Linea 77, dieci anni di avventura "Ma l'Italia non dà spazio al rock"

"Compleanno" per la band torinese, 4 date in Italia e poi a Los Angeles "La nostra musica non riesce ad avere la dignità di arte e di cultura, è disarmante"

12 / 10 / 2009

C'E' una band che difende, da dieci anni, il rock italiano e sono i Linea 77. Una band che difende il rock con energia, coraggio, determinazione e forza, producendo dischi contro tutto e tutti, contro le radio che non trasmettono il rock, i giornali che non ne parlano, la televisione che lo ignora. Dischi di rock, duro, forte, potente e originale, che hanno fatto guadagnare ai Linea 77 un notevolissimo seguito di pubblico, in Italia e all'estero, che sostiene e spinge la band a continuare sulla sua strada. Ora i Linea 77 celebrano i dieci anni della loro avventura, iniziata il 29 settembre 1999, quando uscì "Too Much Happiness", il primo album della band torinese, e da quel giorno la loro voglia di suonare - dal vivo e in studio - non sembra davvero conoscere crisi.

I cinque musicisti torinesi - per celebrare quella fatidica data - partiranno in dicembre per una mini tournée di quattro date: il 10 dicembre al Circolo Magnolia di Segrate, l'11 alla Stazione della Birra di Roma, il 19 al Centro Sociale Pedro di Padova, per chiudere il giorno seguente a Cirié, proprio vicino alla loro Torino, per una data al Taurus. I concerti avranno una setlist davvero particolare, che ripercorre tutte le canzoni del primo album, senza tralasciare (ovviamente) i più grandi successi della band.

D'altra parte, proprio in questi giorni, i Linea stanno partendo, destinazione Los Angeles, per registrare il nuovo album - ancora avvolto nel mistero - che vedrà alla produzione quel Toby Wright (produttore di Alice in Chains e Korn) già al lavoro sull'ultimo LP di successo "Horror Vacui". In più, proprio a L. A., Dade, Tozzo, Chinaski, Nitto e Emo si concederanno una pausa dallo studio di registrazione il 16 di ottobre per un concerto al Jane Fonda Theatre all'interno di (H)it Week L. A., la sei giorni di musica, cinema, moda, design, cibo, Dj set e feste nel nome della migliore tradizione dello stile di vita italiano. A novembre, invece, sarà la volta di Londra, dove il gruppo salirà sul palco dell'"Underworld", storico locale rock/metal/hardcore/punk di Camden Town, giovedì 19.

Come vi apprestate a celebrare il vostro decennale, in una situazione come la nostra, da rock band che vive e lavora in Italia?
"Ci apprestiamo alle celebrazioni con speranza e disillusione, la parte più intima del nostro cuore non si è ancora lasciata intaccare dal degrado che abbiamo attorno, anche se un certo avvilimento di fondo c'è. Nel nostro nuovo album, ovviamente, ci sarà tutto questo, come abbiamo sempre fatto, negli anni abbiamo cantato un po' di cazzi nostri e di molte cose che andavano sottolineate, pensavamo che il fondo l'avessimo toccato, ma non è vero".

La "missione" dei Linea 77 è cambiata?
"Abbiamo una duplice missione, intrattenere, anzi emozionare, e far ragionare chi ci ascolta, e continuiamo a farlo. La musica deve veicolare le cose che chi la crea vuole dire, che sia un messaggio politico o un racconto di una storia. E' naturale che viviamo in un paese difficile per chi vuole fare l'artista. E' sconvolgente sentire le parole di Brunetta sul Fus, l'invito a Bondi a ucciderli tutti, è disarmante vedere come la musica rock non riesca ad avere la dignità di arte, di cultura e non bene di consumo. E in questo senso è paurosamente miope in termini di investimento sul paese sottovalutare l'arte e lo spettacolo, non considerare la musica. I paesi del Nord Europa, la Francia, non solo l'Inghilterra, stimolano la fruizione di musica perché è un indotto, può fare bene all'economia nazionale, anche in termini di posti di lavoro".

Nonostante non ci siano radio o tv che trasmettono rock, nonostante non sia considerato cultura, nonostante non ci sia un mercato, voi andate avanti...
"Credo che sia una conseguenza del fatto che siamo una band vecchio stile, ci siamo fatti tutta la gavetta e siamo contenti così. Gran parte della nostra costanza dipende anche dal fatto che siamo prima usciti all'estero, due anni in Inghilterra, dove eravamo entrati nella classifica indie di New Musical Express, c'eravamo esibiti al festival di Reading. L'Italia ci ha scoperti dopo, noi abbiamo avuto il privilegio e la fortuna di assaggiare un vero sistema musicale come quello inglese, è stato motivo di forza contro ogni scoramento, è la scintilla, la fiamma che ci spinge a continuare, ad avere la forza di andare avanti".

Anche nell'Italia dei talent show?
"Ma si. Giovani italiani che seguono la strada che abbiamo fatto noi ce ne sono e continuano ad esserci, sono missioni appese a una concomitanza di fattori che sono fortuna e impegno. Il fatto è che per i ragazzi di oggi non c'è una condizione di partenza favorevole o piatta, ma solo pesantemente sfavorevole. Non siamo contro i talent show, ma è curioso che si stia cercando di istituzionalizzare un percorso come quello. Non voglio criticare tutto, ma non può passare l'idea che vale di più un colpo buono con il quale risolvere tutto, preclude ogni genere d'approccio normale, quello di suonare, fare gavetta, andare in giro il più possibile anche perdendoci dei soldi. Invece il talent è la botta di culo, vai con diecimila altri e se quel giorno hai culo ti cambia la vita, non è molto distante dal Grande Fratello, però almeno nei talent show c'è un minimo di merito, almeno cantano e sono appetibili da un punto di vista televisivo. Ma è un ribaltone gigantesco rispetto a come è nata e cresciuta la musica che, nonostante in troppi se ne dimenticano, è una forma di cultura e di arte".

Dove sono diretti i Linea 77.
"Verso una maturazione, è un processo che è in corso. Questo è il nostro settimo album, e forse è vero che viaggiamo verso un ammorbidimento. Ma la parola ammorbidimento forse non è giusta, perché stiamo muovendoci verso una maggiore ricerca di emozioni diverse. Del resto non siamo mai riusciti a fare un pezzo lento, forse non ci riusciremo nemmeno in questo album, abbiamo la sindrome dei 160 bpm. Ma ci rendiamo conto che è un limite autoimposto, perché hai cominciato nel centro sociale davanti a cinque persone, e pensi che ci si debba vergognare se si scrive una canzone d'amore. Ma noi siamo cresciuti, siamo diversi da quelli che eravamo dieci anni fa e tutto questo, credo, si sente nella nostra musica di oggi. Ed è un bene che sia così".

Tratto da: La Repubblica del 12.10.09