La maledizione dell'antenna killer - Battaglie e leggende delle strade di Roma

7 / 1 / 2010

Un nuovo anno è iniziato nella città eterna. E anche oggi, come sempre, la gente mente, ruba, inganna, uccide, anche solo per un tavolo conteso al ristorante. E mentre lo fa canta, ride, ama ed è amata. Così è la vita a Roma da millenni, immersa in guerre piccole o grandi. Imbevuta di soprusi quotidiani e riscatti esemplari.

In una strada della periferia est, tra i palazzoni della Serpentara, è in corso una battaglia tipica di questi anni. Signore di mezza età, anziani, ragazzi, bloccano la via con striscioni che dicono: “No all’antenna killer”. Si guardano intorno sperduti, cercano una luce di speranza, una voce amica, perché un mostro di 15 metri è spuntato davanti alle loro finestre. Qualcuno nella strada ha tradito. Il “dirimpettaio” li ha venduti, affittando il tetto del proprio palazzo a una compagnia telefonica. Di solito i contratti sono di 7 anni più 7. Se non la spuntano, per i prossimi 14 anni sono fritti (letteralmente). E il Giuda di turno incasserà una somma di circa 20.000 euro all’anno. Così è la vita nella giungla. Le signore sono incazzate, ma le loro facce nascondono un sentimento più profondo della rabbia: lo sgomento. Ecco gente che presto non crederà più a niente e a nessuno. Come darli torto? Uno fa tanta fatica a pagare il mutuo per un piccolo appartamento, un posto dove far crescere i propri figli, e un bel giorno, senza avvertirti, dal palazzo di fronte, bam, beccati l’antenna in faccia.

Vi sarà capitato di vedere lungo una strada due palazzine uguali e affiancate, una con l’antenna, tutta bella ristrutturata a nuovo (e immune alle onde per l’effetto dell’ombrello). L’altra fatiscente, con l’intonaco che cade (e sotto il tiro delle radiazioni del vicino). Chi ha pagato la ripulitura? Prima magari i vicini si salutavano e potevano considerarsi fratelli, ora si scambiano sguardi di odio. Ed è sempre possibile una spedizione punitiva. Qualche antenna ha preso fuoco nel corso degli anni, anche se, naturalmente, è chi subisce che brucia piano piano. La casistica, però, è varia.

Alcuni anni fa capitò anche a me questa cosa. Sul tetto davanti alla mia finestra, nel centro di Centocelle, sorpresi degli operai a piantare un ripetitore di cellulari. Ci fu un bel casino e l’istallazione fu fermata per sei mesi dal municipio per “allarme sociale”. Durante il periodo di blocco, incontrammo il proprietario della palazzina “infame”. Era un proprietario “unico”, non abitava lì, possedeva molte altre case nel quartiere e una clinica privata. Era molto ricco. Gli chiedemmo: “Non pensi a noi?”. Era un uomo di chiesa e rispose che “gli affari sono affari” e la legge lo permette. Scrissi anche un rap sulla storia. E poiché qualcuno ogni tanto mi chiede come andò a finire, ora ve lo dico: l’antenna fu installata. Io lasciai quell’appartamento. L’avido proprietario, da parte sua, non fece in tempo a godere di quel profitto, morì pochi mesi dopo (colpito da un male detto “incurabile”). I manifesti mortuari col suo nome invitavano al funerale dicendo: “Non fiori, ma opere di bene”. Forse sarebbe andata diversamente, se avesse saputo che esiste una maledizione a Roma che insegue e colpisce chi cede il proprio tetto a un’antenna dei cellulari, senza il consenso dei vicini.