una sala prove. Ma non finisce qui. I lavoratori promuovono anche iniziative di cooperazione che amplificano le potenzialità della rete come strumento di distribuzione e circuitazione delle produzioni, di raccolta fondi e di visibilità di opere e progetti. In questi spazi inoltre si moltiplicano le proposte e le iniziative, si discute su come fare fronte alla manutenzione e alla programmazione, si è sollecitati a riconsiderare il tempo del lavoro e del non lavoro in rapporto al territorio, andando a ricomporre una riflessione per ripensare collettivamente all’abitare e alla trasformazione del tessuto urbano come bene comune.

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SCHEDA: VOTAZIONE ON LINE

#apparecchioper-aprire-dal-di-sotto è dunque il titolo di un progetto di piattaforma on-line e off-line per garantire e sviluppare l’accesso a questo modo di produrre che Mcao sta già praticando con Ex-Asilo Filangeri di Napoli e Sale Docks di Venezia, tramite lo sviluppo di una rete come luogo e strumento di coproduzione, dove mettere a disposizione le proprie competenze, scambiandosi conoscenze, pratiche e mezzi, attraverso l’attivazione di banche del tempo e di nuove forme di economie.

Premio per la cultura Che Fare2. Fino al 13 marzo è aperta una votazione on-line per sostenere i progetti in gara. Invitiamo tutti a supportare Apparecchio per aprire dal di sotto: è sufficiente porre il proprio nome cognome e indirizzo mail all’indirizzo: http://www.che-fare.com/progetti-approvati/apparecchio-per-aprire-dal-di-sotto/ e confermare il voto con una mail di conferma. Oltre all’opportunità di vincere un premio in denaro, utile a rafforzare la costruzione del nostro progetto, crediamo che sia importante sostenere con questo premio l’idea di ricomposizione sociale e di produzione culturale che attraversa i centri di ricerca e di arte autogestiti

Tratto da Comune-info