L’arte irrompe nel
mondo come una sorta di epoché: non si tratta di sospensione del
giudizio, né di un dubbio metodico, ma di una vera e propria
interruzione del vedere e del sentire abituali. E proprio in questa
logica dell’estraneità negli Emirati dove, tra
due fiere dell’arte e la Biennale di Sharjah, è stata presentata Gerusalemme capitale della cultura araba, iniziativa promossa dall’Unesco e affidata per il 2009 all’Autorità nazionale palestinese.
Negli stessi giorni, l’annuncio del primo padiglione degli Emirati Arabi alla 53. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia: It’s not you. It’s me.
Un doppio titolo, per un’affermazione paradossale, che stravolge la
forma di ospitalità allo straniero, forma che viaggia perpetua tra
l’ospite legittimo, parassita o clandestino. E ancora forma di
conflitto, tristemente rappresentata dal sequestro della torcia che
segnava il passaggio da Damasco a Gerusalemme, da parte dell’esercito
israeliano.
Il Padiglione UAE è un segno molto importante del tempo in cui
viviamo. Si parla infatti del primo padiglione arabo generatosi nel
giro di pochissimi anni, frutto di una strategia culturale e sforzo
collettivo, mirato a rappresentare un’identità nazionale.
Ma di quale identità si parla? Sono 200 le nazionalità residenti negli
Emirati che contribuiscono alla formazione di questa nuova identità
culturale e panorama d’arte e di mercato. Un volto sfaccettato e
riflesso nei mille piani dei grattacieli che a loro volta rispecchiano
flussi economici e migratori. Per il mondo dell’arte, la scena più
interessante confluente nel Golfo è quella migrante dall’Iran.
Il primo padiglione degli Emirati Arabi alla 53a Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia
L'Arte Politica dell'Ospitalità (Teheran, Dubai, Venezia)
22 / 7 / 2009