"La costruzione della maschilità. Formazione, genere e violenza" a Sherwood 2016

29 / 6 / 2016

Giovedì 28 giugno si è tenuto, presso lo spazio Sherwood Books & Media, un incontro con Giuseppe Burgio, vicedirettore del CIRQUE (centro interuniversitario di ricerca queer) ed autore di numerosi saggi aventi come tema “la costruzione della maschilità”. Tra questi è stato oggetto della discussione in particolare “Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità”, edito da Mimesis nel 2012.

L’incontro è stato condotto da Valentina Bortolami, tra le curatrici della rubrica Asterisco [ * ] di Globalproject, che ha esordito con la domanda «perché il termine maschilità?».

Per Burgio, quando parliamo di genere parliamo della differenza tra uomini e donne, è una lente che riguarda entrambi. L’invisibilità maschile negli studi di genere ha fatto pensare che essere “maschi” fosse una cosa naturale. In realtà la condizione anatomica si unisce all’adeguamento ad un ruolo, al modello ed alla identità maschile socialmente accettata.

«Come si fa a diventare un vero uomo?». Si pensi a quello che viene detto al bambino che piange: «non fare la femminuccia». In generale nell’età infantile si tollera una maggiore vivacità del bambino ed altri comportamenti che introducono ad un’educazione differenziata, come viene spiegato bene da Elena Gianini Belotti nel suo libro “Dalla parte delle bambine. L'influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita”

L’agone costitutivo della maschilità è l’eterosessualità ed in questo l’adolescenza è il vero laboratorio: «mostrarsi in pubblico come “maschi” fa parte della costruzione della maschilità». Anche il bullismo, la violenza e l’aggressività fanno parte di questi processi, che hanno come espressione il mettersi in scena in quanto maschi, il confronto intra-maschile per creare gerarchie, le logiche esclusione che partono dal mettere in dubbio la maschilità dell’altro. Proprio il bullismo norma le discriminazioni già esistenti nella società.

Burgio è quindi entrato più nello specifico sulle tappe della costruzione della maschilità. Fino ai 36 mesi, ossia fino all’avvento della cosiddetta “età della micro-socialità”, le bambine ed i bambini hanno lo stesso livello di empatia, poi questa si abbassa nei maschi. Si tratta del primo livello della costruzione della maschilità. Nella fase adolescenziale, dove esiste uno snervante controllo del sé, l’affermazione di un modello avviene attraverso le performance di maschilità, all’interno delle quali ha un enorme valore la violenza verbale e fisica. In uno studio sugli insulti più usati tra gli adolescenti maschi, fatto dallo stesso Burgio, è emerso che un adolescente per non essere insultabile deve essere: bianco, normo-dotato, eterosessuale. Emerge già in maniera chiara un’ideologia sessista, misogina, omofobica, razzista. Proprio l’omofobia è centrale nella costruzione della maschilità, perché assolve ad una funzione egodifensiva.

«I maschi creano un problema perché hanno un problema». Oggi la costruzione della maschilità è più difficile perché il patriarcato è stato fortemente attaccato. La virilità è quindi un modello arcaico, fortemente in crisi, a cui non si sono sostituiti però altri modelli. Bisogna valorizzare i molti modi di essere maschile, differenziando i modelli ed allontanandoli da quello del “supereroe”. Ci sono due malattie tipicamente maschili: l’asma e la balbuzie; entrambe impediscono i due luoghi simbolici già riconosciuti da Omero come agoni della maschilità, l’arte di fare la guerra e quella di parlare in pubblico. La crisi della società patriarcale accentua la violenza con cui la maschilità dominante vuole rimanere al centro della società.

L’ultima parte della discussione ha avuto come oggetto il fatto che la costruzione della maschilità sia allo stesso tempo oggetto di una violenza e creazione di un soggetto violento. Su questo tema è importante sottolineare che, nella cultura adolescenziale maschile, il sesso è visto come atto di dominio (basti pensare al fatto che il “fare sesso” si traduce con il verbo fottere, a cui associamo sempre cose negative). La concezione della maschilità è quindi legata al dominio: «tu sei maschio quando fotti gli altri, maschi o femmine che siano». / Se la maschilità ha la violenza come tratto costituente, possiamo dedurre che gli stupri e le violenze in genere contengono un continuum tra diversi “livelli” di maschilità. La soluzione a tutto questo non è la demonizzazione del mostro, ma il riconoscimento delle posizioni di privilegio di ognuno, il cambiamento di se stessi è indispensabile per cambiare la società. Questo va fatto a partire dal primo ciclo educativo, ricordando sempre che «a educare un bambino non sono i genitori, ma una società intera».