La pandemia è il manifesto della crisi della "civiltà capitalista"

L'intervento di Enrique Leff al webinar "Covid19 e crisi climatica"

29 / 5 / 2020

Questa pandemia è certamente un’esacerbazione della crisi sistemica. Crisi sistemica in cui si congiungono diverse crisi e tra queste anche la crisi ambientale, che di per sé è un concetto di crisi complessa in cui si articolano tante “profezie” socio-ecologiche.

Fino a oggi, le crisi epidemiologiche erano viste come eventi particolari, non vincolati ai processo di trasformazione sociale e umana, in particolare al processo di globalizzazione tecno-economica, che negli ultimi decenni è diventato il motore della storia. Lo abbiamo detto tante volte: la crisi ambientale, e adesso quella epidemiologica, sono soprattutto una manifestazione della crisi di una “civiltà”.

Cosa vuol dire questo: che non bisogna incolpare la natura e il virus stesso nella sua azione contro il genere umano, ma leggere tutto questo come una conseguenza, una sorta di forma di prevenzione, al processo che sta sbilanciando l’equilibrio ecologico del pianeta. Tutti i discorsi sul cambiamento ambientale li sappiamo, ma com’è che l’umanità è arrivata a questa condizione tanto critica? Questo deve portarci a una riflessione storica per capire come si è installato un modo di pensare, una razionalità che comincia già - in modo molto chiaro- nel pensiero filosofico classico. Persino i presocratici riflettevano su cosa fossero l’origine e lo scopo del mondo, Eraclito per esempio, parlava della physis, il processo di nascita di tutte le cose.

Com’è arrivata l’umanità a questo punto critico, in cui addirittura i virus fanno parte della quotidianità? È lo sviluppo stesso del logos, il modo in cui siamo costretti a pensare, una ratio che è diventata solo calcolo e non riflessione che ci ha portati a una visione del modo per cui tutto è disponibile e può essere preso. Non si tratta, però, di una ratio individuale, ma di una razionalità tecno- economica, detta con un altro nome: il capitale.

Il capitale si è istituito proprio con questa ratio, questo modo egemonico di pensare, che ha generato il mondo governato dal principio della ragion sufficiente che ha dimenticato le condizioni di vita. Questa trasformazione della vita, del principio vitale del pianeta, è stato generato dal capitale fino ad arrivare al punto tanto critico che stiamo vivendo, in cui il cambiamento climatico si manifesta pienamente.

Il dilemma dell’umanità oggi è: si può interrompere l’inerzia di questo processo di “civilizzazione”? All’interno della crisi di civilizzazione in cui ci troviamo com’è possibile pensare alla soluzione per l’intreccio delle varie crisi che stiamo affrontando (di civilizzazione, climatica, epidemiologica, umana)?

Bisogna riformare l’intera società a partire dalle condizioni di vita. La soluzione non è una di quelle che sta proponendo un Bill Gates, per fare un esempio. Dal punto di vista della ecologia politica più radicale, bisogna opporsi a quella serie di investimenti infrastrutturali che in molti stanno proponendo come forma di ripresa economica dalla “crisi del virus”. Ma non è che così che troveremo una soluzione a queste crisi ambientali ed epidemiologiche, che sono sempre più frequenti.

Bisogna ricostituire il tessuto sociale, spazi dove ciascuna persona possa sviluppare il proprio modo di essere e il proprio modo di pensare. Riconsacrare il diritto di essere in una pluralità diversificata. La vita deve essere sostenibile, nelle condizioni sociale, ambientali e – in generale - di dignità.

Quello che bisogna smettere di fare è considerare questa crisi con la stessa concezione del mondo antecedente alla crisi: la questione di base non è puntare a una decrescita di produzione, ma al cambio radicale del modo di produzione stesso. Produrre con le forze della natura e non contro la natura.