"La maternità che vorrebbero" a Sherwood 2016

1 / 7 / 2016

Giovedì 30 giugno si è tenuto a Sherwood presso lo spazio Sherwood Books & Media il dibattito ‘La maternità che vorrebbero’ a cura del collettivo Starfish di Schio e di Globalproject.info.

Il dibattito ha trattato della maternità nel suo più ampio significato e di come il corpo delle donne è costantemente sotto stretto controllo. L’utero, infatti, non è considerato nella nostra società organo privato, ma spazio pubblico in cui la donna perde autonomia decisionale e capacità di scelta.

Beatrice Da Vela (Pasionaria.it) ha parlato della battaglia per l’aborto, una delle battaglie cardini della stagione della conquista dell’autodeterminazione delle donne. I movimenti e tutte le forze “progressiste” hanno fatto l’errore di aver considerato questo ed altri diritti come dati acquisiti. Si è permesso così alle forze della “reazione” di riconquistare agibilità politica e di minare il diritto “dall’interno”, utilizzando l’art. 9 della legge 194, che prevede la possibilità di obiezione di coscienza. La media nazionale di obiettori in Italia è del 70% e in alcune regioni arriva al 90%, tanto da contare la presenza di intere strutture in cui l’aborto non è praticato, rendendo impossibile alle donne di accedere ad un diritto che dovrebbe essere loro garantito.

Benedetta Pintus (Pasionaria.it) ha approfondito la questione delle sanzioni all’aborto clandestino. Il 15 gennaio 2016 il decreto legislativo 8 ha previsto, infatti, un inasprimento delle pene riguardanti l’aborto clandestino, che va in realtà a colpire le donne stesse, non offrendo alcun deterrente per la diminuzione del fenomeno.

A ottobre 2015 il Consiglio d’Europa ha inviato al governo italiano una richiesta di applicazione reale della 194, anche se tuttora il governo afferma che non esistono criticità, ignorando totalmente il problema degli obiettori. Ignorando anche che l’aumento del numero di aborti spontanei nasconde in realtà un aumento di aborti clandestini, che vengono in questo modo registrati quando le donne ricercano supporto medico in seguito alle complicazioni dovute alle operazioni illegali.

L’obiezione di coscienza è in continua crescita non per motivi religiosi o etici: ai medici conviene essere obiettori. I non obiettori, infatti, subiscono mobbing perché sono così pochi che hanno un carico di lavoro enorme, devono occuparsi solo di aborto perché tutti gli altri medici non lo fanno e viene in questo modo loro impedita una progressione della carriera.

L’abuso dell’articolo 9 comporta un aumento degli aborti clandestini. Le donne che non riescono ad accedere legalmente all’aborto sono infatti costrette a ricorrervi. L’aumento delle sanzioni non migliorerà certamente la loro situazione: le donne avranno paura di andare in ospedale (qualora dovessero incorrere in problemi di salute in seguito a queste pratiche), perché potrebbero arrivare a dover pagare 10.000 euro di multa. Queste sanzioni colpiscono maggiormente le minorenni e le straniere, tra cui il numero di aborti è in continuo aumento.

La libertà di scelta delle donne è stata ancora una volta messa in discussione il 4 maggio 2016, quando è stata presentata una proposta di legge che prevede la possibilità per farmacisti e commessi di farmacia di avvalersi dell’obiezione di coscienza. Ora legalmente nessun farmacista può rifiutarsi di fornire la contraccezione d’emergenza, che può essere acquistata senza bisogno di ricetta; capita però spesso che illegalmente i farmacisti si rifiutino di vendere tale farmaco.

La proposta di legge non è problematica solo per le conseguenze cui porterebbe, ma è anche scientificamente pericolosa in quanto equipara la contraccezione d’emergenza all’aborto. Nel testo della legge si legge inoltre che “il farmacista può rifiutarsi di vendere qualsiasi medicinale che egli ritenga possa facilitare aborto”, quindi anche la semplice aspirina. Questo determinerà un controllo su corpi, e sulle vite delle donne, ancora maggiore e del tutto ingiustificato, negando ancora una volta la libertà all’autodeterminazione.

Elena Skoko (OVOItalia, osservatorio sulla violenza ostetrica) ha introdotto invece il fenomeno della violenza ostetrica.

L’assistenza alla nascita è in questi ultimi anni un discorso escluso dalla cultura femminista, anche se così non è stato nelle rivendicazioni passate. La campagna #bastatacere ha portato alla luce una serie di racconti riguardanti la nascita e la maternità che prima erano rimasti nascosti. Le donne, infatti, fanno fatica a raccontare queste esperienze perché spesso non trovano le parole per descrivere quello che hanno vissuto. Molte non vogliono raccontare quello che è successo durante la nascita per non offendere i figli, altre sono vittime loro stesse di una normalizzazione del dolore femminile che le ha fatte tacere sulle violenze subite finora. «Quella della nascita è una narrazione totalmente assente, ma senza una cultura di questo tipo una donna non sa di avere delle scelte».

Dal 1991 le donne hanno cominciato a raccontarsi attraverso internet, che è stato fin da subito strumento prezioso per confrontarsi e trovare uno spazio della narrazione che è uno strumento fondamentale.

La violenza ostetrica è stata affrontata anche a livello giuridico con la ley organica del Venezuela, che ha definito cosa si intende per questo tipo di abusi. Definizione che ritroviamo nella proposta di legge PDL Zaccagnini che ha contribuito a far conoscere il fenomeno in Italia.

L’Osservatorio sulla violenza ostetrica nasce in seguito alla campagna, durata 15 giorni, e vuole continuare a raccogliere le storie in forma di questionario. L’obiettivo è quello di produrre il maggior numero di dati possibili, perché le storie non bastano e spesso non vengono prese in considerazione a livello ufficiale.

La domanda che ha concluso il dibattito ha cercato di indagare il motivo per cui l’autodeterminazione delle donne è ostacolata in questo modo.

Per Beatrice Da Vela sia quando viene impedito il diritto all’aborto, sia quando viene “istituzionalizzata” la maternità è perché si cerca di operare un controllo sistemico sui corpi. Se si riesce ad imporre controllo sui corpi si riesce a controllare la società intera. Rivendicare la libertà di scelta è quindi una forza rivoluzionaria e impedire il controllo sui corpi è l’unico modo per avere una società più equa per tutti e tutte. «Dobbiamo lottare per slegarci da un sistema che ci vuole tutti uguali finché siamo produttivi».

Elena Skoko  ribadisce la centralità del racconto: riprenderci il potere del discorso tra di noi e verso l’esterno, raccontarsi è necessario perché se non creiamo i nostri discorsi assorbiamo quelli degli altri. Riprendere il potere della voce è fondamentale.

Per Benedetta Pintus  in questo momento il problema del controllo dei corpi è internazionale: all’interno dell’Unione Europea ci sono ancora paesi in cui l’aborto è vietato e in Spagna, solo due anni fa, contro la legge sull’aborto, che voleva riportate il diritto allo stato in cui era negli anni 80, sono scese in piazza migliaia e migliaia di persone: non femministe o donne, ma tutti.

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