La guerra mondiale degli zombi” è un libro che sorprende. Perché non è un horror, né un libro di fantascienza militare ma un originale romanzo sul rapporto psicologico dell’essere umano con la guerra e le sue conseguenze.

La guerra mondiale degli zombi

13 / 6 / 2013

La probabile imminente uscita nelle sale cinematografiche italiane di “World War Z” di Marc Forster, con Brad Pitt protagonista, dagli spezzoni che girano in rete si annuncia come un gustoso appuntamento per gli amanti del genere horror-fantascientifico. Non so se il film rispetterà le attese e manterrà anche solo in parte la qualità del libro da cui è stata tratta la sceneggiatura ma è certo che “World War Z. La guerra mondiale degli zombi” è un libro che sorprende. Perché non è un horror, né un libro di fantascienza militare ma un originale romanzo sul rapporto psicologico dell’essere umano con la guerra e le sue conseguenze; sulle politiche di guerra e sul cinismo e la crudeltà delle “logiche superiori”; sui comportamenti umani di sopravvivenza e sulla rottura dei vincoli di comunità e di solidarietà che la brutalità della guerra impone.

“World War Z. La guerra mondiale degli zombi” è un romanzo del 2007 scritto da Max Brooks, figlio d’arte, dell’attrice Anne Bancroft, la mitica signora Robinson del “Il laureato” e del regista Mel Brooks (“Frankestein Junior”, “Il mistero delle dodici sedie” ecc.). Max Brooks è uno sceneggiatore di successo della tv statunitense, in particolare grazie al programma comico “Saturday Night Live”, premiato nel 2002 con un Emmy Awards come migliore autore di testi. E’ anche attore e brillante scrittore con il gusto per il paradosso e la passione degli zombi. In Italia sono usciti altri due suoi libri molto curiosi: “Manuale per sopravvivere agli zombi” e “Zombi story e altri racconti”.

Dicevamo che il libro non è ne semplicemente horror e né semplicemente fantascienza ma qualcosa di più e di diverso dell’ennesimo scontro tra umani e zombi. Alle prime battute risulta subito intrigante il modo con il quale Brooks racconta questo insolito conflitto mondiale. La voce fuori campo, il narratore del romanzo, non è altro che un giornalista alle prese con un lungo reportage che indaga sui prodromi del contagio, sullo sviluppo della crisi militare e sociale provocata dal conflitto, sui passaggi decisivi della fine della guerra mondiale tra umanità e zombi e sulla difficile ricostruzione del dopoguerra. L’io narrante si limita a porre domande ai protagonisti intervistati o a lasciarli semplicemente raccontare. Sono infatti costoro gli esclusivi protagonisti del conflitto; le loro testimonianze su fatti specifici avvenuti nella profonda Cina, nel freddo delle foreste del Canada, tra i passi di montagna del Pakistan, nelle pianure degli Stati Uniti, nel freddo inverno russo o in qualche isola del Pacifico, ci fanno rivivere in successione l’orrore e la disperazione del contatto con gli zombi, le reazioni delle comunità e i comportamenti adottati per difendersi, le strategie dei governi, il cinismo dei politici e dei militari, le “ragioni” dei tanti profittatori della situazione, di quelli che c’hanno fatto i soldi sopra e così via. E la bestialità umana e la ragione di Stato, eguagliano e superano a volte la cieca inumanità antopofaga dell’orda zombi.

Dalle prime testimonianze scopriamo che a dare il via alla guerra è stato un contagio che ha provocato la contaminazione progressiva di milioni di persone trasformatesi in zombi. Come spesso avviene in casi come questo e che ricordano le notizie frammentarie di casi reali di contagio avvenuti in questi anni, tutto era prevedibile, curabile e arginabile ma le grandi agenzie investigative nazionali, le agenzie mondiali della sanità e i governi hanno ignorato o nascosto i primi casi, non dato credito a quanti avevano sin da subito trovato la cura e la soluzione possibile, lasciando in tal modo esplodere il fenomeno. Questa parte del libro, relativa al contagio, è forse quella con il ritmo più incalzante. Poi arrivano le reazioni dei governi: alcuni, come Israele che si blinda con una recinzione muraria per evitare il contagio, cercano di costruire zone franche anticontagio per i non contaminati a discapito di milioni di contaminati o condannati ad esserlo; altri, come gli Stati Uniti, credono fermamente nella potenza di fuoco che il livello tecnologico del proprio apparato militare può mettere in campo, salvo andare incontro ad un disastro drammatico per le truppe al fronte e per le popolazioni del nord america. Risposte disordinate e inefficaci che porteranno a soluzioni successive drastiche, cinicamente drammatiche per molte popolazioni, di sapore malthusiano protremmo dire come furono, ad esempio, alla vigilia della Grande Guerra del 1914-1918 le reazioni dei neodarwiniani di fronte alla  supposta “benefica soluzione” di selezione positiva della popolazione mondiale che avrebbe dovuto avere quella tragica guerra mondiale. Le interviste ai militari e agli strateghi civili sono molto belle, interessanti e attuali.

Ma la guerra mondiale degli zombi, oltre a creare territori infestati dal contagio, consente la nascita anche di aree di resistenza e sopravvivenza a scapito dei vincoli di solidarietà e comunità. La brutalità dei rapporti tra persone è un altro aspetto che viene a poco a poco a galla dalle testimonianze dei sopravvissuti. Il ricorso al cannibalismo non tarderà a farsi vivo, così come l’ostilità verso gli stranieri, gli altri, quelli che non fanno parte della piccola patria messa in piedi per sopravvivere. I sistemi di vita sino a quel momento esistenti nelle varie società umane – dalla Cina al Sud Africa, dagli Stati Uniti alla Russia – verranno sconvolti dalla guerra e la ricostruzione raccontata nelle ultime interviste e racconti di protagonisti della guerra sarà certo un nuovo inizio per l’umanità rimasta, ma del tutto diverso da quello vissuto prima della guerra mondiale degli zombi.

Max Brooks

“World War Z. La guerra mondiale degli zombi”

Edizione Cooper, 2007

13 giugno 2013

Unknown