La rivoluzione non muore mai: Come morì Gabriel Aureliano Márquez e il suo funerale.

18 / 4 / 2014

Noi inventori di favole, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non è ancora troppo tardi per intraprendere la creazione di una nuova e devastante utopia della vita, dove nessuno possa decidere per gli altri addirittura il modo in cui morire, dove davvero sia certo l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cento anni di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla terra”

( Gabriel García Márquez)

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Nessuno rimase veramente stupito dalla morte di Gabriel Aureliano Márquez.

Aveva 87 anni era vecchio e malato, non faceva l’amore da almeno 5 anni. Aveva inventato 1635 favole, combattuto in 32 rivoluzioni di cui una sola aveva vinto, scritto 745 sceneggiature per il teatro, visitato 389 cascate in non meno di 140 paesi di diversi, provato almeno 23.400 tipi di empanada, amato 77 donne.

Quando in città si seppe della morte di Gabriel Aureliano Márquez tutti si dispiacquero, perché era un uomo buono e colto; così dicevano i vecchi.

Soltanto Don Esteban Pinera Brandellero e il cura non andavano piangendo e parlando con gli altri della dipartita di Gabriel Aureliano Marquez nelle polverose piazze e nelle taverne della città e persino i cani ne erano meravigliati.

Il cura non gli perdonava il ’10, il ’59 e il ’79,  ma soprattutto si ricordava troppo bene di quando Gabriel Aureliano Márquez lo aveva messo in scena come uno dei suoi personaggi al banchetto delle marionette di Melquiades,per l’intera semana santa, rappresentato con la bibbia nelle mani, i calzoni calati e un pene porpora mostruosamente lungo e nerboso.

Don Esteban Pinera Brandellero invece, venne visto la sera che piangeva segretamente davanti alle sue scuderie. Lo vide Soledad e non lo disse a nessuno; solo all’asino lo disse, mentre incredula lo spiava dalla porta di lamiera, supplicando i demoni di farlo soffrire a lungo.

Piangeva perché Gabriel Aureliano Márquz aveva ragione.Perché anche lui era un vecchio, solo e stanco, e perché un mondo senza nemci era come una vergine nuda e unta di jojoba e rosa mosqueta in una notte di carnaval che non poteva essere accarezzata.

Il funerale, la notte, fu grandioso.

Il pisco e  il pulque Oaxaqueño di Dona Rosa li fecero ballare per 3 giorni e 3 notti. Le scuole vennero chiuse, la chiesa pure.Gli animali vennero tutti ammazzati e nessuno mangiò carne per i 10 anni succesivi. In tutti i paesi e le Repubbliche vicine si parlò di un fiume di sangue e interiora che scorreva per le strade di una città.

Ramon, il figlio del Colonello Veléz, quella notte prese quasi tutte le vecchie e le donne vedove della città e da tutte ebbe un figlio maschio e li chiamarono tutti Gabo, per ricordare Gabriel Aureliano Márquez e distinguerli dai figli di Ternura.

Nessuno rimase davvero stupito dalla morte di Gabriel Aureliano Márquez.

Solo quelli del Barrio Cruz che avevano nascosto le uniformi e le bandiere rosse e nere ed erano andati a a lavorare nella finca di Don Esteban Pinera Brandellero, che li pagava bene,  e non venivano in città se non per un po’ di carne salata o il giornale, ecco loro non credettero alle loro orecchie e ai loro occhi quando lo videro dentro la camera ardente, Gabriel Aureliano Márquez, con la cravatta e il fazzoletto nel taschino.  E impazzirono di dolore e non volevano più mangiare né bere, come succede a tutti quelli come loro, perché solo chi ha smesso di sognare, ecco che la nostalgia lo uccide e gli secca gli occhi e il cuore, come la polvere sulla caretera per Ocosingo.

Melquiades