Il copyright perde pezzi, il mercato discografico è in crisi.

La creatività si libera dalla crisi

La diffusione di internet a banda larga e l'accesso alle nuove tecnologie ridisegnano i rapporti tra artisti e fruitori dell’arte. Il copyright perde pezzi, il mercato discografico è in crisi. Ma all'ombra dei mutamenti nascono nuove esperienze e si aprono nuovi spazi. Proviamo a individuarne alcuni partendo dalla nostra esperienza di autoproduzioni dentro e fuori i centri sociali.

Utente: gianmarco
15 / 6 / 2009

Parlare di autoproduzione è complesso, prima di tutto perché è sicuramente un concetto ricco di sfumature e che copre ambiti artistici e culturali molto differenti. Vorremmo pertanto concentrarci su come il concetto di autoproduzione tradizionale si leghi alla rivoluzione digitale tutt'ora in corso ed iniziata circa venti anni fa. Un dato che ci sembra ormai certo è che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un meccanismo di crisi che si è innescato nel mondo del mercato delle produzioni artistiche. In particolare il sistema discografico mainstream e indipendente è stato fortemente impattato dalla crescita esponenziale nell'uso delle nuove tecnologie e dalla diffusione dell'accesso ad internet in banda larga. Questa introduzione di massa delle nuove tecnologie ha stravolto i tradizionali mezzi di produzione artistica, facendo nascere un largo movimento di critica nei confronti dei vecchi modelli per la tutela dei diritti d'autore. Le domande che ci poniamo a partire da questo assunto sono molteplici: come porsi di fronte a questa mutazione di scenario? Quali nuovi spazi di produzione si aprono di fronte a questo?

Il diritto d'autore nell'era digitale

Il concetto di proprietà intellettuale nasce con la prima rivoluzione industriale in un contesto legato alla mercificazione del prodotto culturale. In questo panorama nacque l'esigenza di poter permettere una rendita economica all'artista e al proprio editore che si sobbarcavano i costi di una produzione e di una distribuzione su larga scala dell'opera d'arte. Si formarono in seguito le famose “Collecting Societies” il cui scopo è, ancora oggi, quello di tutelare l'artista ed il suo editore dei propri interessi di rendita (in Italia abbiamo la SIAE). Questo meccanismo ha creato una sorta di monopolio economico per cui l'unico soggetto titolato alla riscossione delle rendite per una determinata opera è l'autore oppure l'editore della stessa.

L'avvento dell'era digitale, del web e della sua velocissima ascesa al grande pubblico ha inserito un blocco negli ingranaggi di questo meccanismo e l'ha mandato in crisi. Tutto cominciò a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta nel laboratorio di intelligenza artificiale del MIT di Boston, quando un ricercatore si domandò perché mai lui si trovasse costretto a lavorare su un sistema operativo del quale non aveva il pieno e completo controllo. Questa è la domanda da cui Richard Stallman è partito per dar vita alla Free Software Foundation e alla messa a punto del sistema operativo GNU/Linux e che successivamente lo portò all'introduzione di un concetto che riassume in toto tutta la sua filosofia su cui si basa una rivoluzione culturale senza precedenti: il “Copyleft”. Con questo termine si vuole individuare un modello alternativo di gestione dei diritti d'autore basato su un sistema di licenze attraverso le quali l'autore (in quanto detentore originario dei diritti sull'opera) indica ai fruitori dell'opera che questa può essere utilizzata, diffusa, e spesso anche modificata liberamente, pur nel rispetto di alcune condizioni essenziali esplicitate dall'autore nella licenza d'uso dell'opera stessa. Questo concetto che fu inizialmente applicato al software per computer, ma negli ultimi anni sta entrando di forza anche nel mondo delle produzioni culturali. L'esempio delle licenze Creative Commons (una di queste viene utilizzata da questa rivista) è il punto di arrivo di un percorso iniziato proprio da Stallman negli anni Ottanta.

La rete e la crisi

Il web nasce proprio nel pieno della rivoluzione informatica di quegli anni e quindi la sua struttura ricalca a pieno questa la filosofia. Infatti Tim Barners Lee, quando ideò la rete al CERN di Ginevra ormai venti anni fa, pensava ad un modello complesso che permettesse la condivisione e l'interconnessione, attraverso l'uso dei link, di informazioni in modo rapido, semplice e soprattutto libero. Questo modello ha ormai mandato in crisi il monopolio sulle proprietà intellettuali, perché per le “Collecting Societies” e le grandi case di produzione e di distribuzione diventa impossibile incassare la tradizionale rendita economica di cui hanno bisogno per sopravvivere in un mercato globale sempre più libero e sempre più interconnesso. Inoltre la crisi si innesta proprio nel modus operandi del web e cioè la condivisione di informazioni digitali e quindi anche opere culturali: siano esse testi, musica, filmati o fumetti. In definitiva il modello del web, proprio per la sua complessità, ha messo in crisi tutti quei meccanismi di controllo che hanno garantito per decenni la rendita economica degli artisti e degli editori tutelati dalle "Collecting Societies" di tutto il mondo.

Nuove frontiere dell'arte

In questo contesto sociale e tecnologico si delinea oggi un nuovo modo di concepire le autoproduzioni e un nuovo modo per garantire una rendita economica ai soggetti primi coinvolti nella produzione artistica e cioè agli autori. L'autoproduzione nel nuovo mondo digitale e interconnesso permette all'artista di scavalcare tutta la “filiera” del business culturale. In particolare l'artista diventa il vero protagonista della propria arte, in quanto, grazie alla possibilità di produrre un'opera di qualità a basso costo, egli può tranquillamente evitare di entrare in contatto con le strutture tradizionali della produzione e della distribuzione. In ambito musicale, perché di questo noi ci occupiamo, le tradizionali “labels” sono destinate a scomparire, lasciando spazio a un nuovo modo di concepire la produzione artistica. Già oggi si cominciano a vedere i primi segni del futuro. Si scorgono infatti le prime “net labels”, cioè delle etichette che operano esclusivamente in ambito web e che fanno delle Creative Commons e dei vari Social Network i mezzi e i luoghi privilegiati per la distribuzione e la promozione dei propri artisti. Infine si inizia a intuire che il ruolo delle future "labels" sia quello di semplice mezzo di promozione dell'artista. Una sorta di cooperativa dell'arte in cui l'unione delle forze di più artisti si possa convogliare per ottenere la produzione, la distribuzione e la promozione di un'opera artistica a bassi costi e di sicura qualità.

Spazi di libertà creativa

Per questo motivo in Italia, e magari anche altrove, gli spazi sociali offrono un humus fiorente di queste nuove realtà, in quanto permettono al loro interno la realizzazione dell'arte e della cultura a basso costo e quindi accessibile a tutti senza distinzione di provenienza sociale e geografica e senza la presenza dei tanti intermediari che spesso soffocano i tradizionali spazi di produzione e fruizione dell'opera artistica. In questo panorama, poi, gli spazi sociali si configurano come veri e propri arcipelaghi extra-territoriali la cui ricchezza sta nel fatto che la parola autoproduzione è diventata il fulcro di tutto il sapere, la cultura e l'arte creata in questi spazi. Per questo autoproduzione per noi che nasciamo, viviamo e creiamo cultura in uno spazio sociale vuol dire sicuramente produrre arte liberi da condizionamenti corporativi e non finalizzata esclusivamente al profitto, sfruttando il Web come nuovo strumento di promozione e di distribuzione.

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