La nuova proposta di legge vuole proprio disgregare questa impostazione nel nome di un malinteso ambientalismo, per supposte ragioni di razionalizzazione e per un obiettivo di economicità. Secondo l’assessore leghista Manzato, firmatario della proposta, proprio la necessità di risparmio è fra le ragioni primarie della nuova legge.

La controriforma dei parchi veneti

24 / 10 / 2012

LA CONTRORIFORMA DEI PARCHI VENETI

La “dottrina Confindustria” per la tutela del paesaggio si abbatte anche sui parchi e le aree protette venete

Che la tutela dell’ambiente non sia al primo posto dell’agenda Monti è sotto gli occhi di tutti. Per formazione culturale e politica Monti e i suoi ministri sono piegati decisamente a favore di quella che Salvatore Settis chiama nel corsivo pubblicato il 21/10/2012 da La Repubblica, la “dottrina Confindustria” per la quale “[…] la tutela del paesaggio è un inutile freno all’edilizia, considerata contro ogni evidenza come il principale motore del Paese”. Secondo il Governo l’assalto al paesaggio, cioè al territorio e alle sue risorse, è presupposto fondamentale per la ripresa economica che, secondo il ministro Passera, necessita dell’accelerazione e della moltiplicazione di grandi opere finanziate con denaro pubblico, ovviamente a scapito della spesa sociale. Settis constata amaramente nello stesso corsivo che si continua ad invocare le ragioni dell’economia, “[…] le stesse che da trent’anni a questa parte legittimano condoni, sanatorie e piani casa in nome di uno sviluppo che non c’è stato” come un vero e proprio dogma infallibile e, rispetto a questo atteggiamento del Governo, cita l’opinione dell’antichista David Sedley che osserva come “[…] la passività dei governi rispetto alle pretese leggi dei mercati” sia sempre più simile a una superstizione che svolge la stessa funzione che ebbe l’astrologia nel lontano impero romano: quella di una “scienza” a cui si affidavano anche gli imperatori più pragmatici prima di prendere ogni tipo di decisione. Ad onor del vero non è che prima di Monti e dei suoi “tecnici” le cose andassero meglio per l’ambiente, le sue risorse e il paesaggio. A rendere più facile il saccheggio del territorio ci si era messo di buzzo buono già il governo Berlusconi con tutta una serie di leggi – tra cui spiccano, in particolare, la Legge Obiettivo, volta a facilitare la moltiplicazione delle Grandi (medie e piccole) Opere e le attribuzioni eccezionali assegnate alla Super Protezione Civile di Bertolaso per quanto riguarda i Grandi Eventi. Un insieme di leggi, strumenti e istituti che il centro sinistra si è guardato bene dal contrastare e tanto meno da depotenziare le due volte che, in questo ventennio berlusconiano, è andato al Governo.

Tutti ricordiamo le lodi di Di Pietro, una volta Ministro, nei confronti proprio della Legge Obiettivo e la continuità di mandato e di poteri a Guido Bertolaso. In estrema sintesi Settis ricorda quali sono stati gli strumenti principali messi in campo in questi ultimi anni dai vari governi volti a sfarinare la tutela del paesaggio: 1) la devoluzione verso i Comuni delle procedure autorizzative; 2) il depotenziamento di fatto dei pareri tecnici delle Soprintendenze nelle conferenze di servizi, influenzate pesantemente dalle istanze della politica localistica; 3) l’abusato utilizzo del silenzio-assenso in funzione autorizzativa da parte degli enti preposti al controllo e alla decisione.In Veneto questi strumenti e gli effetti di questa legislazione deregolamentativa sono stati utilizzati ampiamente dalla classe politica e amministrativa che ha governato il territorio in questi ultimi vent’anni. Il Piano Casa regionale, approvato nel 2009, ne è uno degli esempi più evidenti e i dati di sintesi relativi al peso della crescita edilizia sul territorio, raccolti dal prof. Tiziano Tempesta del Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali dell’Università di Padova, sono eloquenti. Nel 2009, dopo un decennio di boom edificatorio impressionante, il Veneto risultava al primo posto in Italia per entità dei volumi di edilizia residenziale e non, autorizzati con concessione edilizia dai Comuni e per mc per kmq di concessioni edilizie per fabbricati non residenziali e per abitazioni. E dal 2009 solo la crisi economica ha rallentato il trend che rimane, comunque, in crescita nonostante la sempre minore richiesta abitativa e la stasi demografica regionale. Tutto ciò nonostante che per effetto della crisi economica molte zone artigianali e industriali siano di fatto oggi luoghi di archeologia industriale quanto sono dismesse e sottoutilizzate. Eppure in sede regionale, provinciale e locale si continua a prevederne di nuove nella programmazione urbanistica. Senza evidenti differenze tra le amministrazioni governate dal centro destra e quelle governate dal centro sinistra.

Nonostante la demagogia di campagne leghiste come “Basta capannoni” le giunte comunali hanno continuato e continuano a programmare un diffuso consumo del territorio approvando piani residenziali, insediamenti commerciali, artigianali ed industriali, moltiplicazioni viarie (la moda recente delle rotonde, degli svincoli e delle bretelle ad aggiungersi alle infrastrutture stradali). E, come vediamo tutti i giorni nelle cronache dei giornali locali e nazionali e dei notiziari radiotelevisivi, attorno a questo tipo di sviluppo urbanistico si intreccia un grumo denso di interessi economici costellato di corruzione ed illeciti che vede protagonisti settori dell’industria delle costruzioni, classe politica locale e sempre più spesso anche settori di criminalità organizzata.In Veneto un paesaggio ricco e variegato – che va dalla laguna alla montagna – è stato sottoposto in un relativamente breve lasso di tempo ad un saccheggio dispiegato di suoli, di risorse e di testimonianze storiche (basterebbe pensare, ad esempio, alla scomparsa di fatto del graticolato romano la cui testimonianze rimangono ormai solo nei cartelli turistici che ne ricordano la passata presenza) che rappresenta la maggiore eccellenza (in negativo) della nostra regione. Ultimo in ordine di tempo e foriero di nuovi scempi edilizi si profila la creazione di un nuovo strumento regionale di governo dei parchi. Si tratta della Proposta di legge della Giunta regionale veneta (PDLR) n.286 del luglio scorso e attualmente al vaglio della commissione regionale competente dal titolo innocente “Norme per la tutela della rete ecologica regionale”.

La motivazione ufficiale che sta in capo al testo in esame è che sarebbe giunto il tempo, dopo 25 anni dal varo della legge regionale quadro in materia di parchi naturali e aree protette e a seguito dell’entrata in vigore di una nuova legislatura nazionale in materia, di “[…] procedere ad una revisione e aggiornamento della stessa nella parte che riguarda gli Organi degli Enti ed introducendo alcuni nuovi aspetti concernenti la conservazione della natura, in particolare per quanto attiene alla tematica della Rete Natura 2000”.Belle parole e buoni intenti, quindi. Ma, come spesso avvenuto in questi anni, invece di procedere alla piena e rigorosa applicazione delle norme già vigenti e all’attuazione dei Piani Ambientali dei Parchi istituiti, si opera ancora per svuotarli dei contenuti dove questi continuano a rappresentare un impiccio per il dispiegarsi del “libero arbitrio” edificatorio. Con questo PDLR la Giunta regionale dichiara di voler disciplinare “[…] il riordino degli Enti Parco regionali al fine di valorizzare il modello organizzativo delle aree protette del Veneto per conseguire la tutela, la durevolezza e l’incremento del patrimonio della biodiversità” mentre, di fatto, le norme contenute nel testo legislativo proposto, imponento una normativa rigidamente uniforme per realtà molto diverse le une dalle altre come sono i Parchi e le Aree protette venete, le penalizza, ne depotenzia gli strumenti di programmazione esistenti, rende inefficaci gli Enti gestori già poco propositivi e privi da tempo di una reale autonomia e autorevolezza gestionale e apre la strada agli interessi speculativi locali, rimettendo i Comuni al centro della gestione di questi territori.

Piani Ambientali dai caratteri ancora innovativi pur essendo stati scritti negli anni 70, com’è quello del Parco regionale dei Colli Euganei che, con il duplice scopo di “assicurare la necessaria tutela e valorizzazione dell’ambiente e sostenere lo sviluppo economico e sociale”, poneva al centro la sostenibilità delle attività umane con un ambiente da tutelare nei suoi caratteri naturalistici, storici e ambientali, vengono di fatto svuotati di contenuto e di forza da questa revisione normativa. Che altro è, infatti, il disegno perseguito nel PDLR di voler artificiosamente separare tra loro “natura”, “paesaggio”, “ambiente” e “territorio”, lasciando al Parco solo la programmazione degli aspetti naturalistici “[…] nel senso di ” se non sciogliere dai vincoli di legge presenti nelle leggi istitutive dei Parchi veneti la programmazione urbanistica del territorio? Per altro assegnando anche l’autorizzazione paesaggistica ai Comuni con tutte le conseguenze negative del caso?

Quando i legislatori istituirono il Parco regionale dei Colli Euganei, originale territorio dove la tutela ambientale deve necessariamente sposarsi con la forte presenza urbanizzata, salvaguardando nello stesso tempo i caratteri storici e naturalistici presenti, non a caso specificarono già all’art.1 della legge che il parco veniva realizzato “al fine di tutelare i caratteri naturalistici, storici e ambientali del territorio”. Cioè l’insieme composito di questi caratteri. Proprio per questo tra le finalità del parco l’art. 2 indicava “la tutela, il mantenimento, il restauro e la valorizzazione dell’ambiente naturale, storico, architettonico e paesaggistico considerato nella sua unitarietà”.

La nuova proposta di legge vuole proprio disgregare questa impostazione nel nome di un malinteso ambientalismo, per supposte ragioni di razionalizzazione e per un obiettivo di economicità. Secondo l’assessore leghista Manzato, firmatario della proposta, proprio la necessità di risparmio è fra le ragioni primarie della nuova legge. Secondo le stime riportate da Alessandro Zuin nel Corriere del Veneto del 13 giugno scorso si risparmierebbero 500 mila euro di spesa pubblica azzerando la struttura amministrativa dei tre parchi regionali del Sile, del Delta del Po e dei Colli Euganei; eliminandone le figure dirigenziali che verrebbero riportate sotto il coordinamento di un direttore unico, nominato con decreto dal Presidente della Regione; centralizzando presso la Regione il comitato tecnico-scientifico oggi presente in ogni ente ed eliminando i Consigli del Parco.

L’operazione è subdola: si fa leva sulla acclarata inefficienza di questi enti e sulla faraginosità delle assemblee consigliari dei Parchi, frutto non tanto di una cattiva architettura amministrativa bensì delle volontà politiche, delle vischiosità di bottega, delle ramificazioni con gli interessi locali che le hanno sinora condizionate, per far passare un disegno accentratore, per altro volutamente confuso e contraddittorio, per depotenziare le funzioni di tutela e controllo dei parchi favorendo la deregolamentazione pianificatoria urbanistica. Il voluto pasticcio formale che il testo di legge propone – dividendo “natura” da “paesaggio”, “ambiente” da “territorio” si presume che gli enti preposti alla pianificazione territoriale si dovranno dotare, senza nessun criterio di coordinamento reciproco, di diversi strumenti, dal piano paesaggistico a quello ambientale, da quello naturalistico a quello urbanistico territoriale con tutte le difficoltà e la confusione del caso e con le immaginabili sovrapposizioni di norme che favoriranno i “furbetti” di turno – alimenterà la confusione a favore della speculazione; favorirà l’arbitrario utilizzo di alcune norme a discapito di altre che potrebbero frenare questo o quel progetto; riporrà i Comuni al centro di comando della pianificazione con tutti i guasti a cui abbiamo sinora assistito (lottizzazioni selvagge, edificazioni in aree golenali e protette, abusi edilizi, ecc.) anche in presenza di una formale funzione di controllo degli enti parco.Di fronte a questo scenario probabile che la deregolamentazione accentratrice del disegno legislativo regionale nei confronti dei parchi e delle aree protette, quello che maggiormente preoccupa non è tanto il pronto parere positivo al testo di legge dato dalla Conferenza permanente Regione-Autonomie Locali, luogo “terzo” del tutto supino alla cultura che guida la proposta, bensì l’assenza di reazioni di quanti, almeno a parole, hanno anche nelle istituzioni sinora difeso le ragioni che portarono all’istituzione dei parchi nel Veneto. Solo dal mondo delle associazioni ambientaliste sono partite alcune reazioni negative e il monito su quanto grave sia questa operazione messa in atto dalla Giunta regionale ma una comprensione più ampia della sua portata, dei rischi connessi e della necessità di mobilitazioni forti contro questo progetto sono ancora di là da venire. Eppure sono le sole in grado di poter smascherarne gli intenti e contrastarne il cammino interrompendone il corso.

24 ottobre 2012