La rete è uno spazio di libertà

Intervista a Luca Neri*

26 / 3 / 2009

Il tuo libro “La baia dei pirati” da poco uscito in Italia per Cooper edizioni, riporta un lavoro di ricerca e documentazione svolto tra Italia, Svezia e Stati Uniti sul fenomeno del downloading, il file sharing e sulla “proprietà intellettuale”. Da dove sei partito?
Gli spunti sono stati due: il primo è uno studio della Sisco che ho notato circa un anno fa ripreso di recente dal NewYork Times, secondo il quale due terzi del traffico internet sono generati oggi da protocolli p2p. Questo mi ha stupito un po' perché se si va un attimo a guardare come la gente usa il p2p, nella maggioranza dei casi lo usa per scaricare materiale protetti dal copyright, non sempre, ci sono delle eccezioni ovviamente. E' una tecnologia neutra che può essere usata anche per scaricare distribuzioni Linux o materiali con licenze Creative Commons e tante altre cose. Però nella realtà dei fatti questo studio sembra confermare che la pirateria e il p2p sia l'applicativo più popolare su internet. Questo è un argomento di cui si parla poco perché se sulle strade due terzi delle macchine in circolazione fossero malviventi che fuggono da una rapina finirebbe sulle prime pagine di tutti i giornali, invece su c'è un certo silenzio. Quindi mi è nata questa curiosità di indagare un po'. La seconda cosa che mi ha stimolato è stata invece l'esperienza di “The pirate bay” un sito in svedese che serve proprio da motore di ricerca per scaricare materiali. E anche qui, nuovamente in molti casi protetti da copyright e che è diventato nel giro di pochi anni uno dei cento siti più trafficati di internet.

Il titolo del tuo libro è ispirato all'esperienza del sito di The Pirate Bay. Proprio in questi giorni tra l'altro si è celebrato in Svezia il processo ai tre ragazzi che hanno inventato questo sito. La sentenza è attesa per il 17 aprile. Quello di pirate bay è un caso molto importante ricorda un po' quando ci fu Napster e tutto iniziò.
Sì, però con una grossa differenza. Napster era nato come un progetto hacker : il ragazzo che si era inventato questo modo di scambiarsi i file veniva da ambienti dell'underground, scena che qualche volta agiva anche in maniera illegale. Ma quell'iniziativa era stata presa in mano da un suo zio che era un imprenditore, di conseguenza era diventato un business commerciale.
Quando i giudici di San Francisco decisero che questo sistema di scambio di file tra privati era qualcosa che violava il copyright ci fu un pronunciamento di un tribunale che chiedeva che fossero sospese queste attività. Ovviamente come un qualsiasi buon imprenditore chi stava dietro a Napster decise di tirare i remi in barca e chiudere tutto. Nel caso di “The pirate bay” abbiamo invece un collettivo di ragazzi molto giovani, che nel 2003 crearono questo sito con l'intento di lanciare una campagna di disobbedienza civile contro quelle che loro considerano delle norme oggi inadeguate come quelle che regolano il copyright.
Siamo di fronte a una realtà molto diversa perché in Svezia è nata un realtà politica: questi sono ragazzi che hanno già detto che non si fermeranno anche se saranno condannati – anche se essendo incensurati è molto difficile che vengano messi in galera - in ogni caso dicono: “noi abbiamo sparpagliato i server per tutto il mondo e non abbiamo intenzione di chiudere il sito. Anzi vogliamo creare il maggior clamore possibile, perché crediamo che le normative vigenti siano incompatibili con la libertà delle reti.

Sono passati anni da napster e i tentativi di reprimere il fenomeno messi in campo – e sono stati veramente tanti - non hanno funzionato. Come mai secondo te?
Una ragione molto semplice è che se guardiamo all'architettura dell'internet, proprio la sua architettura tecnologica, è nata come rete di p2p, una parola inglese che vuol dire pari, qualcuno che ha i tuoi stessi diritti e doveri o comunque un insieme di persone che sono eguali tra loro.
La maniera con cui internet funziona è proprio quella che i protocolli di base che permettono la circolazione dei dati in rete non fanno discriminazioni tra tutti i computer che si collegano, tutti i computer dal punto di vista tecnico sono uguali tra loro, non importa se sono potenti oppure no, non importa se dietro c'è una grande multinazionale oppure semplicemente un ragazzino, non importa se girano col sistema operativo Windows, Linux oppure con i sistemi della Apple. Questa struttura così decentrata così, se vogliamo, democratica, è quella che ha permesso l'incredibile crescita di internet. Perché permette la comunicazione diretta fra gli individui che stanno dietro a ognuno di questi computer senza il bisogno di un sistema centrale di vertice. Non bisogna chiedere il permesso a nessuno e proprio per questo è possibile farci girare sopra ogni sorta di applicativi, ogni sorta di dati. Quindi è molto difficile proprio da un punto di vista tecnico andare a bloccare questi fenomeni in cui gli individui fra di loro, senza fini di lucro in modo privato, si vogliono scambiare delle cose.
L'unica maniera sarebbe quella di andare a controllare dentro ad ogni pacchetto di dati che gira in rete che cosa c'è. Ovvero sia istituire dei sistemi di censura preventiva, molto simili a quelli che esistono nei paesi totalitari come la Cina, come i paesi arabi, questo da un punto di vista tecnico forse si può anche fare, ma vorrebbe dire buttare via tutto il potenziale della rete come lo conosciamo oggi. Un potenziale enorme basato su questo principio di libertà.
Mi chiedo: vale la pena per salvare delle industrie che forse ormai hanno raggiunto il loro tempo e sono state superate dalla storia e dal progresso della tecnologia, e buttare via tutto questo immenso potenziale? Io credo francamente che sarebbe l'ora di aprire un dibattito un pochino più onesto su questi temi invece di dire semplicemente che i pirati sono dei ladri come racconta la propaganda che vediamo al cinema o che vediamo sui giornali quando le multinazionali dell'audiovisivo fanno delle campagne d'opinione.

Ultimamente ci sono state alcune dichiarazioni fatte al Midem di Cannes, da alcuni rappresentati delle case discografiche inglesi, che parlano di resa di fronte a questi fenomeni. Nel tuo libro poni la questione in modo forte: scaricare dalla rete è giusto.
Il problema secondo me è abbastanza semplice, tutte le volte che arriva una nuova tecnologia ci sono dei settori industriali che si trovano in difficoltà. Quando è stata inventata l'energia elettrica chi produceva candele si è trovato in difficoltà, perché c'era qualcosa di molto meglio per poter illuminare le case. Quando è nata l'automobile tutto quello che era il circuito che serviva per permettere alle carrozze ai cavalli di portare le persone in giro è diventato obsoleto, quindi mi sembra abbastanza normale che di fronte al progresso della tecnologia ci siano delle industrie che vengono sorpassate, che ad un certo punto non hanno più ragion d'essere.
Oggi gli intermediari della cultura come appunto i grandi gruppi editoriali, le multinazionali discografiche, le major di Hollywood sono in difficoltà perché internet e le reti digitali in genere permettono alla gente di scambiarsi, di comunicare direttamente fra loro saltando questo intermediario. Un artista del passato, un musicista ad esempio, non aveva la possibilità di comprarsi e mettersi in garage una pressa fonografica per fare dei dischi, perché costava delle cifre che richiedevano necessariamente l'intervento dell'imprenditore che si prendesse carico poi di stampare questi dischi e di distribuirli. I costi vivi erano inevitabili perché il disco ha bisogno di essere trasportato con dei camion, ha bisogno di essere venduto in un negozio, c'è bisogno di pagare un commesso e via dicendo.
Oggi invece le reti ci permettono una circolazione praticamente istantanea a costi vicini allo zero a livello addirittura planetario. Siamo di fronte ad un enorme opportunità per la circolazione di tutto il sapere, di tutto lo spettacolo, di tutta la cultura e credo che questa opportunità andrebbe abbracciata. Quando questi ragazzi in Svezia o in tanti altri paesi dicono che scaricare è giusto e ne fanno una questione di diritti civili è perché loro già vivono nel futuro, già guardano davanti, non sono pronti a tollerare di bloccare
questo progresso semplicemente perché gli interessi di alcune industrie sono messi in pericolo.

Sembra che dal basso i milioni di utenti che in questi anni si sono dedicati al p2p in qualche modo abbiamo travolto il concetto di proprietà intellettuale. Si può parlare di una grande riappropriazione dal basso?
Il concetto di proprietà intellettuale se andiamo a guardarlo con uno spirito aperto ci rendiamo conto che è un concetto molto recente. La cultura è vecchia forse di 10.000, 20.000, 30.000 anni, va indietro fino alle origini della civiltà umana, mentre invece il copyright è qualcosa che esiste da un paio di secoli. E' arrivato proprio con l'era industriale ovverosia con la possibilità di una riproduzione meccanica dell'opera di ingegno e tutto il discorso sulla necessità di un imprenditore che si prendesse carico di un certo tipo di investimenti. Quindi l'idea che non si può vivere senza copyright è assolutamente assurda, perché abbiamo visto che per migliaia di anni il copyright non c'era eppure la creatività andava avanti lo stesso. Gli artisti sono gente per natura creativa e quindi trovavano altre maniere per essere compensati, diverse da quella di un pagamento di una royalties.
Credo che oggi dal basso ci sia,f orse non la consapevolezza, ma la tendenza a vedere che questo modello di sviluppo economico è superato, il pericolo è proprio quello che a livello politico c'è chi invece queste cose le capisce molto meno. In Italia oggi abbiamo una serie di proposte di leggi liberticide che vorrebbero mettere il bavaglio a internet con la scusa della protezione del copyright, ammantando tutta una serie di presunti pericoli che vanno dal terrorismo, alla pedopornografia, alla diffamazione.
Dall'esperienza che viene dalla Svezia ci si rende conto che il popolo del p2p ha un potere molto più grande di quello delle multinazionali dell'audiovisivo. Stiamo parlando di milioni di persone che scaricano, questi milioni di persone sono anche degli elettori e dovrebbero cominciare a far sentire la loro voce. In paesi dove questo è successo ecco che improvvisamente il punto di vista dei politici è dovuto cambiare, perché si sono resi conto che le persone che loro rappresentano la pensano in modo diverso.

Leggendo il tuo libro mi ha colpito l'intervista a Rasmus Fleischer di Piratebay e in particolare lui dice: vorremmo che il dibattito uscisse dai confini stretti in cui si trova bloccato, con tutta l'attenzione concentrata solo su chi copia, cosa, quanto. Parlare di copyright, invece, dovrebbe spingerci a parlare di cosa vogliamo, come società, che la tecnologia possa fare, di come vogliamo che i network si possano evolvere nel futuro, di cosa è diventata oggi l'opera d'arte, e di che ruolo vogliamo per la cultura». Questo sia centrale: il dibattito si concentra solo su come arginare il fenomeno non su come indagarlo e capirlo. Credi che siamo finalmente a un punto di rottura?
Questi sono dei temi legati a concetti tecnologici e tante persone fanno fatica a capire. La neutralità della rete può sembrare un concetto astratto e una persona normale può dire “a me cosa importa? io queste cose francamente le capisco poco”. In realtà dietro al problema del copyright c'è una serie di temi che sono estremamente importanti per il futuro di quella che è la comunicazione in generale, dell'informazione e della società.
Siamo in un momento storico in cui masse di miliardi di persone si affacciano sulla scena economica, politica e sociale per la prima volta con la capacità di poter leggere e scrivere. Stiamo andando verso un mondo dove anche nei paesi sottosviluppati un educazione di base ce l'hanno tutti e avere delle reti che permettono agli individui, per la prima volta nella storia dell'umanità, di comunicare liberamente tra loro offre delle opportunità incredibili per la creatività e per l'inventiva. Non dobbiamo pensare soltanto alle cose negative che succedono nel mondo, dovremo cercare di unirci per sfruttare le opportunità che la libera circolazione dei saperi apre per tutta l'umanità.

*giornalista e consulente informatico autore del libro “La baia dei pirati – assalto al copyright” (Cooper edizioni)

Vai all'articolo sull'evento La festa dei pirati che si terrà sabato 28 marzo a Roma

Vedi anche:
- I pirati che hanno ucciso il Copyright di Flavia Tommasini, Radio Kairos
- Quali finanziamenti per quale cultura? di Simone Addessi, Uniriot Bologna